giovedì 28 maggio 2015

Rifugio nel dio



Ad dominum confugio, deficit in dolore vita mea et anni mei in gemitibus. Sì, ma non vorrei sia proprio così, Mi rifugio nel signore, la vita mia scema nel dolore e in gemiti i miei anni, per trovarvi consolazione dalla disperazione, da cui invece fin d’ora chiedo esonero. Ma l’ho davvero trovato? Sta almeno in questa fragile donna, nei pochi che ho vicini e in quelli che posso in rari momenti fortunati avvicinare? Tutti ne hanno un barlume e dir non posso, ecco sta lì o qui piuttosto, ma anche è vero che ci sono momenti in cui diventa più facile goderne la prossimità. Sì, la bontà sua è dispersa nella creazione tutta, non ne recano or ora bellezza questi fiori di chinale? Hanno un cuore, loro e le cose tutte di qui e del cielo? Sì, il nostro! Sembra stiano lì a sentire note or acute or gravi del canto d’amore che l’aere riempie e disperde or vicine, or lontane… e ne diano assenso, il capino ondeggiando alla brezza leggera, di più profumandola, ché sale d’acre spuma odorando di sotto dal mare, che frange agli scogli mosso ancora, per vento, or caduto, da est dei giorni passati. E gli umani anche e più ne recano, se capaci di capir la bellezza. Ma ora io, che qui mi sento quasi intruso e le mie mani trepide sfiorano l’erbetta molle ancora di rugiada di questo quadro che un pittore sublime or ora dipinge per il mio diletto, so di star vicino al dio. E dagli altri ho di simile? Sì, ma solo da alcuni che lasciano che sfugga loro il buono e il bello che pur dentro hanno. Sì, in rari momenti d’abbandono, come l’accompagnarmi oggi a piccoli passi in tanta meraviglia o di confidenza, come io stesso devo suggerire a questo mio compagno col mio parlare ingenuo di fiori, alberi e uccelletti, e di primavere lontane anche fiorite d’occhi di ragazze, e da quei ricordi al me stesso d’ora, ma con pudore, più timido ancora di pocanzi, confidargli cosa m’attendo o temo pur in questi giorni di serenità tanto diffusa. E così spinto è a dire il suo, e lo fa come da tempo non volesse altro, ma non trovasse modo e occasione per svelare di sé. Altrimenti no, così generalmente accade, ché ciò che dentro hanno tutti celato, proprio quando potrebbero confidarlo, è come se faccia loro d’improvviso imbarazzo e temano gli interlocutori prenderlo per debolezza, o piuttosto, in ambivalenza del loro sentire, sappiano d’avere qualcosa di prezioso e temano, svelandola, di perderla nella banalità che li circonda. Cui io stesso potrei ora partecipare se il mio dire, eccessivo prudente, forse poco sincero o falso addirittura suonasse, come dettato in cortese anonimato, tanto da far diffidenza, allontanare il compagno dal farmi confidenza e rendergli tutta banale la bellezza in cui immersi ci siamo. E con questa donna diverso non è, pur dopo tanto sodalizio. Sa d’aver un che di non svelato che impreziosisce l’animo suo o teme che povero sia per il mio cuore avido, e tace e perfino avara si fa di gesti, improvvisa tornando alla timidezza di quando aveva per me solo acerbo amore, ma assai dolce allora. Ma forse non sa quanto m’è cara, con ancora il suo chiudere gli occhi alle mie carezze, ora più di quando, io, fingendo un dolore acuto, l’indussi a un atto di estrema ingenuità, ma che tanto mi innamorò il cuore, che volle irrinunciabile il suo! Ella più di tutto e tutti misura la prossimità del dio alla voglia che ho di farmene rifugio. Ora che, avendola come tesoro, disperato esser non posso! Non sarà anche per questo che indugio e m’abbandono, se tra le braccia sue mi trattiene, raro oggi lo faccia spontaneamente?

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