martedì 28 febbraio 2012

Come già primavera

Già della vera stagione qui le essenze tutte lor verde manto rinnovar vogliono ad accoglierla, ché dolce tepore invita le novelle gemme a dischiudersi, e gli uccelletti e gli altri animaletti qui già si chiamano con sommessi e teneri squittii ai lor giochi, pronubi d’amore. E già vedi vagar le prime incerte cercatrici fuor del profondo formicaio e la torpida lucertola del muretto indugiare al primo tepore. Già tutto il chinale infiorarsi vuole e lo stradello bianco tra i sassi suoi è tutto ceruleo di stelle cadute stanotte e qui rimaste a farmi meraviglia, quasi fata di qui passata or ora sia, o tu stessa. Sì, sono crochi che l’erta tutta assolata tappezzar vogliono,occhi maliosi a far l’incanto a me, trepido incauto passante. Sì, è questo il tempo che prometter pare rinnovati sorrisi, e sospiri e presenze o anche assenze, diventate però ricordi lievi, delicate nostalgie, profumi tenui di epoche lontane..., ma forse anche novelli incontri da punger vaghezza a giovane cuore... E già bombi operosi tutti questi fiorellini visitano e di grida di gabbiani, che volan alti sulle falesie, l’aer tutto risuona e sono anche quelli della memoria di altre primavere, altri incantamenti, altre illusioni..., quelle stesse che materia danno a sogni antichi. Sono simili a questi, che ad occhi aperti faccio stamattina... Oh quanto propizia essa ne è stata come tutt’intorno daccapo fosse giovinezza, ma senza le ansie e carenze d’allora! E questa illusione, sento or davvero quasi malia, che m’abbiano fatto le cose tutte, ché è già corsa via l’ora e io non me ne son avveduto, ed è quasi già meriggio, quello del ritorno alla donna dolce che m’attende là, o chissà dove, ché luogo mi par di non più bene ricordare, e così anche tutte le sue parole devo aver scordato e le mie per lei, e come smarrito, mi chiedo che chissà se ancora, chissà fin quando, ella ci sia per me, e mi par il sorriso suo qua disperso tra le cose tutte e che lei, essenza tra le altre tante, coagularsi più non potrà in un luogo determinato, ad attendermi a un’ora convenuta...Tutto mi mormora di lei, tutto mi par lei sia, e mi fa assordante sgomento..., l’ho perduta? Ma questo stordimento anche passerà e forse lo è già ed è stato solo d’un attimo, ma greve come un’eternità d’angoscia, e daccapo sarà la monotonia di un giorno qualsiasi, vissuto concreto senza illusioni, da vecchio maschio disincantato! Ma forse giorno è questo, che scemerà fino a un languido rosso tramonto, che altro mattino forse simile annuncerà e la sera pur verrà, fortunata di stelle e di sospiri a chi giovane lo è davvero, e, chissà, forse distratto, non sa più di esserlo, proprio come a me accadeva! E io qui aspetto fiducioso in tanta dolcezza e non so più che, e non so più chi! Verrà? Verrai? Promesso l’hai? Sì e no, come sempre! Ma tutto in vento gelido di solo poc’anzi via è stato portato con le foglie morte, chissà dove! E così le mie parole, ed erano pur dolci e per te sola! Ora c’è solo brezza di tramontana e prende del mio e portartelo vorrebbe, ma non sa dove! E di quello che tu affidato le hai, me ne da’ qualcosa o tutto, ma io non so capire questa tenerezza... Sì, tu sola ancor dar mi vuoi, e che? Occhi, sorriso di madre, forse, ché bambino sempre mi vedi! E ora che nugoli di moscerini da queste infiorescenze d’olearia fuor sembrano venir d’incanto, che significato hanno alla fantasia mia? Sono i miei pensieri solo casti per te o piccole suggestioni che vuoi mi vengano ancora da queste cose che già malia fatto m’hanno stamattina, e nuovo or ora incanto forse sono al cuore e stiparvisi vogliono forse a quietarvi rimpianti, nostalgie, ricordi..., ormai troppo lontani, da condividere con te sola, ché sfuggir vorrebbero pure alla mia custodia gelosa. E daccapo sento che chi m’appartiene qui è dispersa, e questa volta so bene che tu sei! E il sogno di poc’anzi che la donna mia vi temeva imprigionata, questa verità svelava! Sì, dev’esser per questo che questo luogo tanto m’attrae, ha di te, ha te! Ma quando verranno gli asfodeli a far bianco e aulente tutto il chinale, quando camminare tra essi darà motivata speranza di appena più su tutta trovarti? E questi occhi che stipati si sono di tante cose e brillii vaghi e luccichii d’apparenze, vero ti riconosceranno, vedendoti? O non farli più attendere! Vecchi si son fatti e come cisposi, ben vedono solo nei sogni! Ma tu che sogno sei?

giovedì 23 febbraio 2012

L'idolo tuo vivente

Sempre dalle immagini o statuette tue, pur di talune ammirandone la bellezza, mi separa una distanza e non sento per quelle la vicinanza tua quando, orante, cerco gli occhi tuoi. Di tutte le icone possibili preferisco la vivente, quella che donna, che ami, offre. Sempre è di sé e oltre il suo sé che i suoi gesti-parola dicono, più delle parole stesse, e se vi si sa cercare, di te vi si scopre. Tu sei così parlata da lei, cioè descritta, lasciata percepire, intravvedere e parlante per lei, comunicante. Ho questa fiducia. Perciò se lei amo non a lei si ferma l’amore e il suo è infondo amore trasmesso. E allora che altro aggiungere?Tutte le immagini della divinità parlano al devoto per simboli. Così di te molte la maternità tua e l’affetto che vi porti, suggellano in un atteggiamento, che d’amore parla e di protezione delicata e gelosa del tuo piccolo divino, a significarti auspice della maternità e l’ugual cura che a noi figli poni. Altre t’atteggiano giovinetta pura, ignara del destino che per te si prepara, come noi ignari, ingenui un po’ e sprovveduti siamo di fronte alla vita. Sono tutte retaggio dell’iconografia pagana, che la dea rappresentata cogliere vuole in quel che più la significa. Così la classicità tramandate ci ha statue d’Afrodite, che le belle fattezze della citerea mostrano generose, ma sublimi, mai volgari, che lucore d’amore da secoli su estatici d’ammirazione irradiano, e di Artemide con l’immancabile l’attrezzeria da caccia, che trasmettono anche la sua volontà di nubile restare, ostinata e gelosa della sua verginità e di quella delle ancelle sue, e di simile tante altre effigi a ricordarci stanno una particolare funzione divina, nell’innumerevole parcellizzazione del dio, in singole divinità in quel mondo fascinoso che fu il paganesimo. Sì, parlano quei marmi a chi li sappia osservare! E sempre accade qui vedere lunghe teorie di oranti in particolari giorni di devozione popolare star dietro a una tua effige e molti, devoti o no, ala fare ammirati a quei cortei, che ti dicono lodi e preghiere e cantilene. Delle estenuanti processioni del folclore del nostro meridione ho ancora più di vaghi ricordi dell’infanzia mia, invitato a parteciparvi da fin troppo zelante madre, ma continuo a disapprovare le feste popolari, che immancabili seguono quelle, e di luminarie e bancarelle e musica profana son fatte, ma che in botti finiscono e in effusioni fantasmagoriche di luce, multicolori nel buio della notte matura, e così, in faville, sprecano il denaro dei fedeli, che ben più proficuo destino aver potrebbe nell’oggi tanto incerto. Io oggi rifuggo quelle masse paganeggianti e celebrarti voglio altrimenti. Ma, mi chiedo, la preghiera corale o solitaria che è?In che differisce il sospiro a te da quello che, innamorati, alla donna nostra pur indirizziamo quando lontani, e che cosa pensiamo che a te lo porti o alla particolare donna del cuore lo rechi, forse il vento, quest’aria che si prepara a profumarsi di novelle essenze, o la volontà, il desiderio nostro che ala ad esso presti? E tu vedi talvolta pia persona in solitaria accorata preghiera impegnata, presso al santuario o nell’aula sua, devota tener tra le mani sue una tua immaginetta e su quella sospirare e a quella indirizzare le parole sue e anche i non pronunciati pensieri, e la vedi accarezzarla e baciarla alquante volte, come se, a quella questo facendo, a te direttamente quelle effusioni di casto amore subito vengano trasmesse, anzi su te proprio e non sulla icona tua, effuse. Ma questo rito e ogni altra liturgia che fondamento hanno? Promuovono un incontro col sacro che avviene nel cuore del devoto o sono già l’incontro? E toccare una tua icona è come o è proprio toccare la sacralità tua? Il devoto così crede e avverte in cuor suo. Ma sono poi molto diverse queste credenze e questo sentire, solo mera illusione per taluni, insomma è molto diversa questa fiducia da quelle che stanno a fondamento di certi rituali profani? Io credo di no. Piuttosto è la fede nel divino, la certezza che tu ascolti comunque, che ne fa la differenza e giustifica ogni approccio rispettoso e devoto per strano che sia e ridicolo appaia al profano, che a dettami d’animo turbato o disperato quelle pulsioni riduce. Non diversamente però l’atteggiamento onesto, ma scettico, giudica la pretesa di efficacia, forse solo illusione che il simile simil a sé produca, da parte del negromante, che sua malia faccia su immagine o cosa appartenuta al soggetto, cui i sortilegi suoi destina. Egli crede di sapere che se su quelli con i suoi gesti opera, è sul fatturato che sua fattura gli effetti in simultanea produce. Certo possiamo sorriderne e crederci esentati dalla creduloneria che questa presunzione recepisca fondata e le da’ dignità, ma io ho toccato non meno gratuita fiducia, che solo di se stessa s’alimenta. E’ quella pura nelle costruzioni del pensiero razionale, ma che solo su se stessa riposa. Come certo è nel settore che un po’ m’ha visto competente, ma discorso analogo altri, più colto, farebbe, onesto, per la teologia e la filosofia. Cercherò qui di illustrare il mio pensiero con qualche dettaglio, e spero non desti noia tanto peso, nel mio e tuo lettore, ne risulterà meglio giustificata la pretesa di questo tuo fedele che è te che amiamo, amando la tua icona, che ci viva accanto. Dico questo. Accade che certi fenomeni del mondo fisico possano venir descritti da un modello. E’ una pura costruzione logica, che porta alla loro rappresentazione. Ne risulta una figura geometrica difficile da descrivere perché non è nello spazio in cui immersi siamo e che di quei fenomeni è il sostrato e l’ambiente, ma in uno astratto, matematico, diciamo. Ma ha tutti i requisiti e proprietà di una del mondo concreto, disegnata che sia da natura o da uomo. Il come sia possibile, è da adepti. Ma, è questo per noi non iniziati l’aspetto saliente, quando disegnata sia, tutte le conseguenze logiche, che si riscontrano operando sul modello, dovranno avere interpretazione nella realtà rappresentata, da ricercare accuratamente. Il fondamento di questa fiducia è la fede nella logica stessa o nella matematica, ancella sua, e nessun altro avallo c’è. Mai abbandona chi v’ha speso il tempo suo e che ha costrutto una corrispondenza biunivoca tra fatti che accadono nel reale e lor rappresentazione nel modello. Quando invece taluni eventi sfuggano, la rappresentazione andrà rivista, adeguata, o cambiata del tutto, ma a quella nuova, tenace ancora la fiducia rinnovata sarà. Sì, ribadisco, il nuovo più sofisticato modello condurrà alla fiducia completa che quanto si può concludere operando su esso, è di riscontro più o meno evidente nella realtà fisica dei fatti, e viceversa. Se tutto questo avvenir può nella mera astrazione, allora anche il pensiero magico-religioso non va irriso, la fiducia che gli adepti loro vi hanno ne è il solo fondamento, da accettare o respingere, ché ha un’analogia nella logica, che degna è giudicata di fiducia di per sé, e almeno la fede nella ragione può esser accettata, assioma della scienza tutta. Il problema è piuttosto questo. E’ effettiva la corrispondenza tra il nostro modello che fede religiosa ha costrutto nel cuore nostro e quel mondo spirituale a cui accesso si vuole? E mutatis mutandis del fondamento dell’azione magica ragionando. E parlando del primo, se quello che ho in me non è illusione, allora questa concretezza non garantisce pure che quel mondo verso cui indirizzo i pensieri miei, sia reale? E daccapo mi viene un’immagine dai miei studi. Il feto, che nel buio si perfeziona, è lì con occhi che pur non vedono, ha polmoni che non respirano e intestino che cibo non sugge. Cioè è fatto di organi, che presenza giustificata non hanno, se non per la vita futura, in un mondo diverso, cui si sta preparando. Ecco io ho in me un qualcosa. Aspirazione alla pace, al bene,alla giustizia,sì, anche! Ma altro ancora... Si spiegano con questa vita? Sono essenziali per la sopravvivenza qui? Mi addormento e questo qualcosa ritrovo nei sogni, mi sveglio ed è, mi sta sempre nel cuore, e vado e quello con me va e resto e resta esso pure. E’ con me sempre, è parte di me, è insopprimibile, è come me stesso. E io di tutto dubito, ma non di essere. Ecco il tuo fondamento in me. E se qui o lì, vicina o lontana non so, ma complementare, femmina ti sento laddove sei, come quest’idolo tuo, che davanti ho, simile t’è, ché mi completa. E questo idolum, questo specchio, non mente, prende del mio e a te lo rimanda. Ma ella passiva non è, ché l’amor suo fa di più. I moti dell’animo appena accennati, amplifica, magnificandoli per l’apprezzamento tuo. E’ un compito aggiuntivo che le è naturale o che s’è data, ma certo che da amore le viene. E lagrime aggiunge e sospiri e sorrisi e gioia se appena di questi pur vago riscontro in me abbia. E’ miracolo simil donna, ti significa e in me rafforza la certezza che tu sei, anzi ci sei e non so se lontana, o vicina per lei sola! Di te è garante, è la fisicità, la tangibilità, la concretezza, di un modello, che così astratto non è. Ma pure è ciò che non solo trasmette a te, ma riceve da te e me ne fa dono! Posso io piccolo uomo, e tanti a me simili sono, desiderare di più?

martedì 21 febbraio 2012

Dietro al grande medico

Come talvolta natura temporeggiar pare, da rami morti in apparenza e sterpaglie di simile aspetto, nel cacciar novelle foglioline e fiori, ché par tema freddo sopraggiunto che le tenere gemme bruci, e la biscia al tempo della muta sua talor quel momento vulnerabile par procrastini finché si decida a mutar pelle, questo un suo momento critico forse intuendo, e solo allora le vecchie vestigia lascia quasi diafane a far meraviglia di chi vi si imbatta, e come ancora la subitanea sortita del topolino da rifugio suo occasionale, lascia interdetto il gatto, che famelico l’attende, e questo non sa subito risolversi a inseguirlo, così talvolta è indeciso il cuore da pulsioni opposte sollecitato e ristà, mentre desideroso è d’andare e risolversi non sa. Desistere al momento o subito agire è il dilemma suo. E come l’intelligenza tutto vaglia e l’esperienza ben sa la pochezza o nullità con cui, valori e ideali incidano sulla vita, migliorandola nelle materiali necessità, anzi spesso appesantendone il destino, sicché pur si temporeggia memori di tanti affanni e sconfitte in azioni promosse o giustificate da quelli, tanto che, lì per lì, in accidia i buoni propositi mutarsi vogliono, così proprio or ora mi trovo io tentato a simile risoluzione bassa. Ma sento dentro la volontà, quel volere caparbio nonostante il vissuto, che creder mi fa a una possibilità nuova, che m’occhieggia invitante e promettermi pare che miglior esito darà. E come talor nei cuori provati, un cauto ottimismo subentra e par suggerire armi migliori, corazze e scudi impenetrabili ai sinistri dardi della sorte, e l’avvilimento, la desolazione delle circostanze scemano e si è spinti a una nuova avventura, così proprio a me accade. Io giacevo irresoluto, infiacchito, solo desideroso d’un cantuccio a sospirare qualcosa di perduto e mormorarne parole incomprensibili senza illusione d’ascolto, lasciando sopravvivere il corpo che lo spirito voleva negletto, da altri a provvedervi, ma ecco tu m’hai scosso, mi inviti daccapo, mi obblighi a riottenerti, a rimeritarti, mio solo bene smarrito! Sì, pessimismo e ottimismo sono semplificazioni delle pulsioni contrastanti che riceviamo da intelligenza e volontà, e il cuore, la mente, l’insieme dei pensieri più riposti che fanno il sé, è un nocciolo che oscilla da cattivanti opposte evidenze sollecitato. Ecco io titubante così ero, poi di uscir al sole novello mi sono risolto e pronto alla lotta piccola o grande che sia. E daccapo so di partir da condizioni sfavorevoli, non son forte di natura, né di coraggio ho molto, con in più le scorie di appena trascorsi fallimenti, con anche i problematici primi acciacchi d’età, ma accetto di trascinarmi questo fardello di negatività, pur che si mantenga viva, tenue ma persistente la speranza. E tu sei questa speranza! Ecco io la difenderò preziosa, ché pur se or da’ poca luce, le sue motivazioni s’accresceranno, peseranno di più, e essa m’arderà il cuore. Prima la sentivo spenta, già avvilita e ridotta fioca. Quando la certezza di ben agire sfarfalla, ché il suo lumicino fioco sta per spegnersi, occorre ritrarsi ché talora non accada che la volontà di bene si mescoli a quelle tentazioni, pur presenti, che qui propensi fanno alla rivalsa quando di vecchi torti si riaffacci il ricordo, sì allora i bei propositi in altrui danno mutati sarebbero! E io ero così, prudente, ritirato in me, ma anche lì anchilosato, titubante, incerto con la volontà fiaccata. Ma ecco gli occhi tuoi più che carboni ardenti a pungermi il cuore e a fugarmi il peggior nemico, me stesso. E’ proprio quel me stesso che si è ripiegato in sé a teorizzare la sconfitta, a farne un termine fisso dell’anima sua, in giornate che tutte uguali trascorrono in un grigiore opprimente. Ma ora tu ci sei e convincermi ancora vuoi della validità della lotta per il bene. E io or convinto sono che se è rischio di morte questa lotta impari contro la fame, la malattia, l’ottusità dilagante, l’ipocrisia, la saccenteria, la deliberata volontà di nuocere altrui, ebbene sia per chi amo, per chi non ho potuto e perfino per chi odiato m’ha, ma anche per gli occhi tuoi che sogno ritrovare nel tuo cielo, o mia sola speranza! Ecco sono daccapo sulla scena del mondo, la mia maschera s’è rinnovata e recita questo dramma o farsa che è la vita e vi vuol essere protagonista. E mi sento così libero dai condizionamenti di sempre, che se la vita fisica è voluto perda a breve, è meglio che accada ora, convinto di vivere una vita autentica spesa bene per il bene. Tanto è nobile questa causa che poterne morire è leggero, e io mi sento così esaltato che quell’eroe che mai sono stato mi par che sia or ora e che la vetta agognata abbia raggiunto a far garrire al vento il vessillo tuo. Ecco sol ora mi sento degno degli sguardi tuoi! Sono sempre nella stessa società egoista e ottusa, ma non più smarrito. Mi sostieni tu per questa donna mia. Ed ella mi dice convinta che questo destino duro, amaro, non è per sempre e noi non siamo nullità, qualcuno crede alle nostre possibilità! E sei tu! E così anche per lei muore in me il pavido, il remissivo, il rinunciatario. Sì, la realtà non può più impormi i suoi verdetti. Lotterò la sua prepotenza, la sua vigliaccheria. Sono ora il vero medico mai realizzato, il seguace del grande medico dietro ai cui passi vado,non più incerto e timoroso, il mio compito è lottare il male! Esiste uno scarabeo tutto nero, lo stercoraro, che la sua palla di sterco trascina indefesso. Sosterrà i piccoli suoi. La spinge a ritroso verso un dove sicuro che egli solo sa e ve la porta gelosa. E ogni asperità del terreno da parer montagna, varca tenace. E lo vedi spingerla e rotolarla su per l’erta, ma talora quasi in cima la perde, gli sfugge e quella in basso precipita ed esso corre a riprenderla e a risospingerla...Ecco, madre buona, quest’ostinazione mi necessita nella sequela del figlio tuo! Ma accanto ho una il cui nome non è una semplice fonema in “a”. Significa molto quel nome! Ogni sua parola è un cenno d’amore... E io tenterò, tenterò d’esserti degno, purché per quest’occhi tu non smetta di guardarmi!

venerdì 17 febbraio 2012

La motocicletta

Esistono luoghi impervi dell'anima
in cui è malcauto avventurarsi. E' così quello che prevale nei sogni, l'inconscio, in cui un caleidoscopio di frammenti disperdere pare l'io, quando affacciarvisi occorra in visita guidata, ché lì proprio è la chiave che risolve certi problemi dell'anima, ché turbamenti lì relegati e subiti anche nella primissima infanzia, e senza più ricordo, condizionano da sempre e fanno anomalo il comportamento dell'io. E il tanto difficile lì districarsi, monito è a non cedere mai a quel mondo, che cattivarci talora pare dolce, ché il rinchiudervi l'illusione di pace sarebbe azzardato, pena una peggiore malattia dell'anima, ché il disperdere il proprio io, fatto frammento tra innumerevoli altri, ne impedirebbe l'uscita a meno che un filo d'Arianna offerto sia da chi assista la nostra avventura e capace sia di interpretarla. Costui sentir fa un po' sicuri in siffatto labirinto, confortati dalle sue parole, che lo dicono esperto di siffatti luoghi dell'anima. Vi si scopre un sé diverso che sconvolge, ché adattarsi non vuole agli idoli, o preconcetti del conscio, illusioni che la mente costruisce e cui aderisce tenacemente per muoversi preparata con già tante risposte nel sacco e altre possibili per analogia, senza preoccupazioni eccessive, nel mondo di fuori. Sì, alludo a quei giudizi costruiti in anticipo o pregiudizi, che permettono una interpretazione pacata e coerente col proprio sé da svegli, dei problemi posti dalla realtà. Così però non si danno che pseudo-risposte, che possono anche reggere tenaci, ma che, non impegnando a fondo, quando smentite dalla critica d'altri o dalla riflessione personale onesta, pur poco compromettono il sé, e non intaccano la fragilità del proprio mondo illusorio, costruito a difesa dell'io. Ma nella drammaticità della precarietà sua, pur vien fuori un io diverso quando, come nei sogni incontrollabili, protetti non si è da quegli idoli, che così Bacone chiama. Di simile accade se al tuo mondo ci affacciamo, madre cara. Qui i pregiudizi di fede sono la chiave interpretativa assunta per spiegare fatti dello spirito, e forniscono una risposta non ansiogena ai problemi morali in coerenza con la fede condivisa con i fratelli. Noi ci siamo posti nell'immobilismo di verità-dogmi in sicurezza, per muoverci sicuri entro schemi noti. Sono le risposte di noi saccenti di religione ai nostri personali, talora angoscianti, problemi d'esistenza e a quelli degli altri, che prossimo chiamiamo, cui dovremmo solo sincerità, mai ipocrisia. Giudichiamo gli accadimenti che vengono a scuoterci con quegli idoli preconcetti, che i saggi della nostra comunità posti dentro ci hanno, a tutela, ma anche spesso a ossessione, dello spirito. Ma ecco che l'inatteso, che par non potersi inquadrare in tanto semplicismo, accade a sconvolgerci. Si tratta di fatti gravi, una malattia senza rimedio, la malattia o la perdita di persona cara, il dolore che consegue al frammentarsi di un amore... Esso opprime, angustia non si può forzare negli schemi e trascinarci vuole nei posti lugubri dell'anima, quelli della solitudine e della disperazione.Noi infatti siamo tutelati dai preconcetti nel fare, che può diventare occasione di peccato o devianza, poco o nulla in quel che subiamo, che è occasione di disappunto e dolore. E il cuore si ribella e mostra al dio lontano denti stretti e pugno chiuso. Eccoci creature fragili senza medicina per il nostro male e gli astanti, quando fuggiti non siano, paiono manichini dagli abiti di circostanza e le loro parole, improvvise tutte non senso. E resta la trave nel cuore, minimizzata in pagliuzza dagli stolti. E volano tutte le parole rifiutate, le sensate e le innumerevoli stolte, fuggono, scemano nel rumore di fondo del mondo. Allora l'aver aderito alla norma della comunità, dettata dagli esperti suoi, è come aver legato di lacci stretti l'anima, che ne ha impedito la libertà, occasione di peccato, ma anche è stato spesso deludente di fronte al dolore, e incapace di impedire, mera illusione di fronte a un avvenimento sconvolgente, la fuga verso l'arcano rischioso mondo di dentro, quello della pace nell'incoerenza e nella illogicità, il mondo della malattia sicura. E io, che libero ho voluto correre con la fiducia che, ovunque andassi, tu, madre cara della vera consolazione, potessi proteggermi e io trovare sempre le tue calde braccia tese accoglienti, or come nudo, senza riparo, foglia al vento sono. La comunità cui uniformato non mi sono mi respinge, per incoerente sicuramente, peccaminosa credo, incomprensione dei miei problemi, gli stessi che essa ha per sé accantonato! E soffia, sai, un vento gelido! Dove portarmi vuole, meschino? Qui raccoglie morte foglie ai piedi di grovigli di arbusti, nel folto scuro del bosco invernale. Un vento non meno gelido mi soffia dentro e intrappolarmi vuole in un non meno buio labirinto della mente. Sii tu il mio filo d'Arianna! Io avevo un sogno che tutto riassunto s'è, coagulandosi nel calda favola di una notte gelida. Io montavo la mia bicicletta di tanti anni fa e in quella che sai, e che inclusa volevo nel mio fantastico viaggio a te, m'imbattei...Bella mi pareva coi capelli bruni che aveva ragazza, tirati su a cipolla, come se il tempo poco o nulla l'avesse cambiata. L'invitai a salire a canna e così stette tra le mie braccia. E le dicevo: poveri siamo, ma questa è la nostra moto! E le mimavo il brusio d'un motorino e quella rideva da parer assai felice e il biancore dei suoi bei denti mostrava...Era già mattino, quello che col sogno svanito, alla realtà dura della fine di quell'incipiente amore portò. Io pensai di riferirle quello strano sogno, pensandola esperta di interpretazioni freudiane. Ma quella frettolosamente concluse trattasi di un palese sogno erotico e che lei nullo desiderio aveva che lo concretizzassi, non avendo di simile in sé. Ne fui gelato. Aveva risposto anch'essa per idoli della mente sua, forse appena prima costrutti o per chissà quali analoghi casi vissuti, ché non molto prima doveva aver deciso di porre fine alla nostra tenera storia. Io di sicuro avevo, incauto, in tutti i nostri brevi conversari a distanza, che la modernità consente, usato e abusato un linguaggio ambiguo, perciò il mio non era, al suo giudizio inclemente preconcetto, che eros mascherato! Così ora non c'è motocicletta che per me possa condurtela, attenderla dovrai per una via nuova, coi mezzi suoi! Io nel side car della mia ho la mia piccola donna fedele rimasta, e tutti i sogni nostri d'una vita. Ma finiti siamo in groviglio di vie, come in un labirinto, ne usciremo? E' solo il brillio degli occhi tuoi che potrà dircelo. Mostrali in questo buio! E mi guarda di comprensione questa donna, tenerezza le faccio nell'evidente confusione del momento che sembra panico volersi fare, e brillano in questo buio gli occhi suoi... Ecco tu parli per loro! E io le dico, con lode cattivante, parlandole come a bambina: piccola e cara sei e, quando vista t'ho per prima, come angelo di nuvoletta caduto parevi, vero la strada che alla madre mena conosci? Ed ella sorride, ammiccando...

mercoledì 15 febbraio 2012

Il mio tempo

Quante pene ha questo mio cuore stipate, e incomprensioni, paure, e parole, sgradite e inattese, vi graffiano ferite non facili da risanare! Eppure ha tenacia, non è vinto, e col suo stare nonostante, mi dice che questa strada di vita è sì erta e aspra, ma è la giusta, quella che conduce alla libertà interiore, la sola che mi monderà gli occhi, permettendo di vedere i tuoi. Ma quanti sforzi richiede e talora atti straordinari e un po’ eroici perfino, questo andare incontro al mio io ideale, cui voglio aderire e con esso identificarmi! Ecco è davanti, appena più oltre, da parere già poterlo toccare, eppoi basta un niente di fuori, un nonnulla di dentro, una chimera perfino, per vedermelo, strappato, allontanato daccapo. Ma chi è grande agli occhi tuoi? Credo non sia l’io agognato che apprezzi, non siamo grandi solo perché capaci di grandi sogni, ma ci fa grandi l’io attuante, quello che si sacrifica per un sé pensato a te più vicino, più degno di contemplarti, sì, tu è questo io transeunte che ami, quello in divenire che si sforza di coerenza e tenta di migliorarsi e ti piacerti. E passa il tempo, morte si fanno le stagioni e il vento passa a tormentare le foglie cadute. Son tutti i ricordi miei che ormai solo oblio farsi vogliono, sorrisi, parole, grida di bimbi al gioco, occhi, sospiri di donna...E a questa natura che mi immelanconisce, dolce m’è ancora indulgere..., essa argina quanto di pericoloso e volgare e grosso ancora mi insidi da fuori, e, da dentro, i ripensamenti, i rimproveri, le nostalgie, i dolori pur spenti, le angosce appena sopite...Sì, è il tempo che di continuo in me tenta distruzione col far, degli avvenimenti passati, rianalizzati ossessivi, o attuali amari, groppo al cuore. E si sfoca l’immagine tua e le braccia tue protese s’allontanano! Non era di appena ieri la blanda lode che accoglievo non fastidiosa e la critica non malevola né invidiosa che un sano stimolo parevano a migliorarmi? Sì, nella lode misurata e credibile vedevo conferma di quello che pur avevo a quel punto realizzato nel bene, che ingiusto sottovalutavo, spesso in eccessi di modestia, nella critica accorta e misurata la certezza di essere sì carente, ma migliorabile, perciò da accettare anch’essa come stimolo al mio divenire. E il tempo non ci priva tutti di molto e ci illude che ci rubi poco, ma soprattutto di queste opportunità offerte che incoraggino a proseguire l’intrapreso con maggior tenacia? Dov’è più il viver nella semplicità delle piccole cose, che facevano il nostro mondo di appena ieri, con amici tali da confortare della presenza loro discreta e benevola sempre, che, se lodavano non erano eccessivi, se criticavano il loro modo era blando e costruttivo? Non mi ritrovo sempre più solo a camminare? E oggi sono solo alla battigia, il cielo è tutto grigio, l’aria tersa e fredda, mormorano ora le onde e rabbiose sono state. La rena è tutta soda, non più asciutta, e, da far più tristezza, cosparsa è di piccoli oggetti al limite di dove l’onda s’è spinta, o di frammenti loro, di quelli che la modernità produce tanti e ne dissemina il mondo. E impudiche taccole dal verso sgraziato, fanno scempio, accanendosi sulle conchiglie stappate agli scogli... Non è uno spettacolo di pace e mi tenta a fuggir via. Sì, tempo fatto così è questo mio, ieri invitava alla vita e alla lotta, oggi alla rassegnazione e rinuncia, e non basta non voler che accadano certi fatti amari, tu li permetti e io, come sempre, non ne capisco il ruolo nell’economia della mia salvezza in te. Crepuscolo mi fanno dentro, e nessuna stella vi si affaccia e pare di morte questo cielo! Oh quanto mi costa viverti accanto intristito e così fiaccato nella speranza! Separano da te forse ultimi ostacoli da me stesso mantenuti frapposti, come improvvisa paura mi prenda di non trovarti là dove sperato t’ho! Ti prego allora, disperato, non privarmi, ora che la forza di correrti dietro tanto mi scema, dell’illusione d’esserti ormai vicino! E tocco queste mani e sfioro queste labbra, sono dolci, salate un po’ talora come di chi abbia pianto..., è questa piccola fragile icona tua!

domenica 12 febbraio 2012

Lettera alla compagna

Che è stato, chi ne ha pianto? C’è stata incomprensione tra noi e la confidenza, l’armonia dello stare assieme e dell’andare in due, ne ha patito...Ed è di ieri proprio, e m’hai detto di non poter essere felice dell’epilogo della pur penosa mia storia di ostinato tentato amore, invero nella forma casta, ma già sublime dell’amicizia, con altra donna che ben sai, ché io triste ne ero rimasto, e tu intuivi che il cuore morso ne avevo avuto. Immeritatamente mi son sentito amato e già per-donato, come mai l’avevo avvertito, e pianto ne ho questa notte, piano, e salate e amare quelle lacrime, e con sospiri velati, ché tu non ti svegliassi e ne partecipassi commossa. T’ho chiesto perdono, ché so hai sofferto e pianto disperata nel tuo segreto, fin dalle premesse, questa vicenda, e ti ho chiesto più e più amore nel rammarico e nella disperazione d’averti offesa. Tu sai dove attingerlo. Dolce è la madre, e ne darà, sì che ne darà per noi! Abbiamo un lunga storia di tante pene, ma anche di sogno e di un po’ di gioia e l’eternità ci attende insieme! Non dobbiamo deluderne la regina! Ma ora sento d’avere del nuovo e del bello in me, che ne siano nati fiori? Ché del tuo m’hai dato e avverto forse sanata già, l’anima ulcerata. Ma l’altra notte, di quando è accaduto, e me ne vergogno fin alla latebra del cuore, ho creduto che un demonio femmina m’avesse visitato la vita gettandola nello sconcerto, tanto ne ero accorato! Sì, l’ho perdonata, ma le dovrei per-donum, cioè oltre, più del dono, è comando divino, ed è accaduto già perché tu hai fatto sì che potessi perdonarmi. Ma da lei cose sgradevoli ho udite, anche se sapute dir caute come da lunga dimestichezza nel porgere il vero o verosimile che sia, immeritate, e forse le ho pur sollecitate col mio comportamento incauto e ossessivo, ma sono giunte inattese e troppo dure. Che è successo nella mente sua, che è accaduto a quel cuore? E pur dolce pareva! Forse invitata a un bel gioco ingenuo, ma anche sventato un po’, l’ha temuto pericoloso per sé o, chissà, per il nostro affetto e di rovinarlo, o c’è dell’altro ancora e mai ne sapremo, chissà! Verosimile è, ché la so buona! Ma c’è di sicuro, e amaro ne ho sofferto, che l’amore offerto sincero, rifiutato, m’è tornato, ma accresciuto, ché tu la tua empatia vi hai aggiunto! Ma io non ho un completo rimedio per me e tu sola aiutarmi dovrai anche in quello che pur le devo, l’amore nonostante, come il dio qui venuto, ha comandato. Io vero, come tutti, non so quanto ancora qui mi stia in questa forma e in questa insufficienza incoerente nel donare, che mi insidia la fede, ché recalcitro a quel comando, e se pur quel mio, piccolo ridotto, amore, che insopprimibile, m’è stato ricacciato nel cuore, è un buon inizio, non basta per una, che nemica ha voluto diventarmi. Chiedo di più nella preghiera e l’otterrò se tu la sostieni con la tua, se aggiungi le tue sante, sicuro più gradite, parole alla madre, alle mie pur sempre inadeguate, da peccatore relapso, ricaduto. Ma io più e più vorrei saperti dire e so di non poterlo adeguatamente, che non sono un uomo in fuga dalle sue responsabilità e se ho errato, anche preparando l’insuccesso dei miei propositi pur buoni, nella valutazione di psicologia e circostanze, tu ne hai pagato il prezzo maggiore e sono io che conto ne deve, non la fortuna matrigna o il destino avverso o cos’altro inventarmi potrei e imputare a diminuirmi la colpa. Sono, sfacciato e semplice, l’autore dell’appena evitato sconsiderato naufragio, in vista della nostra meta, della barca che porta tutto di noi, il passato dei pochi momenti sereni, l’oggi precario e triste, e l’avvenire sperato tutto felice d’amore, che la madre, buona coi suoi bambini sventati, pur vorrà concederci. E, se ammetto completo l’errore, so che questa è sì una sconfitta, ma un male che più ci ha avvicinati e resi coesi, sì, è diventato pace tra noi e vittoria persino, ché tutto quello che nei cuori abbiamo di buono e bello s’è accresciuto! Un male che viene e ne vien fuori del bene subito, come, paradosso, talora esso fa! E sai che sarebbe stupido, disonesto perfino, non riconoscere un abbaglio sì grossolano, ma l’inferno e il purgatorio dovrò passare per recuperare la dignità calpestata e so che constatarlo t’ha reso più triste, e dovrò accettarne le conseguenze morali e vincere la tentazione di demonizzare il comportamento inatteso della mancata d’amore, anche se solo mistico ormai poteva essere, ché amaro sorrido d’autoironia, forse feroce un po’, ché è a labbra tese, di non averle saputo inspirare sentimento alcuno nemmeno quando, belloccio un po’ dell’epoca mia, le sospiravo ben altro amore! No, viver non voglio in perpetuo alibi, ed esimermi. Se un po’ merito ho del bene che tento ogni giorno, e tu m’aiuti in tutto, qui ho palesi manchevolezze e voglio pagarti con più e più dedizione il dazio delle mie avventatezze. Sono persona, uomo al fine, non più il bambino di sempre, il tuo uomo, lo sento con orgoglio! Sì, cammino verso un dove, giudico, dico, faccio in accortezza e onestà, e rivoglio esser degno di condurti per mano! E le mie parole, quelle semplici del cuore, mi nascano e fuori ne vengano per te sola! Voglia la madre cara sostenere la tua generosità e aiutarmi ad esserne degno e liberarmi dalla sensazione di inadeguatezza, quella che tu ben altro uomo meritassi, avendomi tutto sacrificato, sì, pure il posto, che agognavi nel cuore suo, di chi s’affretta per i bene dei più. E or ora al fine sento l’anima mia così nuda, che, se ella mi chiamasse, facile passerei la cruna! Ma già quel che vi dico s’è fatto balbettio e presto sarà solo sospiro...
Ti prego, mettimi nel cuore del tuo cuore!

venerdì 10 febbraio 2012

E' persona il male?

Se la realtà tutta non avesse un senso da esprimere con parole molte o poche, ma per enigmi solo apparissero del vero i barlumi, ne sarebbe ristretta e invalidata dell’uomo la conoscenza. Allora certo né savi, né stolti o folli, né di far giudizio equo, né insipienti e ingiusti apparire, né buoni o cattivi gli uomini sarebbero, ma mediocri tutti, ché alla mente povera la comprensione della fisicità del mondo e alla coscienza la necessità di una legge morale scemano, né molti problemi si porrebbero, nell’oscurità rimasti. E invece la complessa realtà si risveglia ogni giorno con noi e si ripropone, come appena il sole si leva a illuminarla, come problema cui rispondere. E ne da’ la scienza di risposte, anche se provvisorie! E sagaci più e più diventano i suoi investigatori, affinando la metodologia, e noi troviamo buone quelle conclusioni offerte, e ce ne avvantaggiamo nel quotidiano per le pratiche applicazioni che da quegli studi vengono. Ma v’è chi in logica fa errore, in etica fa male, nel sociale prevarica con altrui danno o fa violenza alle cose, e da qui le guerre e la barbarie, che l’umanità tutta hanno da sempre attoscata e angosciata d’odio. E che dire di ciò che sempre riproposto viene come prezzo dello stare al mondo, l’incomprensione, l’invidia, l’amore disprezzato, la malvagità gratuita, l’azione proditoria? E di più che dire dell’ostilità della natura, che da matrigna vuol fare talora, è di questi giorni pur gelidi, e della fame, della solitudine, delle malattie, della morte? Tutto un lungo elenco di parole d’angoscia, che fanno il dolore dei viventi tutti a questo mondo! E forse molto semplifichiamo se diciamo che tutto questo è opera del maligno. Il male però davvero sembra essere qualcuno che vive da sé, come persona in autonomia e libertà, e forse sta qui come uno che si illude, come ogni altra creatura è tentata di fare, di bastare a sé. Non fanno così i saccenti, gli arroganti, i fortunati, i ricchi, gli esenti, i troppo amati, ché ovattata la vita trascorrono, ma alla vecchiaia pur s’avvicinano e più e più alla morte, e che s’illudono di autosufficienza e stringono il loro a sé e poco o niente ad altri ne concedono? E io intuisco che questo archetipo dell’umana paura è qualcuno. E’ vero, è falso, è dogma, è da creduloni, è fede? Forse tutto e niente di questo a un tempo, come accade dei fatti dolci o amari di qui che la mente imprigionar vorrebbe, ché tutto e niente sono, preziosi nell’addormentamento o ricordi brucianti da esserne tentati di rivalsa, ma tutti della vacuità dei sogni... Allora ben si dice che celarsi è suo inganno! E tanto la fantasia v’ha chiosato e ne ha fornito immagini, dalle assai ingenue e grottesche del magismo, alla iconografia più sofisticata della religione. Solo miti da sorriderne? Non so! Arduo è parlarne e, non conoscendolo, solo nomi di convenzione gli diamo, demonio e satana o che altro? Ma il solo dio può chiamarlo a nome, ché ben lo sa, e lo può anche con urlo inarticolato di protesta, la sola angoscia. Ma il dio lo chiamerà alla fine e lo iato del mondo si richiuderà e il tempo più non sarà. Mi confesso qui seguace di Origène che l’eternità al solo dio e agli eletti suoi riserva, e che proprio tutti lo saranno, afferma, ritenendo l’inferno luogo metafisico dalle mille e mille pene, provvisorio. E dall’altro estremo, dalla lontananza che lo confina solo, il demonio che lo conosce al pari degli altri angeli, potrebbe ben chiamar il dio, l’impronunciabile. L’invoca incessante?Non so! So che diversamente da certa filosofia, san Agostino non ritiene il male principio opposto a ostacolare il bene, ritiene invece sia coagulato in creatura, che vien fuori evocata ogni volta che l’uomo nientifica il bene, distorce, ne capovolge la gerarchia per cupidigia sua volta a un bene inferiore, ma più allettante, posponendo il più alto e degno. Ma questa non divinità oscura e ribelle, ridotta a creatura, dov’è? Sta tra le cose o nelle cose, sta tra noi o dentro di noi? Dentro identificarla alquanto possiamo come fonte di quelle pulsioni che si oppongono all’io morale, lo scoraggiano, lo soffocano e come morto lo vogliono. Sì, egli è proprio in tutti, forte, insonne, ché mai non ha requie, come in noi mai si spegne la cupidigia. Nessuno è dal peccato esente. Egli ne suggerisce suadente, ne svela le cattivanti motivazioni, le giustificazioni a pretesto e ne resta avvilito, invilito l’animo nostro. Sbagliavano forse gli antichi dal pensiero viscerale e rozzo a vederlo di brutt’aspetto. E’ gentile costui e si nasconde forse in modi da raffinato, da esteta e ha, paradosso, di donna spesso l’aspetto. Ma certo non ha sembianze di strega o eretico, nemico del viver sociale e della religione. Ecco, nessuno ha le mani nette e se io mi volgo fuori a cercarlo ecco che  mi si ricaccia dentro. Inquina di sicuro i miei pensieri, la capacità di star di fronte a chi m’ama a ricambiargli il dono che mi fa e che, come questa donna mia, ne gridi il bisogno! Io davvero sento che questo m’accade e non alla mia propensione al peccato imputo la mia malattia morale, a lui anche e di più e non sapendo risolverla, me ne tormento. E trovo che quanto più fatico l’erta della vita a raggiungerti, madre cara, qualcosa e forse qualcuno, greve mi ricaccia in basso. E’ da me che cado o mi si spinge? E se davvero c’è un tormentatore, che forse più se stesso tormenta, sento che aiutarlo devo, col rischio di perdermi sua vittima, come da bestia impazzita che chi le da’ soccorso morda e tu sai che or ora è stato e me ne ha sanguinato il cuore! E sarà per un poco o forse più di un poco, chissà! Sì,il male è la barbarie, è l’errore e forse anche il fratello meno fortunato con compito gravoso e ingrato, ma necessario. E come tu e il figlio sospingete, per generosità o se aiuto vi si richiede, al dio, egli forse solo finge di fare altrimenti. Tutto sembra mito, ma no, è proprio vero che la verità non potrebbe essere colta senza i molti errori per raggiungerla e non è di simile che accade per il male che annientar vuole le ragioni del bene, ma anche lo fa percepire per piccolo e timido che emerso sia? E metafora adeguata mi pare, l’attrito che forza è da opporsi al moto, ma che anche lo permette. Ecco se vero è che il male è persona, c’è una positività in lui. E ha caparbietà costui e apparente invincibile capacità a nuocere, ma ecco, e finge di non saperlo, fa che il bene sia! E questo è come tarlo che lo divorerà tutto! Allora, fratello sfortunato, lascia che t’aiuti con la preghiera, e quando tornato sarai alla bella signora, le stelle cadranno e questa realtà d’angoscia più non sarà. Non è questo il senso vero del comando divino, diligite inimicos vestros? Cioè per-donate fino all’amore quelli da cui male aveste. Ed è di ora per me la tentazione a non farlo! E riconoscerlo dentro fa che mi guardi senza vergogna e guardo, guardo della meschinità il contagio e fuori anche e tutt’intorno, c’è di cambiato? Ma ecco qui proprio gli occhi dolci della mia donna, il suo sorriso, ché smesso non ha d’amarmi, nonostante il mio abbaglio! Ecco il sole, ché il vento ha frugato tra le nuvole grevi e la luce ne è venuta fuori! Ecco gli alberi, le erbe tante, i fiori e gli uccelli e i tanti piccoli esseri che nel bosco vivono! E saperli nella fiducia del dolce tepore che pur verrà, tenerezza ne ho al cuore... E ancora ci sono le stelle oltre questo cielo greve! Sì tutto mi rende estatico, ammiro questa vetrina che è il mondo e vedo che solo l’uomo vi fa vanità con le illusioni sue ai tanti luccichii di qui e quelle che ad altri procura talor vago di fare. Ma saperli tutti precari, minacciati da colui che crediamo persona, mi rattrappisce l’incipiente gioia. Ecco, so del pericolo e ne ho paura, ché dir non so dove s’annidi! E’ qui, è là, è fuori, è dentro, è nelle parole amare, è in quelle dolci, è in quel che faccio, in quel che dico, in quel che vorrei e spero, inguaribile ingenuo, o nella negazione che ne sia? Guardami tu, bella signora delle favole, da esso o da lui che sia. Guardami dall’insidia delle false icone tue, che lo nascondano e ancor creder non lo voglio, eppur or or m’è accaduto! E dico: te, lucis ante terminum, prima che la luce finisca..., di questo giorno del mio demonio femmina, ché il male tu comprima stanotte e non mi contamini! E fuggono i fantasmi delle mie notti, tu sorridi fascinosa e riverbero della luce delle stelle fanno i fiori tra le labbra tue!

mercoledì 8 febbraio 2012

Sogno di madre

Amore è come luce che s’accresce, dice il poeta, se il cuore è capace di recepirlo e condividerlo. Cioè è una sua ricchezza o talento che, ripartita, accresciuta ne resta, diversamente da ogni altra che qui si farebbe macra. Ne la “comedìa” sua ne fa un’illustrazione ottica, sostiene che sia come luce riverberata, che, riflessa, altri specchi incida, potendo ritornare al primo accresciuta dall’ultima riflessione. Ogni amore che per sé solo non sia, mima quest’amore che comanda la condivisione e dal dio viene. E che c’è tra noi? Tu sei compagna di vita e dolce secondi il destino mio e le asperità sue. Siamo due che vanno insieme, e tortuosa è a volte questa via e talaltra come erta faticosa, ma se l’uno s’arresta l’altro non va, e se soffre o è nella gioia l’altro ne partecipa e se dona all’altro nulla perde, ma quello che da’ gli torna accresciuto. E’ come riverbero di specchi, che posti di fronte siano, e la luce che l’uno riflette sull’altro, non si disperde, ma torna da quello che raccolta l’ha e trasmessa. Allora se vero è che a noi viene dalla bella signora, dobbiamo, riverberato, rifletterlo che altri ne disponga, ché dolce ella comanda di farlo. E noi così la sappiamo vicina. Ha pianto le lacrime nostre e della gioia nostra a fior di labbra ha riso. Fa di simile nella bella natura e quando quella ride lo fa e ne piange accorata il dolore, se quella del male subisce. E saperla tanto attenta alle cose del mondo certo conforta e appaga il chieder nostro ansioso se tutto della vita nostra un senso condiviso abbia avuto. Ma qui, dove vengo per i pensieri miei meglio sentire, un vento gelido da orto cerca invano tra i rami morte foglie da portar via ancora e mi intristisce tanta ostinazione, ché metafora mi pare per me, che dall’ottusa nera falena minacciato mi sento, di doverti lasciare strappato via, e chiedo alla bella signora di permettere che insieme ci prenda. E ricordo Epicuro morale, asceta del viver nascosti, che grande farmaco, da vincerne la paura, pensava venisse dal piccolo conforto di non negarsi le piccole piacevoli cose della vita. E noi piccole gioie e sorrisi scambiati pur abbiamo nei giorni migliori... Certo frainteso è dai gaudenti di ogni epoca esasperati nella ricerca del piacere di per sé. Egli, ingenuo, pensava che ogni uomo ha del grande in sé, se è capace di frenare le pulsioni del corpo avido con le gratificanti esigenze del pensiero. E non avviene di simile nel fidente? Già l’uno per l’altro i nostri sguardi sono stati e sono, e amarsi è confidare. Ma anche confidenza abbiamo nella bella signora che non è tra le stelle, anche se l’amor nostro lì s’aspetta di incontrarla. Non è tra le cose, ma nelle cose e allora sicuro l’abbiamo nel cuore. Ma da lì tanta luce uscir vuole e inondare gli astanti increduli, che avvertita in loro non l’abbiano, ché si lascino andare in un oh oh lungo di meraviglia. E vi si agita come mosca, che, catturata, sotto coppa rovesciata tenuta sia, ma quando appena quella si sollevi, libera presta si leva e vola via. E che è per il cuore metaforico la coppa che la bella impaziente tiene chiusa? Certo i pensieri grevi a schermarla, del tenersela per sé e non condividerla, questi stessi che corposa fanno la tentazione di sempre celare il prezioso. E non è l’amore un fiore che non si vorrebbe colto, una gemma preziosa che celata ad avidi sguardi si vuole per contemplarla al sicuro nella latebra del proprio cuore? E non sei tu gelosa del mio presunto interesse per altra donna, come e più io sarei se a simile comportamento tu tentata fossi per rivalsa? Ma così imprigionati saremmo nell’umano comune sentire e agire che debolezza è di creature fragili a questo mondo. E muore la luce in noi se non permettiamo che condivisa torni accresciuta. La madre, che le cose tutte ha col figlio suo fatte, vuole noi stessi dono ché oltre il dono ne venga. Non ci ha ella amato, non ricambiata ancora, ciascuno nei sogni di altra madre, nel buio del suo seno già come piccolo incipiente grumo? Quella recati ci ha per il mondo delle lacrime sue, delle sue angosce e delle sue speranze. Se quella stessa che nel grembo suo ci ha avvertiti crescere al silenzio e al buio, ché suoni e luce e respiro poi avessimo, allora è anche e proprio la bella signora che nel seno suo ci ha custoditi amorosa, ché da lei ne evaporassimo e coagulassimo in grumi d’amore a questo mondo sotto manto di stelle e notti di lucciole. E le orecchie ai suoni meravigliosi della natura e al babillage dei coetanei, tra cui a pargoleggiar si stia, abbiamo aperto e alle parole sillabate e ripetute amorevoli di madre e alle canzoni sue, e gli occhi al sorriso suo e ai colori di giorni radiosi... e farfalle leggiadre e bombi operosi e uccelli tanti, e fiori, fiori e sogni, sogni hanno fatto la nostra prima età! Poi siamo dovuti crescere..., ma viver possiamo il sogno suo! Ed è bello questo, infiora ancora la vita, ci invita..., ad esso abbandoniamoci, è sogno di donna, è sogno di madre, è sogno d’amore! 

martedì 7 febbraio 2012

Le parole del vento

Dicono i miti che luogo nel ciel v’è in cui bella tra gli angeli tuoi tu sia. Ma tante e tante lodi non ti noierebbero? Voglio io credere, e pensare così a te m’avvicina, che qui col figlio sei e da sempre, a pianger le tante lagrime amare degli uomini e delle creature tutte.
Quale, mi chiedo, vita di gioia aver potresti se le cose di qui languono nel male? E il vento va, indugia tra i capelli della mia piccola donna, ch’odoroso ne resti, oppure le sussurra qualcosa di mio,che affidato gli abbia, ma ella l’intende? E se ridire forse non sa le mie parole per te, sospiri potrebbe il vento portare? E sfoglia or ora le pagine di questo libro aperto... e se questo fosse quello delle belle favole che dicon di te, non farebbe di simile? Sì, quello delle storie tue, e come or ora accade che or qui or lì soffermarsi pare, su quello esso farebbe, e a caso si direbbe accada, o forse, chissà, per tua mano, una scegliere ne potrebbe. Ma sa leggere il vento? Oh fosse così, ché io non le intendo! Io son sol uno che dice e ridice le sue parole per te a questa donna amata anche se lontana, ché te le trasmetta nei sogni suoi. Ma sogna ella di mistico amore, e se sì, lo fa per me anche o sol di sé dice? E sfoglio i ricordi del cuore suo a cercarti, quasi tutti di me partecipi, ché se tutte le donne recano di te, questa icona tua speciale è, ché angelo era e l’ali sue perder dovette! Ma così celato è di ogni donna il cuore che mi chiedo, lo intendo vero nelle immagini racchiuse gelose? E non so più dove cercarti. Ché se pure dell’altra donna, che sai, vero avessi l’affetto, e nulla ne so di sicuro, avrei con quella più successo se ella mi lasciasse legger nel cuor suo? Non hai tu celato la mente, cioè i pensieri tutti, che diciamo cuore, ché nessuno vi legga? E quand’anche invito ne ricevessi, non sarebbero nebulose più ancora le parole di quel cuore che appena dischiuso si fosse? E che dire di me? Anche tra i miei sogni c’è tanto e niente di te! Parole, congetture, immagini sfocate...E qui dove, ostinato, pur’oggi sono venuto, freddo fa e gelo fino al cuore fisico e al metaforico anche, ché niente parlarmi di te vuole. E io tanto qui, dove qualcuno ascoltar pare, vorrei mi dicessero le cose che interrogo ansioso, se questa mia pena tu condividi, se questo desiderio di te è quello che tu stessa hai per me. Ma vi soffia e ottuso il vento e gelido, e i miei pensieri rattrappisce tutti e me li ricaccia nel cuore. Ché ne dico così? Forse è proprio lì che ora esser non vuoi! E allora parlagli, ché esso la tua lingua arcana intenda, savio rendilo, esperto nel ridire, così che me ne trasmetta, fedele, parole agognate. Lascia provi a capirla, dinne almeno sillabe nel babillage di bambini innamorati, forse udirle chiare potrò, ché questo uso è, per le cose di qui, stormire, da parer parlar voglia! Sì, forse è proprio il brusio del vento, che carezza del chinale frasche dormienti e fino al cuore vuol giungere per i vestimenti miei leggeri, la voce tua. E io, che intenderla non so, faccio ottuso il vento e sol’io lo sono forse! Ma ora lì una ninna nanna cantare vuole... Dolce è il brusio, ma freddo è, e forse solo al sonno delle cose morte di qui invita suadente, come se, musica mimata, da madre venga, ma da te allora non viene, ché vita sei! No, è stupido il vento o talora cattivo! E allora vero più non so di te...O occhi, cuore di donna, perché miei esser non volete? E rivado ai ricordi di bambino, lì calda una voce di donna amorosa canta e dice del suo amore per me e che il babbo lontano tornerà a breve. E cade lenta lenta la neve in quella favola bella, ma io pur tranquillo dormir potrò, se quegli occhi mi guardano e lei al cuore suo caldo mi stringe!
E ho cercato, cercato, e sette paia di scarpe ho consumato, narra la filastrocca antica, e or almeno l’amor tuo trovato dimmi che ho! Ma che nome hai, che occhi, che cuore? Non dirli a questo vento, aspetterò la dolce brezza dal mare che pur verrà al tempo delle novelle fragranze...Ma dolce è il nome della donna amata qual esso sia, me lo dice quello della donna mia!

venerdì 3 febbraio 2012

Un amore mistico

E’ proprio quest’aurora che non s’annuncia felice! Non indorerà le cose assopite e anchilosate dal gelo e così non conforterà l’etimologia sua errata, che l’ora dell’oro vuole sia. Essa annuncia l’imminenza dell’alba, che tutto non imbiancherà col suo raggiare un sole novello, oggi agognato, sopra le vette innevate del golfo. Vi rosseggia scialbo or ora un giorno che si sperava di luce piena e che tepore desse a questa terra da freddo inusuale tutta rattrappita. Sarebbe stata una forma della speranza di te, che tu venga e di calore e d’amore tutto inondi. Sì, da occaso nubi grevi ancora si spingono a velar tutto il cielo e forse nuova pioggia a breve sarà. E’ come per me la tentazione che mi scemi la speranza di te. E io ho salda questa speranza? Oh quanto t’ho cercata! Sospirata, t’ho creduta sfiorata quando una tua icona, donna di qui, più t’ha significato. Ma non v’è di più sicuro a questo mondo, ché vaghe son le donne talora da velarti? Per avere di più occorre farsi come bambini, di quelli cui tutto si può dire, ricevendone assennato consiglio perfino, se saputo porgere. E’ libero un bambino, disponibile, senza pregiudizi, aperto alla verità. E io per te come bambino mi son fatto e il mio ormai è babillage da piccoli... Ma è or ora che qui una apparente verità mi tormenta e che spingerti vuole ai confini del nulla e me con te, tanto essa è cruda da sconvolgermi tutto. Vedi tu come qui anche si muore! Nello strazio madri impotenti sorreggono il capo pesante in corpo assai gracile di piccoli lor nati e già moribondi. Enfiati i ventri, scarni i visi come già teschi, occhiaie smisurate nell’immagine della fame. E tanto pianto e urlato hanno di inedia e rabbia coi figli loro, che gli occhi si sono prosciugati, come vuote, rinsecchite sono le mammelle loro, tristemente pendule. Chi piangerà ancora? Ché lacrime da riempire otri e otri sembrano non bastare a che tutto finisca. E io, proprio qui, attanagliato da queste storie di quotidiano malessere, che la follia dell’uomo mantiene a suo perenne scorno, paio non ricordare ora che qui tu solo vedi con gli occhi nostri, finestre a questo mondo malvagio. E sei tu che piangi, che hai pianto da rinsecchirtene gli occhi e piangerai e urlerai contro al cielo chiuso, ché pende il figlio tuo da sempre novella croce, ché novelli aguzzini ve l’hanno ancora chiavato con rabbiosi chiodi. Sono rabbioso anch’io stamattina, ma non di cattiveria, reagisco eccessivo al silenzio tuo assordante. E qui presto venuto, lascio che, come il gelo della tua assenza m’inonda il cuore metaforico, così esposto il cuore fisico, senta esso con voluto danno, l’aria gelida. Penso a quanto improbabile sei e m’urla dentro una rabbia, che non so reprimere, quella per l’ingenuità d’averti supplicato che m’aiutassi nell’angoscia, oggi per quella giovane vinta dal male, ieri ancora e ancora per persona assai cara. Come hai potuto non far qualcosa, come di simile oggi lasci accada? Forse non ho pianto e sofferto abbastanza? Come puoi non occuparti dei piccoli che soffrono stenti e malattie e ne muoiono? Presto questo vecchio cuore cederà schiantandomi o protesterà alla sua maniera, con una caotica danza...Mi dico ora, sono blasfemo? Voglio esserlo ché mi scemi questa rabbia o morirne! Vorrei che un malore del cuore m’annientasse, come quello dei pensieri che dentro fa malata la mente mia. Ma forse nel delirio suo questo vecchio cuore solo di tant’acqua mi priverà da farmene macro. E allora sorrido! Fossi improvvisamente rinsavito? Ricordi quella volta che con amica leggiadra, dolce conversando, per questo bosco andavo? Poi prendemmo a dire fatti amari di persona già cara, e or più ancora diventata, temuta dalla donna mia quasi amore segreto sia. Tanto ne rimasi sconvolto che il cuore mi s’agitò tutto improvviso e io, che per timidezza non le confessai la mia urgenza, finii tutto bagnato. E quella un po’ sorrise forse reprimendo schietto riso, ma per confortarmi mi narrò un suo episodio di estremo imbarazzo e vero ridemmo di quegli accaduti, che ci accomunavano. E così or ora avrei voluto che m’accadesse un delirio di bizze al cuore per la rabbia che mi fanno certe cose o notizie, e sarebbe stato il mio modo di mostrare il pugno serrato contro al tuo cielo chiuso. E’ sterile questa rabbia e s’è stemperata sorridendo a quanto di bizzarro m’accadde e forse ne sorridi tu pure al buffo ricordo. Ecco, talora diverto le donne mie! Ed io che pensavo che da questa malattia disturbante, che tanto limitato m’ha in questi anni, nullo vantaggio ne venisse! Tu sai che è uso tra quelli che come me hanno disturbi dell’ego che si trascinano da un’infanzia infelice, dei nevrotici parlo,che un qualche vantaggio traggano sempre dalla malattia loro e da ogni altro accidente per commiserarsi ai propri occhi, o a quelli di persona vicina e cara, empatia suscitare, o nelle forme più gravi degli isterici, a quelli degli astanti. Così ora so che potendo sorridere degli accidenti legati alla disgrazia mia, pur’essa m’aiuta la vita. E tu sai che recente ho una donna esperta di queste cose ritrovato. Voglio aiutarla e portartela o forse voglio farmi aiutare nel volo a te. L’ho invitata al sogno, l’ho invitata alla favola e così alla mia follia. E’ un modo che s’innamori, che l’inconscio furbo m’ha dettato o, bambino vero, non so esprimermi se non con quel linguaggio immaginifico e suadente, del “c’era una volta” e del “vissero felici e contenti”? Ma da che canzonava lo strano mio interesse per questa, che sa fiamma antica, ora la mia s’è fatta una donna che teme, e cosa? Celerei con le mie storie, che pur da sempre incantata l’hanno, un amore rinnovato, addirittura un tu per un noi, come se nella nostra vita la volessi! Mi rammarico che tema spezzi il nostro armonico ritrovarci ogni giorno per un totale essere dell’io nel tu. E mi chiedo ansioso, ha ragione? Se questo sia amore non so, ma se sì allora mistico è, quello che tu stessa vuoi mi riempia il cuore! Ma forse ripartito non lo vuoi a più tu! Chissà!E vola, vola la mongolfiera dei sogni miei, due donne vi sono salite! Spero però non s’intendano a buttarmi giù! Quanto vorrei sorridessi come faccio io a questi miei pensamenti che precorrer vogliono, fantasiosi, ciò che forse mai sarà! Sì, come quando questa tua icona che mi pende a capo di letto, mostrato ha un tuo più ampio sorriso alle scemenze mie, intese che ne ridesse la donna mia, che facile or s’incupisce da non più saper che bagattella inventarmi per distrarla, e non so con quali occhi t’ho vista ridere a fior di quelle labbra!

mercoledì 1 febbraio 2012

E' sogno e gioco la vita?

Proprio oggi che più d’ascoltarmi disposta sei, interrogarmi vuoi su una cosa difficile, la vita, e io saperti risponder vorrei facile e non saprò, ché stanca ho la mente e forse deluso il cuore. Dirtene il significato a parole piane vorrei, ché per te diventi un logos, un senso esprimibile con parole, e più ancora per me che, a spiegartelo, più chiaro mi diverrebbe. Perché esso riposto è? Se di molte cose e fatti sappiamo il quia, il poiché sono, riconoscendole, o constatando che accadono a questo mondo, non il quare noto è, cioè il perché ci sono o avvengono. L’origine ultima loro attinge al mistero del perché della realtà, e sfugge, nonostante la mente che l’interroga, s’affini fin dalla penombra meditativa della caverne, su questo problema.  Chiameremmo, se conoscer potessimo questo perché originario e originante, la luce, il dio, la saggezza, il vero, il giusto, l’ultimità appagante, e invece sfugge e problema rimane, a monito forse della sete di conoscere, che non cessa, forse benedizione e iattanza insieme dell’uomo. E dell’attrazione tra noi che ci ha legati fin qui, che dire? E’ continuata, è sfociata in amicizia vera, sublimatasi nel vedere e sentire allo stesso modo e sperare lo stesso futuro, e sempre più ci sollecita al di là della vita effimera a un luogo che situiamo, come mito, al di là delle stesse stelle. Lì la mente più affanni non avrà, né il vero, né il falso , né il giusto o l’ingiusto, e l’interrogarsi, e il cercar di saper e darsi risposte soddisfacenti,o non farlo, né saggezza, né follia, vi avranno luogo, ma il solo amore. Sì, solo l’illogicità, la semplice e mera irrazionalità dell’amore! Vedi, oggi una cappa gelida di nubi scure tutto sovrasta e io trascino in mio passo greve sulla rena e, dolce di mistero, mi par come sciabordio il frangersi di onde tranquille sulla battigia. E' mormorio di risposta anche alla preghiera accorata che la fata di lassù forse accoglie vero, ché vorrei il piccolo nostro amore ella protegga. Vedi, c’è violenza a questo mondo e si lotta per il poco bene. Senza il mio pensarti e il tuo rispondere ne avrei sol squallore da tutto questo, e non meravigliarti se difendere voglio il poco che abbiamo, e se prego la signora delle stelle, è per stemperare l’ansia, illudendomi d’ascolto. Ed è povero il mondo, ma molti vi stanno indarno, ad aspettar improbabili rovesci di fortuna, così il lavoro e i diritti difendere non sanno più e di pigrizia si ammalano, ma la rivalsa improvvisa e violenta ci sarà. E c’è la guerra anche, quella degli avidi ricchi e dei disperati poveri, e sempre più litigiosi si diventa a crearne le premesse. Sì, si odiano gli uomini, si fanno violenza. E se c’è amore, ecco si studiano di distruggerlo! E tu stessa, innocente ed esente non sei, ché dubbiosa sei diventata e se vago, non più del solito, mi vedi, ecco pensi che è ad altra donna che i miei pensieri corrano! Hai ragione, hai torto? So solo che rosata e bella ti fai, gelosa, e io rido dell’imbarazzo, che ho e nascondo, nel timore della fondatezza dei sospetti tuoi...Eccessiva di sicuro sei e la presunta rivale, sì c’è e la sai, ma è una che poco o nulla s’aspetta, se non forse del calore umano e un po’ solo, quello che mai ho potuto donarle e a te nemmeno, è il tuo lamentarti, più dare so... E sì invitata l’ho, ma al sogno, ed entrare sì la farei, ma nel mondo delle mie favole. Un luogo che più che topos , è quello stato dell’anima, che è senza avversioni, senza egoismi, senza gli attaccamenti che qui essa ha, senza giudizi, senza male pensato e fatto. In cui non spadroneggia la logica, ma l’ingenuità e il candore di sentimenti, belli e buoni, che irrazionali sono. Non ci sono dogmi o verità, e se sì, non condizionano, non opprimono, non fanno male. Sono vietati solo i pensieri grevi e troppo seri o concettosi, il comportamento da adulti, assai poco disposto al riso. I bambini vi sono privilegiati e ammessi quelli che per mano vogliono tenersi come lo fossero rimasti o diventati, come noi siamo. E tu vero fuggir vuoi da questo mondo speciale di antiche favole, che so raccontare a chi m’ama o almeno ascolto mi da? Fermati al suo quia che invita al sorriso e all’oblio, e c’è, sai, una fata, la bella signora delle stelle, quella sì che vero penso da mane a sera, ché vicina a noi proprio esser vuole, ma lì solo può esserlo davvero, e pregarla più non occorre, è lì che gli occhi suoi dolci parlano! Sì,rientra bambina nel mio sogno, gioca ancora con me! E lì, quella che ora temer ti fa, se troverai, come bambina sarà. Giocherai con lei?
Sì già viver si può tra le stelle! Sogno è la vita, ecco la mia risposta al fine, e nel sogno, gioco! Ma possiamo e sappiamo ancora sognare?