venerdì 10 febbraio 2012

E' persona il male?

Se la realtà tutta non avesse un senso da esprimere con parole molte o poche, ma per enigmi solo apparissero del vero i barlumi, ne sarebbe ristretta e invalidata dell’uomo la conoscenza. Allora certo né savi, né stolti o folli, né di far giudizio equo, né insipienti e ingiusti apparire, né buoni o cattivi gli uomini sarebbero, ma mediocri tutti, ché alla mente povera la comprensione della fisicità del mondo e alla coscienza la necessità di una legge morale scemano, né molti problemi si porrebbero, nell’oscurità rimasti. E invece la complessa realtà si risveglia ogni giorno con noi e si ripropone, come appena il sole si leva a illuminarla, come problema cui rispondere. E ne da’ la scienza di risposte, anche se provvisorie! E sagaci più e più diventano i suoi investigatori, affinando la metodologia, e noi troviamo buone quelle conclusioni offerte, e ce ne avvantaggiamo nel quotidiano per le pratiche applicazioni che da quegli studi vengono. Ma v’è chi in logica fa errore, in etica fa male, nel sociale prevarica con altrui danno o fa violenza alle cose, e da qui le guerre e la barbarie, che l’umanità tutta hanno da sempre attoscata e angosciata d’odio. E che dire di ciò che sempre riproposto viene come prezzo dello stare al mondo, l’incomprensione, l’invidia, l’amore disprezzato, la malvagità gratuita, l’azione proditoria? E di più che dire dell’ostilità della natura, che da matrigna vuol fare talora, è di questi giorni pur gelidi, e della fame, della solitudine, delle malattie, della morte? Tutto un lungo elenco di parole d’angoscia, che fanno il dolore dei viventi tutti a questo mondo! E forse molto semplifichiamo se diciamo che tutto questo è opera del maligno. Il male però davvero sembra essere qualcuno che vive da sé, come persona in autonomia e libertà, e forse sta qui come uno che si illude, come ogni altra creatura è tentata di fare, di bastare a sé. Non fanno così i saccenti, gli arroganti, i fortunati, i ricchi, gli esenti, i troppo amati, ché ovattata la vita trascorrono, ma alla vecchiaia pur s’avvicinano e più e più alla morte, e che s’illudono di autosufficienza e stringono il loro a sé e poco o niente ad altri ne concedono? E io intuisco che questo archetipo dell’umana paura è qualcuno. E’ vero, è falso, è dogma, è da creduloni, è fede? Forse tutto e niente di questo a un tempo, come accade dei fatti dolci o amari di qui che la mente imprigionar vorrebbe, ché tutto e niente sono, preziosi nell’addormentamento o ricordi brucianti da esserne tentati di rivalsa, ma tutti della vacuità dei sogni... Allora ben si dice che celarsi è suo inganno! E tanto la fantasia v’ha chiosato e ne ha fornito immagini, dalle assai ingenue e grottesche del magismo, alla iconografia più sofisticata della religione. Solo miti da sorriderne? Non so! Arduo è parlarne e, non conoscendolo, solo nomi di convenzione gli diamo, demonio e satana o che altro? Ma il solo dio può chiamarlo a nome, ché ben lo sa, e lo può anche con urlo inarticolato di protesta, la sola angoscia. Ma il dio lo chiamerà alla fine e lo iato del mondo si richiuderà e il tempo più non sarà. Mi confesso qui seguace di Origène che l’eternità al solo dio e agli eletti suoi riserva, e che proprio tutti lo saranno, afferma, ritenendo l’inferno luogo metafisico dalle mille e mille pene, provvisorio. E dall’altro estremo, dalla lontananza che lo confina solo, il demonio che lo conosce al pari degli altri angeli, potrebbe ben chiamar il dio, l’impronunciabile. L’invoca incessante?Non so! So che diversamente da certa filosofia, san Agostino non ritiene il male principio opposto a ostacolare il bene, ritiene invece sia coagulato in creatura, che vien fuori evocata ogni volta che l’uomo nientifica il bene, distorce, ne capovolge la gerarchia per cupidigia sua volta a un bene inferiore, ma più allettante, posponendo il più alto e degno. Ma questa non divinità oscura e ribelle, ridotta a creatura, dov’è? Sta tra le cose o nelle cose, sta tra noi o dentro di noi? Dentro identificarla alquanto possiamo come fonte di quelle pulsioni che si oppongono all’io morale, lo scoraggiano, lo soffocano e come morto lo vogliono. Sì, egli è proprio in tutti, forte, insonne, ché mai non ha requie, come in noi mai si spegne la cupidigia. Nessuno è dal peccato esente. Egli ne suggerisce suadente, ne svela le cattivanti motivazioni, le giustificazioni a pretesto e ne resta avvilito, invilito l’animo nostro. Sbagliavano forse gli antichi dal pensiero viscerale e rozzo a vederlo di brutt’aspetto. E’ gentile costui e si nasconde forse in modi da raffinato, da esteta e ha, paradosso, di donna spesso l’aspetto. Ma certo non ha sembianze di strega o eretico, nemico del viver sociale e della religione. Ecco, nessuno ha le mani nette e se io mi volgo fuori a cercarlo ecco che  mi si ricaccia dentro. Inquina di sicuro i miei pensieri, la capacità di star di fronte a chi m’ama a ricambiargli il dono che mi fa e che, come questa donna mia, ne gridi il bisogno! Io davvero sento che questo m’accade e non alla mia propensione al peccato imputo la mia malattia morale, a lui anche e di più e non sapendo risolverla, me ne tormento. E trovo che quanto più fatico l’erta della vita a raggiungerti, madre cara, qualcosa e forse qualcuno, greve mi ricaccia in basso. E’ da me che cado o mi si spinge? E se davvero c’è un tormentatore, che forse più se stesso tormenta, sento che aiutarlo devo, col rischio di perdermi sua vittima, come da bestia impazzita che chi le da’ soccorso morda e tu sai che or ora è stato e me ne ha sanguinato il cuore! E sarà per un poco o forse più di un poco, chissà! Sì,il male è la barbarie, è l’errore e forse anche il fratello meno fortunato con compito gravoso e ingrato, ma necessario. E come tu e il figlio sospingete, per generosità o se aiuto vi si richiede, al dio, egli forse solo finge di fare altrimenti. Tutto sembra mito, ma no, è proprio vero che la verità non potrebbe essere colta senza i molti errori per raggiungerla e non è di simile che accade per il male che annientar vuole le ragioni del bene, ma anche lo fa percepire per piccolo e timido che emerso sia? E metafora adeguata mi pare, l’attrito che forza è da opporsi al moto, ma che anche lo permette. Ecco se vero è che il male è persona, c’è una positività in lui. E ha caparbietà costui e apparente invincibile capacità a nuocere, ma ecco, e finge di non saperlo, fa che il bene sia! E questo è come tarlo che lo divorerà tutto! Allora, fratello sfortunato, lascia che t’aiuti con la preghiera, e quando tornato sarai alla bella signora, le stelle cadranno e questa realtà d’angoscia più non sarà. Non è questo il senso vero del comando divino, diligite inimicos vestros? Cioè per-donate fino all’amore quelli da cui male aveste. Ed è di ora per me la tentazione a non farlo! E riconoscerlo dentro fa che mi guardi senza vergogna e guardo, guardo della meschinità il contagio e fuori anche e tutt’intorno, c’è di cambiato? Ma ecco qui proprio gli occhi dolci della mia donna, il suo sorriso, ché smesso non ha d’amarmi, nonostante il mio abbaglio! Ecco il sole, ché il vento ha frugato tra le nuvole grevi e la luce ne è venuta fuori! Ecco gli alberi, le erbe tante, i fiori e gli uccelli e i tanti piccoli esseri che nel bosco vivono! E saperli nella fiducia del dolce tepore che pur verrà, tenerezza ne ho al cuore... E ancora ci sono le stelle oltre questo cielo greve! Sì tutto mi rende estatico, ammiro questa vetrina che è il mondo e vedo che solo l’uomo vi fa vanità con le illusioni sue ai tanti luccichii di qui e quelle che ad altri procura talor vago di fare. Ma saperli tutti precari, minacciati da colui che crediamo persona, mi rattrappisce l’incipiente gioia. Ecco, so del pericolo e ne ho paura, ché dir non so dove s’annidi! E’ qui, è là, è fuori, è dentro, è nelle parole amare, è in quelle dolci, è in quel che faccio, in quel che dico, in quel che vorrei e spero, inguaribile ingenuo, o nella negazione che ne sia? Guardami tu, bella signora delle favole, da esso o da lui che sia. Guardami dall’insidia delle false icone tue, che lo nascondano e ancor creder non lo voglio, eppur or or m’è accaduto! E dico: te, lucis ante terminum, prima che la luce finisca..., di questo giorno del mio demonio femmina, ché il male tu comprima stanotte e non mi contamini! E fuggono i fantasmi delle mie notti, tu sorridi fascinosa e riverbero della luce delle stelle fanno i fiori tra le labbra tue!

Nessun commento:

Posta un commento