domenica 24 maggio 2015

La sola speranza

      

A me fa meraviglia, pur all'età mia, come credo a molti, il cielo stellato, che da qui posso godere appieno solo attardandomi, salito a questi monti che fanno ghirlanda alla marina delle nostre cittadine, ad attendere la notte che s’annuncia serena. Ma anche mi fa incanto il sole che il cielo par lasciare per addormentarsi nel mare che l’accoglie a fargli culla, ma anche quello che da queste vette sale invitto ad inondare della luce sua tutto quello che in questo seno sonnecchia. Quando piccolo, assai diverso era, tanto scarse le luci nel primo dopo della guerra con tante angustie e orrori da scordare, possibilmente in fretta, in avanti fuggendo l’infanzia. Allora lì, dal terrazzo della nostra casa in soffitta, io con mio fratello, bambino pure lui ma più grande, genitori volendo, stavamo a guardare farci incanto i mille e mille splendori e le tante stelle cadenti delle sere d’estate che invitavano a un desiderio da tener segreto, perché s’avverasse. O quanto delusi sarebbero stati! E presto solo sarei rimasto a mirar quelle stesse lucciole di cielo a farmi sconcerto e tristezza. Perché l’autore di tanta bellezza aveva permesso la mia disperazione, un dolore troppo grande per piccolo già provato cuore? La stessa domanda di tante situazioni poi vissute nella bruttezza loro, a farmi sentire il peso e l’amarezza, che la fede lascia ci raggiungano. Ma come il sole ritorna con la giocondità sua, che fastidiosa e inopportuna può lì-lì apparire a cuore fattosi triste, finisce col vincere, coinvolgendo di sé a dare almeno serenità, così, timida dapprima, si riaffaccia la speranza e la fede torna con le ragioni sue, riproposte quasi con ostinazione, anche se i miti suoi fanno meno stabile lor dimora in cuore solo socchiuso, perché ormai diffidente. Sì, tutte le parole sono insufficienti e inadeguate di fronte al mistero della vita e qualcuno, che par saperne, riferisce incauto, perché farà alla altrui coscienza, titubanza, incertezza, l’esperienza sua mistica di contatto col postulato autore del tutto. Sì, il racconto si fa agli altri mito, favola, ché i creduloni solo accettano acritici, ma i virtuosi prudenti ne restano, ma rispettosi. Allora la fede mi diventa eroica, devo credere nonostante ciò che mi capita spiacevole, ma anche a causa di chi invita ad aderire a un libro di mirabili esperienze trasmesse, ma quasi tutte fabulatorie nel contenuto. Allora io posso solo lasciarmi irretire da chi, dalla sofferenza sua mai sopita, finché c’è chi la prova, getta la rete a catturare questo apparente ribelle pesciolino, che mi fingo, immaginifico, stia nuotando nelle tante lacrime che tutti versano, prima o poi copiose. È il cristo che solo può parlarmi, tacciano tutti, i narratori mistici ma mitici, lo facciano, ma i saccenti per primi! Ma quel tu non parla per parole, mi invita afono al suo amore, per me, per il dio suo, la donna mia e tutti gli innumerevoli esseri che brulicano per questo mondo in tanto dolore. E io non so resistere ai suoi fonemi non muti al cuore, condivido il suo amore e m’abbandono alla sua verità, per me sola speranza ormai.

1 commento:

  1. Eventi naturali che ci sono familiari nella loro periodicità sono qui rivissuti in tutta la loro arcana meraviglia come se l'abitudine non avesse affatto assopito lo stupore dell'uomo di fronte al miracolo dell'universo. L'autore vive questa rinnovata meraviglia come una sorta di salvezza dalla prosaicità in cui sprofonda la vita nel quotidiano Quanti percepiscono l'essere come dato banale, scontato ed hanno disimparato ad amare il prodigio del creato. Una nota di malinconica riflessione riporta poi l'autore verso mondi lontani nel tempo verso i quali è naturale provare una profonda e sincera nostalgia: tempi più poveri, senza i fasti vuoti della vita moderna, dopo una guerra scellerata. Tempi più semplici ma estremamente più autentici! Ed allora il pensiero si posa come una farfalla sul corpicino senza vita del fratellino morto in tenera età. La bellezza già percepita allora si rifrange nella circonferenza d'una lacrima che a stento l'occhio trattiene di fronte ad un mistero ancora più grande quello della morte: Dio che ci regala la dolcezza e poi inspiegabilmente la trattiene a se. Un contatto prematuro con la sofferenza rende l'esperienza dell'autore riguardo la resurrezione ancora più avvincente: in fondo l'alba ripropone quello stesso sole che era come morto inabissato all'orizzonte ed è resurrezione, rinascita, quella stessa che al cuore lega la speranza di rivedere i propri cari prematuramente scomparsi. Ma la resurrezione non è solo un fenomeno naturale per questo si affaccia sulla scena della composizione la figura titanica del Cristo visto qui come pescatore di anime e noi come pesciolini desiderosi di essere catturati nelle sue reti. Cristo è la speranza intravista dall'autore l'ultima e la prima, l'alfa e l'omega volendo usare un linguaggio apocalittico, ciò perché è nell'amore visto in senso universale che la speranza vive, si rinnova.

    RispondiElimina