venerdì 3 febbraio 2012

Un amore mistico

E’ proprio quest’aurora che non s’annuncia felice! Non indorerà le cose assopite e anchilosate dal gelo e così non conforterà l’etimologia sua errata, che l’ora dell’oro vuole sia. Essa annuncia l’imminenza dell’alba, che tutto non imbiancherà col suo raggiare un sole novello, oggi agognato, sopra le vette innevate del golfo. Vi rosseggia scialbo or ora un giorno che si sperava di luce piena e che tepore desse a questa terra da freddo inusuale tutta rattrappita. Sarebbe stata una forma della speranza di te, che tu venga e di calore e d’amore tutto inondi. Sì, da occaso nubi grevi ancora si spingono a velar tutto il cielo e forse nuova pioggia a breve sarà. E’ come per me la tentazione che mi scemi la speranza di te. E io ho salda questa speranza? Oh quanto t’ho cercata! Sospirata, t’ho creduta sfiorata quando una tua icona, donna di qui, più t’ha significato. Ma non v’è di più sicuro a questo mondo, ché vaghe son le donne talora da velarti? Per avere di più occorre farsi come bambini, di quelli cui tutto si può dire, ricevendone assennato consiglio perfino, se saputo porgere. E’ libero un bambino, disponibile, senza pregiudizi, aperto alla verità. E io per te come bambino mi son fatto e il mio ormai è babillage da piccoli... Ma è or ora che qui una apparente verità mi tormenta e che spingerti vuole ai confini del nulla e me con te, tanto essa è cruda da sconvolgermi tutto. Vedi tu come qui anche si muore! Nello strazio madri impotenti sorreggono il capo pesante in corpo assai gracile di piccoli lor nati e già moribondi. Enfiati i ventri, scarni i visi come già teschi, occhiaie smisurate nell’immagine della fame. E tanto pianto e urlato hanno di inedia e rabbia coi figli loro, che gli occhi si sono prosciugati, come vuote, rinsecchite sono le mammelle loro, tristemente pendule. Chi piangerà ancora? Ché lacrime da riempire otri e otri sembrano non bastare a che tutto finisca. E io, proprio qui, attanagliato da queste storie di quotidiano malessere, che la follia dell’uomo mantiene a suo perenne scorno, paio non ricordare ora che qui tu solo vedi con gli occhi nostri, finestre a questo mondo malvagio. E sei tu che piangi, che hai pianto da rinsecchirtene gli occhi e piangerai e urlerai contro al cielo chiuso, ché pende il figlio tuo da sempre novella croce, ché novelli aguzzini ve l’hanno ancora chiavato con rabbiosi chiodi. Sono rabbioso anch’io stamattina, ma non di cattiveria, reagisco eccessivo al silenzio tuo assordante. E qui presto venuto, lascio che, come il gelo della tua assenza m’inonda il cuore metaforico, così esposto il cuore fisico, senta esso con voluto danno, l’aria gelida. Penso a quanto improbabile sei e m’urla dentro una rabbia, che non so reprimere, quella per l’ingenuità d’averti supplicato che m’aiutassi nell’angoscia, oggi per quella giovane vinta dal male, ieri ancora e ancora per persona assai cara. Come hai potuto non far qualcosa, come di simile oggi lasci accada? Forse non ho pianto e sofferto abbastanza? Come puoi non occuparti dei piccoli che soffrono stenti e malattie e ne muoiono? Presto questo vecchio cuore cederà schiantandomi o protesterà alla sua maniera, con una caotica danza...Mi dico ora, sono blasfemo? Voglio esserlo ché mi scemi questa rabbia o morirne! Vorrei che un malore del cuore m’annientasse, come quello dei pensieri che dentro fa malata la mente mia. Ma forse nel delirio suo questo vecchio cuore solo di tant’acqua mi priverà da farmene macro. E allora sorrido! Fossi improvvisamente rinsavito? Ricordi quella volta che con amica leggiadra, dolce conversando, per questo bosco andavo? Poi prendemmo a dire fatti amari di persona già cara, e or più ancora diventata, temuta dalla donna mia quasi amore segreto sia. Tanto ne rimasi sconvolto che il cuore mi s’agitò tutto improvviso e io, che per timidezza non le confessai la mia urgenza, finii tutto bagnato. E quella un po’ sorrise forse reprimendo schietto riso, ma per confortarmi mi narrò un suo episodio di estremo imbarazzo e vero ridemmo di quegli accaduti, che ci accomunavano. E così or ora avrei voluto che m’accadesse un delirio di bizze al cuore per la rabbia che mi fanno certe cose o notizie, e sarebbe stato il mio modo di mostrare il pugno serrato contro al tuo cielo chiuso. E’ sterile questa rabbia e s’è stemperata sorridendo a quanto di bizzarro m’accadde e forse ne sorridi tu pure al buffo ricordo. Ecco, talora diverto le donne mie! Ed io che pensavo che da questa malattia disturbante, che tanto limitato m’ha in questi anni, nullo vantaggio ne venisse! Tu sai che è uso tra quelli che come me hanno disturbi dell’ego che si trascinano da un’infanzia infelice, dei nevrotici parlo,che un qualche vantaggio traggano sempre dalla malattia loro e da ogni altro accidente per commiserarsi ai propri occhi, o a quelli di persona vicina e cara, empatia suscitare, o nelle forme più gravi degli isterici, a quelli degli astanti. Così ora so che potendo sorridere degli accidenti legati alla disgrazia mia, pur’essa m’aiuta la vita. E tu sai che recente ho una donna esperta di queste cose ritrovato. Voglio aiutarla e portartela o forse voglio farmi aiutare nel volo a te. L’ho invitata al sogno, l’ho invitata alla favola e così alla mia follia. E’ un modo che s’innamori, che l’inconscio furbo m’ha dettato o, bambino vero, non so esprimermi se non con quel linguaggio immaginifico e suadente, del “c’era una volta” e del “vissero felici e contenti”? Ma da che canzonava lo strano mio interesse per questa, che sa fiamma antica, ora la mia s’è fatta una donna che teme, e cosa? Celerei con le mie storie, che pur da sempre incantata l’hanno, un amore rinnovato, addirittura un tu per un noi, come se nella nostra vita la volessi! Mi rammarico che tema spezzi il nostro armonico ritrovarci ogni giorno per un totale essere dell’io nel tu. E mi chiedo ansioso, ha ragione? Se questo sia amore non so, ma se sì allora mistico è, quello che tu stessa vuoi mi riempia il cuore! Ma forse ripartito non lo vuoi a più tu! Chissà!E vola, vola la mongolfiera dei sogni miei, due donne vi sono salite! Spero però non s’intendano a buttarmi giù! Quanto vorrei sorridessi come faccio io a questi miei pensamenti che precorrer vogliono, fantasiosi, ciò che forse mai sarà! Sì, come quando questa tua icona che mi pende a capo di letto, mostrato ha un tuo più ampio sorriso alle scemenze mie, intese che ne ridesse la donna mia, che facile or s’incupisce da non più saper che bagattella inventarmi per distrarla, e non so con quali occhi t’ho vista ridere a fior di quelle labbra!

1 commento:

  1. Questo lungo componimento forse qualche spiegazione richiede di incoraggiamento a leggerlo tutto, rivolta ai tentati dall'apparente discontinuità, di abbandono. Che dice?
    Constata che il male c'è e nessuno ne è esente.
    La bella signora perfino che le lacrime degli uomini piange. E c'è chi ne scrive coi i suoi problemi fisici dell'età e gli esistenziali di sempre. E poi la compagna sua dolce che ne condivide il destino, forse eccessivamente preoccupata delle attenzioni che egli sembra avere per altra donna, perché ne vede minacciata la sicurezza degli affetti suoi. Questo presunto incipiente amore pure c'è e si vedrà sconvolta la vita, chiamata a un mondo irreale definito di sogno, ma pieno di incognite. C'è l'amica delle passeggiate nei boschi che procura involontario dolore con le sue storie, sebbene gentile e disponibile sempre. Tutti però sono invitati al superamento di ciò che angustia, all'oblio, al sorriso. Proprio tutti, e ai lettori anche è estesa la speranza di accoglimento e a colei che alle vicissitudini di tutti guarda amorevole e le subisce. Si parla perciò del male, che proprio nessuno esclude e se ne dice con esempi che coinvolgono come in una strana danza i vari personaggi, e ne fanno il quia, la constatazione che c'è. Perciò l'argomento vero è addirittura la teodicea e sappiamo che il quare del male, cioè il perché ci sia, è tra gli arcana dei, i segreti del dio!

    RispondiElimina