giovedì 30 agosto 2012

Stare in utero di donna


Lampada è involucro di trasparente vetro, che racchiude e protegge della luce la fonte, così il cuore tuo dolcissimo racchiude la fonte d’amore che è il figlio tuo e nulla ne viene all’uomo che non passi per esso. Proteggi forse la luce dallo stesso buio? Verità è questa di cui è sublime l’espressione: “foemina circumdabit virum” , una donna circonderà l’uomo! E san Tommaso, che di te scruta ogni mistero, può ben farti dire:” in me omnis spes vitae et virtutis”. Ma ancora come egli, il figlio dilettissimo, da te ricevette vita qui, dimorandoti nel seno, ora è come tornato ad esso, giacché alcuno lo raggiunge che non passi per te. Sì, come alcuna retta entra nel cerchio se non passa per la circonferenza che lo racchiude e alcun raggio esce dal centro se non per quella passando, così il dare a Gesù e l'avere da lui solo per te sono. Ma se possiamo dirci con Paolo un solo corpo con lui, egli allora ci ha portato in te. Quindi non siamo più esseri differenti da lui per il tuo amore. Tu, fatta come assai miope per amore, non distingui più tra i figli tuoi! E’ tutto accaduto come se la navicella di vita, combattuta in questo mare immane, abbia raggiunto il porto in cui salva può dirsi, ma come accade che taluna invece si perda, ebbene non si perde l’amor tuo, e quella è come affondata nel cuore tuo. Così sia che scampiamo, sia che ci perdiamo, tanto è l’amore donato che tra le braccia tue ci ritroviamo, sempre, anzi in te! Oh sublime mistero del dio, sublime amore che da te ci viene! E san Ireneo può ben dire di te: “Maria generi umano causa facta est salutis”. E questo amore si dice iniziato da che tu, stando lacrimosa presso alla croce, col cuore aperto dalla spada del dolore, dentro vi ficcasti per invito del figlio morente l’affetto che egli aveva per il discepolo amato. E chi mai potrà immaginare ciò che le parole sue con cui egli t’affidò quel piccolo uomo, altrimenti devastato dal dolore, provocarono in te, nella mente e nel cuore, da non poterti più lasciare morire con lui, perché un compito immenso d’amore iniziava! Io son certo di quest’amore e che tu non mi possa amare distinguendomi dal figlio tuo, e io, rispetto a quest’amore, uno posso sentirmi con lui. E’ un mistero questo che ogni cuore amato da te racchiude, ma spesso sentore non ne ha. E questa mia debolezza, questo mio sentirmi fragile, come se il cuore metaforico seguir debba il destino di quello fisico, su cui il tempo vuol scrivere ormai solo parole amare, so che mi fa più forte perché alla comprensione del tuo amore mi apre. Se io fossi ancora quello d’un tempo, orgoglioso nel narcisismo da saccente, tu, pur amandomi, non me ne mostreresti la tenerezza e invece me ne inondi, perché umile di cuore son divenuto invecchiando, ma in fondo crescendo d’una giovinezza nuova. Da farmi gridare col salmista “(eo) ad deum qui laetificat juventutem meam”! E tutto sta accadendo come se, osteggiato, indebolito dal dolore e dall’angoscia, vero questo bisogno d’amore mi sprofondi in te e io nell’utero tuo ormai so che mi porti! Sono diventato un figlio nell’attesa dolce di madre che vuol vederlo nascere da lei. Oh quanto mi commuovono donne che sembran mostrare con fierezza il ventre loro enfiato a custode di nuova vita! E son certo più belle ancora, mostrando la causa di tanto sussiego! E tu sei fiera della custodia che hai di quest’uomo? E io come feto vivo di te, respiro, mi nutro di te. E questi occhi non vedono cose celesti e queste orecchie non ne sentono. Come in un buio, in un silenzio, ma protetti da ogni altro buio di qui e dal silenzio, anche delle troppe parole qui blaterate! Ma ben vedranno il sorriso tuo di madre e udranno le parole tue d’amore, questi sensi esclusi! E mille e mille volte le ripeterai sillabando paziente perché le apprenda e te le ripeta, come fa ogni madre col fantolino suo! E questa donna che mi anticipa tanta delizia con l’afflato del suo cuore, io mi tengo ben stretta, voglio che gemelli d’amore nasciamo da te! Devo ritrovarla nel tuo mondo, perché promesso m’ha nuova dedizione in quella vita nuova! Ecco mille e mille stelle sembrano rincorrersi per l’immensità del creato e mi parlano di te a prima sera, ora lo so, dicono che m’ami e che non v’è niente oltre il tuo amore. Tutto inizia e finisce nell’amor tuo e fuori di te il nulla! E stanotte mi addormenterò cercando e cercando tra il brillio loro, che mi sfarfallerà ancora nella mente, gli occhi degli affetti miei perduti. Vivo in te per ritrovarli tutti!

martedì 28 agosto 2012

Sentirsi uomo


Ecco ai tuoi piedi sto, boria e dispetto non ho dell’orgoglioso, li avessi avuti mai, sarebbero pur essi deposti con quest’animo immeschinito! Ma certo sto qui con poca dignità, poiché non so se agito ho “secundum tuam tuique fili voluntatem” in questi fatti recenti d’eco ancora, o solo sempre e ancora è me che ho privilegiato, anteposto, salvato in fondo, o solo creduto così, l’altra, che in me s’è imbattuta per breve ora, posponendo, per poi dirmi con te rammaricato della sorte sua, del suo agire, del suo restare, delle sue parole incaute, di ironia forse, ma del perdente, e di rammarico in fondo che fan tristezza anche, e non solo a me. E ne ho pena per averla forse allontanata da te, costringendola al motteggio viperino con facili al pettegolezzo interlocutori. Ed è sì vicenda chiusa, ma te ne parlo, e sarà per questa compagna, che la definisce farsa triste o, chissà, forse ché me ne punge l’eco appunto. Ma pur non m’è facile il perché donna cerchi a volte rivalsa estrema per chi forse d’amarla dice, perché di più non farebbe contro chi sapesse che l’odia, pur compulsa al finale rifiuto dell’altro da sola, e io ne sorriderei anche, se non fossi l’incauto oggetto di questo scherno. Ma ecco, la compagna mia, tanto si dice accorata del comportamento, pensato vile, dell’altra, da sentir vergogna perfino di essere donna! E tutto questo per la dabbenaggine mia di stupido e incauto maschio, tutti coinvolgendo verso il basso e questa dolcissima anche a crucci immeritati e a svilir i giudizi suoi, pur invece sempre incline alla comprensione e al perdono. E’ solo di me che vergognarsi dovrebbe! E io, che lamento con te l’immaturità di quella, vera protagonista in queste bagattelle, son al fin cosciente della mia! E tanto me ne accoro, che mi geme un’ansia febbrile di spezzar questo cerchio d’egoismo entro cui sempre agisco, e che giusto mi confina e da te m’esclude, per evadere, sconfinare dai limiti della mediocrità mia, per cercar oltre nuove vie, nuova moralità, nuovo perdono e farmi degno di vederti. Ma invano! Resto qui e così, indegno e agitato, svuotato di tutto ai tuoi piedi, che non trovo forse per la materialità che non hanno, mentre io la conservo. E so che questo piccolo episodio della vita mia, che di lacrime ha coinvolto questa compagna dolce, non è che sintomo di una malattia dell’anima, che ancora m’attacca a questa terra fatta cinerea sotto cielo nubiloso tutto, in cui con lupina brama pur si cerca di prevalere, forse per rubare positività di giudizio immeritata. E quando al fine sbandato o bastonato da eventi avversi, come i recenti, trovo pure, paradosso, la consolazione divina di donna tenerissima, ben altro meriterei, scherno forse e m’è stato anticipato! Ché io so di non meritare nulla di buono, se qui si sospetta mi accaneggi perfino per cercar di femmina i favori, non giustificati da pulsione reciproca d’amore condiviso. Sì, io ho vergogna di questo comportamento perfino nella possibilità, che se vero, e dubbio ne ho che sia, sarebbe da pagano e idolatra. Ma se è questa la via per raggiungerti, l’umiliazione, sia! Atta forse è a spezzare questo cerchio di morte e trovarti, e io accetterò perfino la necessità di questo mio suicidio morale dalla mia meschinità avvertita estrema, ma forse non liberatorio, perché piuttosto menarmi vuole nella vertigine dell’abisso, che vuol perdermi, strappandomi alle braccia tue per precipitarmi alle voragini sue buie. Ma tu dove sei, madre amorosa, perché non odo parola alcuna dalle labbra tue? Le tante immeritate dalla soave mitezza di questa donna, m’hanno fatto, paradosso, percepire quanto ti son lontano! E io mi stringo a lei non per perderla, facendole la mia stessa sorte, ma per ritrovarti, ché forse lei sola, schietta, merita il sorriso tuo d’eterna primavera, vero fior della nostra vita a due. E tutta rugosa ho l’anima mia, ma son fiducioso ché il figlio tuo tanto ti vuol vinta d’amore, da non poter più distinguere lui da ogni altro uomo che il suo amore t’affida! E allora questo cuore bussa, bussa ancora affinché tu gli apra, aspetta, implora che tu lo renda l’impavido di vero uomo, quello che t’aspettavi... e t’ho delusa! Io, che ero angosciato da solitudine fosca, ora di questa donna le mani stringo, ché, stanca, non m’abbandoni allo sbaraglio. Non lo farà, ma tutta l’angoscia ne sento! E anche mi si assiepa una folla di dubbi e mi pesa la parola vera che dirti vorrei e mi muore dentro inespressa. Sì, essa è: amore! Devo rigridarla a questa donna, ché fin a te giunga! E trepide le pupille nostre ora si levano a cercar le tue in questa notte chiara di lucciole celesti. Ma queste mani di donna, questa bocca di donna, questi occhi di donna sono i tuoi per me! Sì, stupido, immeritevole e per-donato, ché più di un dono è questo! Ora ne sono certo, e se questa tocco e stringo, è te che tra le braccia ho! E sei tu che per lei mi dici: ho paura, e io ti conforto! E mi trabocca felicità da vecchio cuore, ché vero mi sento, un uomo!






venerdì 24 agosto 2012

Tutte le mie paure


Siamo di nuovo sotto le tue stelle. Nulla ci diciamo da un po’ e così sono come solo. Così tu, forse vicinissima, ma come lontana. Questa mia è come un mio me, piccolo e separato, uno specchio che l’anima mi scruta e riflette. Così come di me non ho certezza alcuna, se non quella di stare in un tutto che s’oppone al mio desiderio di vita e chiamo il male, di lei, che con te chiamo mio bene, sì di quella accanto, che a me “dicit esse” e ti significa, non ne ho sicurezza, se tace le sue parole or buone per me, or di giusto rimbrotto, come certo merito dalla dabbenaggine mia. Spero di non smarrirla nella violenza che mi circonda! E non è violenza la paura che mi mette la lontananza da te, vera che sia o solo avvertita tale? La presenza di egoismi simili al mio dal quale pur ti invoco e ti pretendo accanto, ma esasperati, cupidigie da far paura, e loro tante parole blateranti le ragioni dell’accaparramento, il loro respiro accanto al mio, che sa di rapina, dell’aria perfino. Eccomi nella lontananza da te e nella disperazione di scoprirmi solo, nonostante la presenza di questa donna pur buona, pur bella al cuore mio innamorato. Ed è allora che tu chiami dal fondo del cuore, piccola tenace presenza nella mia vita. Forse rassicurarmi vorresti, dirmi che sbaglio a pensarmi così, ma le parole, che or sì or no ne giungono, non capisco e non so ridirmi a conforto. Io vero non ti conosco, solo barlumi, intuizioni, sogni, vaghezze, guizzi di luce come di fuoco lontano e poi di nuovo buio, tanto buio e senza stelle! Ecco questa la mia vita sotto a cielo che invece è ora tutto di brillii. Mondi lontani, forse morendo o, chissà, nascendo, hanno mandato fin qui la loro luce e percorrendo l’enormità dello spazio, essa si è ridotta ad apparire appena, ad esser puntino pulsante, messaggio forse, ma incomprensibile per esseri distratti dalle cure loro e dalle angosce. E tu hai fatto di simile amandomi da prima che fossi grumo appena nel seno di mia madre, sì, lontana contemplatrice della possibilità d’un evento agognato, ma non da te tutto dipendente, eppoi, uscitone, solo briciole, stille appena di tanto amore, come se quest’aria attoscata assorba, disperda, vanifichi l’afflato tuo. E chissà se sei in luoghi remotissimi, e da lì tenti di parlarmi, o solo nella mente dei santi tuoi, e un po’ nella mia, e solo da lì, flebile, afona quasi, dici per me e io poco o nulla capisco! E qui vivi finché gente come me sopravvive, poi ad altri cuori l’ospitarti. Ma sempre ci stai come troppo debole fatta dal troppo male, che vanifica i tuoi sospiri e le tue dolci parole, anche le gridassi, e forse il troppo gridare al dolore e alla morte del figlio tuo che sempre si rinnova, vero afona t’ha reso! Ma se è vero che mi stai dentro, perché la mente non ti proietta fuori, giacché nemmeno nei sogni nulla più so di te? Ma io non vorrei vederti nelle tue fattezze umane, i forse neri capelli e gli occhi pure, e belli, e il volto dolcissimo. Mi basta contemplare questa tua icona e sapere che un giorno avrà la bellezza tua, in te trasmutata dal mio e dal tuo amore. Ma pur vorrei sentire l’afflato dell’amor tuo vicinissimo. Ché primavera hai nel cuore, nei capelli, nella veste tua leggiadra e il vento li sfiora, e me ne darebbe profumo. E direi: trahe me virgo immaculata, curro in odorem unguentorum tuorum! Sì, sentirmelo sulla pelle l’odore tuo e poi giù fin nelle ossa, tutto inebriato della fragranza che dal tuo essere d’amore emana! Oh quanto molto e poco a un tempo, sei stata nella mia vita di innamorato, metafora me ne fanno quelle donne che leggiadria e tanta m’hanno fatto al cuore e poi invitato m’hanno al prologo loro d’amore, invece rimasto deluso! E qui tanta stupidità e saccenteria da retori e le mie povere parole da sprovveduto, quelle per te, incessante preghiera, e che a questa donna pur dico, ché te le ripeta! E tale è la carenza di te che la paura di star qui mai m’è diminuita e pur ostento, da maschio fatuo e borioso un po’, sicurezza a questa donna ché si mantenga serena, ignorando l’ansia mia, ma quella dentro mi legge e tutto sa di inutile scena. Sì, sebbene protetto dal suo amore, che talvolta vero pare tuo trasmesso, ho paura di vivere in un mondo che sempre meno capisco, e paura di morire, temendo all’ignoto o al nulla m’affidi morte o che da lei mi separi. Paura di fare, deludendo lei e te, e paura di non fare meritando la riprovazione sua e tua. Paura del tuo silenzio e del suo, che mi mette da parte e rinuncia a me, e delle tue parole, non capite nel comando o nel compito affidatomi, e delle sue che sperano buono e bello per noi da me. Paura di non farcela su per quest’erta, paura di scoprire che non sei al termine d’essa. Ho paura della mediocrità che mi soffoca, dei preconcetti, dei pregiudizi, ho paura dell’eccellenza al cui confronto meschino t’apparirei. Ho paura di quelli che sanno parlare e di quelli che non lo sanno affatto. Ho paura di quello che dico e di quello che taccio, di quello che sogno, del bene che pretendo da questa donna e di quello di cui l’illudo, creandole aspettative di bene e bello dalla mia aridità. Ho paura di smarrirla nel vociare di qui, ho paura che si stanchi della mia mediocrità, delle mie negazioni, dei miei rifiuti, della mia stupidità e tu con lei, se vero che specchio fa delle azioni tue. Ed è femmina buona costei, sembra appagata dal solo avermi accanto, ma saperlo mi da misura della mediocrità in cui la confino a vivere. Sì, le devo di più, ti devo di più! E tu mi devi di più! Gridami amore come a sordo, fallo per lei, fallo da dentro al suo cuore, ché a me riversi l’eco almeno! E or la sua mano cerco e non guardo dalla parte sua, temo scoprila angelo fuggito alle tue stelle, dimentico di me! Ma fragile è questo piccolo fiore e paura mi fa il vento ottuso del tempo, di cui metafora fa quello dal mare, che verrà impetuoso da occaso al primo gelo. E allora fuga la mia paura, accogli la mia preghiera! Viene dalla mia parte migliore, quella che forse ti ospita. Finché ci sarà questo piccolo fiore, rimarrai piccola tu pure, ma certa! E se ho la vita accanto e quindi vero l’ho in me, conforterò la vita, ogni vita, e sarà il miracolo da queste mani, attingerò e darò nel nome tuo dolcissimo, che non so, lo stesso arcano di quest’amore! Oh quante stelle stasera, un manto di stelle, ci avvolge! Oh vero ci portassero a te!

lunedì 20 agosto 2012

Ricchezza d'amore


Quanto complesso è il di dentro di ciascuno, che fa la sua storia qui, in questa realtà di che il tempo fa mare scuro, in cui cercar pur si deve di rimanere a galla! Quanti volti vi ho io racchiusi! Persone care e meno, e i loro gesti nel rapportarsi a me, e le parole di quei gesti, i loro sorrisi, o per me talvolta solo risentimento o ira di denti e labbra stretti, il loro ridere e la loro noia, l’atteggiamento sciorinato sincero e la sua verità celata e solo intuita, molto o poco corrispondente, e la gioia di vedermi e avermi anche solo per brev’ora, e il loro disappunto, la delusione, ché il manifestato mio non sia stato, a volte o sempre, concorde alle aspettative loro! Eppoi buio e tanto, ma anche luce di cento colori, cieli azzurri sotto benigno sole e notti d’incanto di miriadi di stelle, silenzi e sospiri, poveri amori e le parole emozionate o balbettate di quei prologhi e le lunghe attese della bella del sogno di quell’ora, e dei suoi avari favori, parti recitate come su scena o spontanee veridiche, o rassegnate delusioni, e gioia incontenibile per l’agognato bacio o la finale carezza del ciao della promessa di esser di nuovo docile ai sogni miei! Eppoi quest’amore che li riassume tutti e li sublima, una storia piena, senza infingimenti, schermi, talvolta veli, ma di pudore, un meraviglioso mondo di due! Ma come questo sicura metafora è di quello che ci attende nel tuo mondo, quando pienezza sarà dell’intravisto di qui o solo sognato, di bello, di buono, di bene, tanto sperati, mi chiedo, quei prologhi rimasti tali, le amarezze delle lontananze, il gelo delle separazioni o degli abbandoni, che simulano di tuo? Lo schermo forse di ciò che qui ci fa barriera nel raggiungerti, ammirarti, toccarti, il doverti vedere solo nella lontananza di certi sogni pur fortunati, o il balzo, il vuoto che fa al cuore e alla mente, l’avvertirti, d’improvviso, vicina eppur sempre lontana in questo tempo speciale dell’accoramento e del perdono? E il gelo, il gelo dello smarrirti di nuovo, che insinua nel cuore il sospetto di vivere tutta un’illusione, la stessa che senso vuol dare all’assurdo di questa realtà, in cui le dure concretezze fanno aporia insolubile con le promesse tue e del figlio tuo, che solo materia sembrano dare ai sogni nostri di perenni bambini innamorati dell’impossibile. E forse io vero sono il perenne ammalato di questa illusione, fantasma bello, ma inconsistente, d’una mente che vuol chiudersi all’orrore e solo veleggiare nei sogni suoi. Ma se vero conoscessi il nome del tuo amore, quello solo per me, ne sarei guarito, vivendo già qui la favola bella che ti domanda fata di questo cuore, di cui parlano tanto, e sognanti, gli occhi di questa donna sotto questo lucciolaio di stelle! Dicono taluni esperti di queste cose che quando la mente muore, rilascia le sue endorfine per l’ultima illusione. Ecco a me talvolta è questo che sembra farmi la malia di questa donna, che tenta qui realizzare i sogni miei, dalla sincerità sua di essere povera e piccola femmina, bella per il solo mio amore, quando le sue scarne parole del molto per me, ché forse vero è che tante e belle ma solo dentro ha, lascia vengano fuori, solo che poi non muoio, ché voglio vivere qui ancora per sentire dei suoi sospiri l’appena, e le sue frasi mozzate. Sì, è allora che ho l’illusione che dallo scrigno del tuo cuore vengano! Ma poi ella par farsi triste, è di nuovo la mediocrità dei giorni che le faccio vivere, il suo velarsi in essa, l’abbassar gli occhi suoi belli di fronte ai miei, il sorridere appena alle facezie mie, ma anche così melato ne ho questo vecchio cuore! Ma, quasi reazione allo stranamente carente comportamento suo, ecco allora lo specchio, che fa la memoria ancora dei miei affetti passati, e vi riappaiono le illusioni, le scarne parole di quelle, almeno le poche, o forse tante ricordate, sì, proprio quelle che, per analogia con i fatti dell’oggi, riemergono d’incanto dalla latebra in cui stipate le ho. Sì, sono fatti lacunosi ormai, confabulati talvolta, che esprimono il male dell’oblio, l’amarezza del rimpianto e della nostalgia a vecchio cuore, la lontananza di quei candidi giorni perduti. E di nuovo mi chiedo e ti chiedo, che metafora fanno? A volte taluni di qui mi dicono di una situazione amara, e non so bene perché lo facciano, ché nessuna curiosità ho di storie tristi, che riguardi persona cara in quei ricordi pur labili, ché flebile ne è l’orma in questo cuore, e della pena, del dolore, dell’infelicità di una vita pur trascorsa lontana da me. Allora se non queste mani, tanto agognate pure, senza poterlo divenire, almeno le mie parole, le più dolci, le più sacre, che mi vengono dal cuore e che tento ripetere a questa donna, talora fattasi tanto cauta da parermi insensibile, potessero lenire, risarcire d’affetto, rinvitare al sogno, ebbene mille e mille ne sciorinerei per ottenerne l’effetto! Lasciami pensare che io ancora viva lottando il male, con la preghiera almeno! Ma tu soltanto compenserai lo smarrimento, tu sola ridarai bellezza e candore, e i sogni, i tanti dolci di quei cuori, che me pure hanno coinvolto per brev’ora. Allora, ti prego, anticipa qualche effetto dello stare nel mondo da venire, non deludere completamente la mia preghiera accorata, torni loro il sorriso, lascia loro almeno il dolce illanguidirsi di certi ricordi, non si chiudano quelle menti nella vaghezza e nelle eccessive cure dell’oggi, che sta tutti noi abbandonando! Non sono io forse tra i lor cento amori? Non sono stato il più timido e balbettante e così forse il più sincero? E allora se proprio per me non lo puoi concedere, fallo per la sincerità, di cui m’illude dolcezza al cuore, di questa donna, sì, fallo per il cuore suo buono e puro ancora! Dal momento che mio si dice, e tale è la comunione delle anime nostre, che tutto ciò che m’ha fatto molcere il cuore, ricchezza d’amore s’è fatta per lei pure, e apparente non se ne dice più gelosa, ché io nel suo piccolo l’ho riversata e gonfio tutto ora ne è!

sabato 18 agosto 2012

Lo iato


Oggi è così tanta e soffocante questa calura che mi pare che polverosa si sia fatta la via mia e più faticosa. Ma forse son proprio vecchio! Ché fiacca s’è fatta questa carne e più pesa. Ma anche più povero, sprovveduto, selvaggio dei luoghi che attraverso con questa compagna, mi sento. Ma vado finché questa donna mi cammina accanto e le ostento coraggio, che però non ho. Ma se tanto io lamento e ho pure affannata la lena, non sarà per questo mio cercarti incessante, che tutto fa preghiera supplice e necessità del tuo perdono, anticipatore di completo amore? E se voglio perdono, io offro perdono, e ho cominciato da me, e sgombrato questo cuore, potrò slargarlo fino ad anticipare qui l’amore a tutti dovuto. E questo poter fare come tu fai è per me un tonico, come certo è l’innamoramento da far giovane il cuore metaforico almeno, e tu sai quanto, l’amore per questa donna sublimando, io lo sia più e più di te. Ma oggi ancora m’accoro e mi chiedo, valgo io qualcosa? Se sì, è solo perché amo, non perché qualcuno mi ama, questa donna e tu stessa. Sento che, se così non fosse, tanto meschino ridotto sarei, da non esser più nulla, ecco meno di questo strano nome sulla sabbia, Clea o chissà cos’altro, e meno delle tante orme di cui la spiaggia tutta si copre in giorni che tanto brucianti s’annunciano. A me tutto fa metafora della nullità mia e se ne lasciassi deserta l’anima, senza amore, sarebbe come se l’affannarsi ludico dei tanti, che qui frequentano, ben esprima lo scadere allora delle parole mie nel non senso, come certo sono quelle di tutti loro, vogliosi di distrazione solo e d’esenzione anche per brev’ora, gli altri tutti negligendo. Questo non m’accada! E ora so per certo che, senza questa capacità d’amare, sarei come le orme di qui, presto cancellate dalle sovrapposte, finché quando arriveranno i marosi, onde lunghe, tutte le effimere cancelleranno di tanta vanità, tersa facendo la spiaggia. Sì, o amore o rinchiudersi nell’egoismo! E così condannarci a un abisso di miseria, che alcun valore lascia apprezzare o di alcun ideale sa arricchirsi, e più incerta e scura rende la via, pur sotto sole o lucciolaio in queste notti d’incanto. Ecco spunta or ora da dietro le nostre vette il sole, la stella che più ti significa, e io, che già ho raggiunto dal basso il bosco, so che i pochi fiori del chinale rimasti ai cespugli, corolla lor distendono, lasciandosi baciare dalla luce sua, e rispondendo così vita all’invito alla vita. Così certo tu fai invito che nasca desiderio in noi che l’oggetto d’amore abbia gioia dalla nostra. Pur ci sono amori destinati a non superare il prologo, ma anche di questi vuoi che serbato sia nel cuore un filo di interesse e di bene, che, come il filo della mitica Arianna, permetterà di ritrovarsi nel mondo di tutte le possibilità d’amore, ricreato, ripermesso, anzi comandato ancora. E intanto, conservando casti briciola d’amore, sarà possibile gioire se altri concretizzi l’amore sognato, ma a noi negato. E’ questo l’amore vero da te comandato e si sperimenta sì negli occhi che guardano i nostri, ma di più in quelli che, vaghi di altri incontri, li hanno distolti. E questo modo d’amore fa certo metafora del tuo. Tu sei una che ami nonostante il diniego o il continuo nostro schermarci di peccato, e la tua mai sarà perfetta letizia, gioia che ti riempia il cuore tutto, se tutti non risponderanno all’invito tuo. E intanto li perdoni, ci perdoni tutti, ché anche quelli che dicono sì al tuo sì, lo fanno pur sempre inadeguatamente e il tuo filo, novella Arianna, appiccichi a chiunque per ritrovarlo nella certezza dell’amore che sarà. E tutto questo ha metafora in quello che noi facciamo o dovremmo, vinti da necessità d’amare. Sì creare una catena lunga d’amore che condivida ogni bene, ogni buono e bello fino agli estremi del mondo ed anche del tempo, non solo ché duri in esso, ma che vi si estenda a ritroso, i già stati coinvolgendo. Allora forse questo mondo, così tanto carente da fondare sulle deficienze sue la speranza di uno molto migliore, non s’estinguerà in fiamma di dolore, come vide il veggente, sì che: “solvet seculum in favilla, teste David cum sybilla”, ma sublimerà, evaporerà nell’amore. E verrà abolita ogni distinzione col tuo. E io vado per questa strada confortato da presenza dolce al mio cuore, la mia mano nella sua fraterna, anzi gemella, e sempre più fascinosa mi si fa al cuore, ecco credo che in te mutarsi voglia, e quando sarà tutta cangiata in divina farfalla, farfalla, da ninfa che sono, anch’io, certezza avrò d’aver raggiunto il tuo regno. Ma quanto fa travaglio questo nostro amore nel nostro mondo di due nel volerlo esteso a tutti! Ma saperlo possibile, fa che il mio cuore palpiti armonioso con quello di questa donna e per esso col tuo! E va il vignaiolo divino per la vigna sua e ora proprio si occupa delle pianticelle nostre, le concima dell’amor suo, con le force sue toglie i succhioni e ogni ramo che sa non recherà frutto, dà così loro nuova turgida giovinezza! Ma fa di simile il tempo, ci separa dalle occasioni di bene! Ed ecco, se vogliamo affrettarci senza cautela, dal tentativo pur sincero di ben fare può venircene ridicolo, amaro al cuore! Vero allora gli daremo il raccolto che spera? Ma se successo avrà con i più del momento, è certo, madre divina, che lo iato tra i nostri mondi si colmerà! 

venerdì 17 agosto 2012

Portaci alle stelle!


Oggi assai presto sono alla battigia, ché dei bagnanti il rumoroso entusiasmo non disturbi la mia preghiera. E dove il lambire lungo di onde, che contrastate non son da risacca, non giunge frequente, v’è una scritta, e dalla parte del sopravvenire loro, “te amo”. Quasi per nereide, ascosa abitatrice del mare, sia, o se per amata mortale, ché legga alla riva tornando, bagnatasi alle calde acque di quest’estate torrida. E mi chiedo se questa scritta, pur chiara nella nostra lingua, non sia nella antica, forse una risposta tua alla mia supplica d’amore. E pur sapendo di illudermi che così tu possa, è dolce pensarlo, e anche so che, se pur vero io parlassi ora solo a una mia illusione, nel farlo con la preghiera che tanto m’accora, quella, pietosa, la distanza che ci separa ridurrebbe fino a farsi vedere, nei sogni almeno. E tu, che della mia mente così non sei, mai mostrarti vuoi! Ma ora anche penso che, dettata quella sia da ardore di innamorato, e io me ne possa appropriare, ché so che amore veicola altro amore, e a te, fremente, la ripeto, intendendola nella lingua dei santi tuoi. Oh quanto difficile è vero questo nostro amore! Ma, sebbene si tratti di un “arcanum dei”, lo so gioia nella gioia dell’altro, o tristezza se quello è triste. Molcere ti deve il cuore se m’abbandono a felicità di pensieri che richiedano candore di bambino, triste più spesso ti senti al mio facile immelanconirmi, ché anche driade del bosco di lecci, pensata t’ho, e nemmeno lì mai sei! Ma com’è davvero strano quest’amore! Ci assorbe completamente, e come se vero totalitario ospite sia del cuore, non v’è modo di resistergli. E sai che passione ho per questa donna, ma è l’unione con lei, con te pure? Sicuro ne è metafora, anzi più ancora. E’ agire simbolico del come fatto a te, ma superarlo vorrei, e se vero è che amore vuol perfetta fusione con l’amata, allora fondiamo le anime nostre! Perdona quest’esprimermi per concetti umani, altri non so per manifestarti la mia segreta volontà d’averti. E vorrei saperlo fare a modo mio, con le favole mie, ma incantato hanno una sola donna, ne avrei successo con te? Ma so anche che qui l’amore teme le lontananze, anche le temporanee brevi, e tu relegato m’hai tra i brillii del lucciolaio tuo estivo di notti tutte di sospiri, e ora al dolce rumoreggiare delle onde, qui nella spiaggia ancora per poco deserta! Teme ancora l’amore la freddezza, e non me la fa al cuore il tuo silenzio? Vuole, comanda un’unione tanto perfetta da non poter più distinguere l’io amante dall’amato, ciò che talor m’illudo sia con questa donna, di che dono m’hai fatto al cuore, ma so che sebbene tu m’abbia amato per prima, dicendomelo in sogno, così rimani, sogno, e alba è, che vanisce tutti i sogni! E io continuo ad elemosinarti, parole, gesti, concretezze, e, pur sempre assetato di quelli di questa mia amata dolce, essi non bastano più! Vero mi vuoi tanto immeschinito da non potermi più dire: t’amo ché vero uomo sei? E non è vero che per potermelo dire donna, così sei rimasta? E rimango quel che sono, sprovveduto, uno che poco sa di donne, e l’anima mia ora che temeraria a te dice, qui pur rimane, pesante d’egoismo! Ma anche palpita puro amore quest’anima peregrina! Ecco questa donna ed io abbiamo una lampada accesa per la via dell’amor nostro, che forse è la più breve a te, e indossato abbiamo l’abito nuziale, non l’antico, ma quello della carità. Il nostro “una habitare” lo stesso sogno, vuol dire “una ad te venire”, ma smarrirci è facile se le porte del regno tuo, forse assai vicine, non mostri con una scia di luce! Tu hai detto che per amarti dovevamo amarci. E lo abbiamo fatto così come umanamente si può, e forse con troppo zelo ai sensi indugiato abbiamo. Ma questo è stato dalla vitalità di quest’amore, e ci grida dentro ancora! Ma la lena con cui scavato ho questo corpo di donna per trovarti almeno nel suo cuore, non è stata forse metafora dell’affannosa ricerca di vederti qui, ridere tra le tue stelle? E poi l’amarci qui in mezzo all’odio, non è stato il più bel prologo all’amore in te? Allora ben sai che nonostante le pastoie della carne che, patetica, tacer non vuole, non vogliamo che compiacerti, ché la felicità nostra sarà completa solo in te! Allora lasciaci la sicurezza che gli occhi che hai posato su noi, vi si sono soffermati, e non se ne stancano! Qui siamo come assonnati, e sobbalzi paurosi ha questo vecchio cuore amante, e son scarse ormai le pur apparenti sensazioni di benessere, ma alle nostre esasperazioni restiamo per fugar le paure di sempre. E questa carnalità, detta così dai sessuofobici, è stato tuo dolcissimo dono, ché altrimenti fatti ci avresti diversi? E i corpi si son fusi, le anime nostre già essendo così, ed è vero che così pur essi metafora han fatto del vero amore in te. Ma cosa e quanto sia intenso questo tuo amore, faccelo scoprire “una”, insieme! Ecco il tempo vuol farsi lampo e la morte divorarlo, accoglici entrambi nel tuo perdono! Abbiamo poco capito, anche di te, e tu perdona! Abbiamo poco amato, anche te, e tu comanda ancora l’amore! Stanotte alle stelle staremo a sperarti e tu, passando, spegni le lampade nostre, soffondici della luce tua, sì faville divenuti, portaci alle stelle!

mercoledì 15 agosto 2012

Corda ad astra


Oggi la fede festeggia la conferma del credo antico che tu tornata sei agli angeli tuoi con quel corpo con che qui nascesti. Eppure tal è il dolore e la disperazione dei rimasti, da farmi chiedere incessante: dove sei, amica delle stelle, eterna innamorata di queste lucciole che ti dicono lode col brillio loro? Torna, torna tra noi, dì ai derelitti tuoi: coraggio, dopo tutto questo c’è la gioia, il mio paradiso! Sì, consolatevi, c’è qualcosa ancora ed è di bene, di buono, di bello, non s’annega nel nulla con dolore! Allora lascia udire ancora dolce la parola tua amorosa, la consolatrice parola che pur ripeti instancabile e nessuno può intenderla soffocata nel rumore del mondo! E da quando queste orecchie non t’odono, dispersa va anche la melodia di luce del creato, che invano questo cielo estivo par voglia tutto dispiegare, e quella di suoni di mille e mille creature innamorate, come quelle che fan brusio or ora coi lor richiami d’amore, e lo faranno ancora in notti come questa, incantate con miriadi di stelle a luccicar per esse. Sì, apparente dispersi vanno tanti palpiti d’amore. Ma pur veloce corrono coi sospiri e i gemiti, varcano l’assurda immensità del creato e del tempo in cui esso s’è svolto dall’iniziale agglomerato, e ti giungerebbero anche fossi fuori da questo mondo fisico. Ma non lo sei e non puoi non udirli, essi ti richiamano, ti attraggono e a noi ti trattengono! E tra quelli i miei! Oh sì, quanta infelicità mi fa sapermi alla fine di questo viaggio pur triste e doverti testimoniar la pena, lo strazio di tante persone che piangono e son a me vicine, e talune amate ho! Ti prego allora, sorridi loro primavera ancora dalla tua mitezza, sì, conforta tanto dolore! Oh quanto amore forse pur dici per queste stelle e non sappiamo capirle, eppur parlano, vero dicono amore di eterna primavera o forse solo balbettano parole, che imparadisano! Oh bussa, bussa al cuore, ché l’abbiamo indurito e, divenuti ciechi, più non vediamo che la realtà in cui ci sentiamo abbandonati, che invece forse illusione e sogno brutto solo è. Questa pure, lenta trascolora nella tua! Sì, si sublima la materia e non lo avvertiamo! Ma tu dà consolatrice parola in linguaggio chiaro per tutti, assordati, abbagliati, fatti scemi di bontà, bene e bellezza. Ripassa umile tra noi, bella e buona, come alcuna nostra donna può essere, lasciaci nel cuore il fruscio della tua lunga veste bianca, che carezza fa a questi sterpi e li infiora, e così tutta la via che a noi ti porta è verde e fiorita. Sì, dacci un raggio del sorriso tuo, che fughi questa belva ruggente, già da dentro, e si chiama cupidigia ed egoismo, è bramosa e fa spaventoso il presente, già da tanto male fisico attoscato, e tutto scuro l’avvenire! Ecco, sono certo ai tuoi piedi, meschino, ma pur bacio il freddo pavimento, e or, deluso, le pupille mie vogliose di luce cercano e cercano le tue radiose, lì tra le stelle, tutte belle! Sì, cercano conforto questi occhi insonni che bruciano, cisposi, ma forse è te che rincuorare dovrei, e sento che assurda pretesa non è! Sì, tutto questo male diffuso, che certo dolore ti fa, ché qui in basso ti tratteniamo con la nostra supplice incessante preghiera, che t’accora, pur finisce! E’ la promessa del figlio tuo divino, morto del male che tutti divora. Confortati allora, madre, noi ora come ciechi, guariamo e stiamo per vederti qual sei, essere di luce, e luce è amore e amore è luce! E questo mio pensare, che è preghiera ancora, mi dà una certezza, sento palpitare all’unisono il mio cuore col tuo! Sì, c’è qualcosa ancora, e vero è bello e buono, è il mondo d’amore del nostro dio, cuore di donna! Ma pur vorrei saper dire e poi non più fiatare, pesanti e inutili tutte le parole divenendo, ad ogni altro piccolo cuore, dolente di tanta pena: coraggio, aspetta proprio noi la sua gioia!

lunedì 13 agosto 2012

Gli innamorati


Quando il male verrà nella sua gelida evidenza a imbozzolarmi tutto della sua rabbiosa invadenza, certo non gli chiederò da dove viene e dove mi porta a passi lenti o frettolosi. Ma a te direi: “unde is?”, chi t’ha distratto da me, a quali maggior cure sei stata sollecita, ché sol tardi ritorni e così mi trovi immeschinito? Dimenticando che sarà per me il duro tempo non di perdonare la tua disattenzione e la lentezza a occuparti di me, ma di completare nella sofferenza quella del figlio tuo e lasciare che lui s’appropri del mio dolore e della mia morte e io della resurrezione sua. E tu che vuoi che così debba essere, lenta sarai dovuta essere al conforto mio. Ma qui pensare a questo mi fa tristezza e allora m’illudo possa cacciarla lontana e me ne distraggo per brev’ora. Anzi ora parole d’amore dico e ridico, languide un po’, ché sempre le son nuove, a questa donna nell’illusione che te le trasmetta. Ma di più soavi ho nella risposta da farmene brivido come vero da te le prenda, e così da parermi avvertir fremerne quest’aria cheta, sotto al tuo lucciolaio che palpita amore in queste aulenti notti di bella stagione. Chissà s’altra ne avremo di simili abbandoni! Sei vero tu che le dici per lei e le stelle tue vi fan bordone col brillio loro? Ma tanto serena e dolce è questa donna che voglio illudermene. E se quest’amore fosse passione e come torrente di rapina fluisse dal suo cuore, ancora penserei che l’impulsore di tanto trasporto fosse più che umano. E così se dura amarezza lo ferisse e gemiti ne uscissero come talvolta fa tempesta che scrosci e ululi, al tempo paventato come certo della malattia estrema, che fa la paura di cui or ora fatto ho prologo in questa missiva mia per te, che mi strappasse a lei, allora ancora penserei, dalla nuova forma che tu mi daresti, che a tanto strazio vi hai aggiunto del tuo. E se quest’amore fosse tale che allora s’aprisse un abisso da inghiottire tutto il nostro mondo incantato e quella se ne lasciasse prendere, addolorandomi dell’insania sua, tu l’avresti permesso per accoglierla tra le braccia tue amorevoli, perdonandole lo smarrimento estremo. Insomma non c’è moto d’amore per lei e me che non ti coinvolga.” Tui sumus” è d’entrambi la preghiera breve! E allora la nostra è sempre ammirazione d’amore, è stupore, che ci fa dire: o gioia attesa, o triste dolcezza di questi abbandoni, da dove vieni? Non dal passato, con i rammarichi e le manchevolezze sue,che groppo fanno ancora alle anime nostre, non dal presente di tanti sospiri sì, ma ricco solo della effimera serenità di povero casto amore, bensì da un futuro di luce e calore, il tuo. Ecco, noi due, e sai quanto t’amiamo sinceri, accorati abbiamo fatto crisalide delle anime nostre tuttora carnali, impegolate in favole dolci di tante e tante ebbrezze, e preghiamo tu le trasformi in farfalle che vaghe insieme vivano un eterno prologo d’amore tra i fiori, lì nella tua primavera.
Oh sì, quanto disperatamente siamo innamorati dello stesso amore!

venerdì 10 agosto 2012

Dolcezza triste

Quanto timida è la lumachina! Se cosa l’impaurisce, subito le antenne sue retrae e nel guscio si ritira pavida. Non diversamente la limaccia che nuda va, senza valva sua, e se qualcosa la turba tutta s’avvolge in una schiuma di bava per farne schermo.
E talvolta non dissimile comportamento di difesa mostriamo, ché qui cose vere paurose, o solo presunte, abbondano. Invece più che comportamento da molluschi dovremmo rimetterci in via fiduciosi, camminare campi assolati, salire chinali di colle, per guarire. Da che? Dalla paura, da noi stessi! Abbiamo bisogno di luce,e tanta, d’aria pura, e tanta, lontani dai contagi del basso, dai miasmi pestiferi che l’oggi produce. Evadere dalla sicurezza del nostro egoismo. Ecco il mio sapere s’è fatto tutto freddo, è divenuto vela senz’aria, vertigine, orgoglio sterile e l’anima mia rattrappita s’è di paura ancora. No, non la sapienza possiede la vita, la gioia d’amore, la dolcezza cui l’anima anela nei voli supremi quando ti cerca tra gli squarci di nuvole, lì tra gli innumerevoli uccelli-Filomela del mito, o tra le miriadi di stelle, la più luminosa che tutte le riassume nell’anima, invano cercando. Né importanza alcuna ha l’esperienza del passato, con le illusioni sue pretenziose, tinta di scuro da dolorose scoperte. Ed è d’oggi che ancora il mareggiare scuro del tempo m’ha preso l’anima, ché appreso ho di serena dolcezza dell’adolescenza mia,che s’è tutta rattrappita in sé con l’anima per sempre intrappolata nella vaghezza. Così il sacro entusiasmo ch’avevo di sorgere e andare, da ribollir generoso di dentro, s’è fatto schiuma di paura come fa limaccia quando l’umida sua via interrompere deve. Ché nuovo groviglioso smarrimento m’è preso e tanto incerta mi s’è fatta la via e lontano s’è fatto il fresco mattino, che m’aveva condotto al bosco della mia preghiera. Dalle bassure dell’anima miasma pestifero m’è giunto per dissimulare la mia pena, con la precisazione velenosa che tutt’altro sia stato il giullare di cui l’amico aveva gaio ricordo. Io non volevo sentirmi gaio e sull’altro ho fatto pesare anche, triste e minacciosa di improbabili conseguenze, la mia maggior conoscenza di fatti che sulla salute sua riferiva per averne consiglio, ché la disinvoltura dei sui approcci al problema, fastidio mi dava. Ecco, sono ridiventato meschino! E’ stato il passato, ho ricordato i primi approcci d’amore con quella, groppo me ne è venuto al cuore e tutt’intorno ho sparso bava velenosa da mollusco. Sì, sono uno che dice e spesso non sa che dice! Eppoi per certo dolore occorre esser soli e non passare dai fatti tristi ai ricordi di ubriacature goliardiche. E io così quella persi, ché la mia condotta sconsiderata d’ubriacatura tra altri gaudenti sprovveduti, riferito le avevano nelle conseguenze sue truci. Ma ora basta, il passato è come pietra arsiccia del sangue scuro del dolore, per insisterci troppo! Oggi, domani e sempre finché dura questo pellegrinaggio, simile tutto diventerà, un passato di lacrime. Sì, le manchevolezze, le omissioni vi si fanno pena, l’agire incauto o malevolo vi si fa dolore e pullula sempre anche l’appena dopo di smarrimento e incertezza, di paura. Alla mia stella devo rivolgermi. E’ giorno, pregherò di vederla stanotte, è notte, sospirerò il cielo di miriadi di stelle e pregherò di sognarla almeno. E sei tu la stella, che mi palpita amore, gioia d’amore. E frantumata forse ti sei in faville di luce e forse stanotte dal cielo più numerose lacrime cadranno a significarlo. Tu sei la mia via, la salita, l’erta, che al figlio tuo conduce, la mia verità, la mia vita! Ma quanti sogni perderò ancora nello scuro del tempo in questo viaggio a te? Batte e ribatte l’onda scura sulla marina e la fulgida stella non v’è, di troppi palpiti è questo luccicaio, mi ci smarrisco e quasi ne ho paura! Stringo la piccola mano della donna mia, che di gioiosa dolcezza mi conforta il cuore. Con me va fiduciosa, perderò pur ella in questo mareggiar scuro? E’ come bambina, è la mia bambina! Oh meglio che questo vecchio cuore si fermi, se è questo che teme! Qui, ora in questo barlume appena, che fa nel cuore di tanto lontano la luce tua, qui, ora in notte pur tanto chiara di mille e mille facelle accesa, qui, ora a questa dolcezza triste cui pur m’abbandono!

mercoledì 8 agosto 2012

Dire di te

Perché sempre voglio dire di te e assai poco ti so? Farlo non so che con parole povere, ma da anima che ricca m’hai fatto, e prima che tutto barbogio sia. E nuova metafora qui farò per dirti e non dirti, come fa la vita delle cose celesti, ce ne incanta e tanto le vela allo stesso tempo!
Tu talvolta qui veder puoi la fatica di chi tenta guadagnar la cima di questo colle, lungo il chinale, ma là dove sentieri non sono. E gli si avaccia lena e cuore. Non dissimile nelle difficoltà è l’affannare per l’erta della vita che dicono a te conduca, ma da nessun sentiero è segnata. E vi temiamo lupo che ci divori, ché da fame e sete di cose materiali compunti siamo. Ma ben diverso è il percorso se meta in basso si voglia raggiungere, ché vedi l’avventuroso procedere senza molta difficoltà. Non dissimile l’avventura dello spirito quando si decida sia meglio dar retta alle pulsioni, che con facilità alle passioni conducono, giù per le friabili dune dell’egoismo. Anzi quello, se indugiato ha ai cespugli tra le fragranze, che ancor qui sprigionano, un procedere perfino piacevole ne ha, come quello di cui è metafora, se s’abbandona alle vaporosità sensuali di questo star qui tra allettamenti luccicosi. Ecco, noi qui spesso rinunciamo a forme superiori di vita in cui generosa sarebbe la bontà e gli ideali, che ne illuminerebbero il faticoso percorso, debole il richiamo tuo avvertendo. Buoni forse i geni dei parenti nostri, che trasmesso ci hanno tendenza al bene, al bello, al buono, ma ci studiamo di degradare in basso! E caligine c’è, come fitta e spessa nebbia, che sorprenda in Alpi e decidiamo per la ritirata, ché gli occhi belli e il sorriso tuo non scorgiamo e temiamo che alcuno visti mai li abbia. E così luccichii effimeri scambiamo per lucciole e stelle! Oh quanto poco viviamo, oh quanto poco amiamo! Ecco fermarci, curiosi pure dei frasaioli, superficiali e fatui giocolieri dello spirito, che nulla sanno del cielo stellato sopra le nuvole fitte del momento e dicono,oh quanto dicono di te per farci incanto come bimbi alle iridescenti bolle saponose! E vedono il lupo ovunque e di nuova soma ci caricano con le paure loro, ché di inferno e punizioni favoleggiano. E nulla sanno del comandamento nuovo, “diligite inimicos vestros” o ne tacciono, perché? Tacciano del tutto, ma pure i dominatori superbi della natura e i fruitori delle tante meraviglie tecnologiche del moderno! Fanno tutti rumore, strepito fanno, assordante! Eppoi i divoratori dello spazio, quello del cielo e quello di questa terra, che l’inquinamento sempre più esiguo fa, dalle loro infernali macchine prodotto. Sì tacciano tutti, aria maleodorante di fumo vendono con le insulse chiacchiere loro! L’anima mia non vuol più certa sapienza che tarpa l’ali sue, ma volar vuole verso la gioia! E sempre più vuoto le si fa il mondo, incomprensibile scenario fatuo, farsa tragica però! E io mi ci ritrovo misero e vecchio, foglia secca ormai, sbattuta come da vento iroso. Sì povero più di ieri, e le passioni mie lontane e il rammarico d’aver mal fatto o non fatto, tentacoli dal passato muovono come avessero da suggermi dell’altro, e di tutto svuotato m’hanno! Oh sì, parlami tu sola! Buio e silente è il giardino, aulente sotto stellato cielo. La donna mia cerco e assorta la trovo alle lucciole, facelle di cui ride il tuo cielo. Che le dicono? E ora me guarda e le luccicano di quei chiarori gli occhi belli. Dicono, ma che? Forse solo ripetono, amami per la fata tua amare!

martedì 7 agosto 2012

Maris stella

Io non so più se davvero ho nell’anima un cielo, ché azzurro non è, ma tutto buio. Ma oggi una stella v’è nata e poco d’azzurro s’incolora al chiaror suo, ma sotto mare mi pare e questo tutto scuro rimane. E porto indica, porta forse a un mondo diverso, per la navicella mia che vi peregrina. Ma allo stesso tempo so che sono l’acqua scura che la sostiene. E’ questo che l’introspezione permette, col vedersi dentro, nella latebra del cuore, che anima diciamo. Così sono il guardato, e guardante a un tempo divengo, e so che nella disperazione buia è nata la speranza! Tu sei quella stella, ma in questo mondo in cui falsità e ipocrisia sono i più appropriati sinonimi, velata rimani, amore incompreso, non ricambiato. Pure il tuo richiamo, o forse meglio il grido del figlio tuo che mi invita ad amarti sento nel cuore. E allora amo con tutte le forze questo tuo simbolo, fragile donna, che mi sta davanti. E se a lei dico, e so di parole dolci a cuore di donna, è a te che dico, e se faccio a lei carezza come vento fa or proprio sulla chioma sua d’argento, la faccio sulla tua tutta bruna. E allora se questo amante di una sola donna, sa amarti così un po’, strappaci da questa terra, lasciaci veleggiare per l’azzurrità del tuo cielo, dove tu, amore, vinci la nostra morte! Ma questa, impietosa, forse s’è distratta e qui ci lascia. Ma se qui rimango lascia che diventi più che cercatore del tuo mondo, suo creatore. Sì, per questa donna saper creare le premesse almeno, il prologo d’amore che ci destini, dimentichi della pesantezza della carne e delle conseguenze d’averla. Eccomi allora desideroso d’eroicità. O dalla parte tua o nulla! O per la tua luminosa realtà o nulla, o creatore della reggia di quest’amore o nulla! Sì, o tuo eroe per il bene e il bello o nulla, nulla! E io son già fortunato, è caduta tra le braccia mie una stella! E dentro t’ho stella e tra le braccia stella! Perché? Tutto buio è quest’aulente giardino, sotto tutto stellato cielo, ma gli occhi di quest’amore luccicano e riflettono due sole immagini di una sola stella. Sì, qui lo stellato tutto in una sola luce, ché della luce di tutte s’è accesa del mare la stella! E la voce sua, che mi chiama e dice, mi riecheggia come la tua divina e sotto lo sguardo suo questi fiori che buio di sera ha inscurito, par s’incolorino, soffusi di tenue chiarore come se amore ad amore così rispondano. E a te per lei lo fanno, e io la guardo e mi fa nostalgia di te. Sì, falena sono, attratta da una stella lontana, ma il volo suo non è folle, la porta amore. L’amore che ora so di riamare! 

lunedì 6 agosto 2012

Bella di notte

Sempre, di questa stagione, al tramonto, prima che mille e mille stelle scolorino il cupo del cielo, la bella di notte tutti gli occhi suoi apre a cattivar chi, incauto, si soffermi in questo giardino. Ché all’avanzar del buio tutto esso profuma ed egli inebriato rimane, come narcotico abbia preso, e sogna o almeno fantastica storie che si racconta favoleggiando o confabulando.
E stasera questo m’accade e il racconto di un fatto senza storia un po’ confabulo, ma poi stizza me ne prende un po’, di troppa incauta debolezza, ché la protagonista raggiunger non ho potuto nemmen’ora! Ricordi, bambino, t’avevo come piccolo segreto amore e questo con me non poté crescere! E poi recentemente ho pensato che preparar potessi l’incontro lì nel cielo, che ospiterà i nostri cuori. Ma la fata che lassù regge, forse punito m’ha per essere troppo oso, ché presunzione è promuovere certi sogni a due. Ma così sono i sogni umani, mai solitari vi siamo! E venne il mattino gelido del tuo diniego. Ma cara mi sei ugualmente, anzi più cara! Ché la compagna mia la sua naturale dolcezza ha stemperato fino al rammarico, imputandoti del mio fallimento. E sì, ben strano è l’amore di donna e io mi ci sono abbandonato stordito, e felicità ne ho al cuore, ché non credevo che donna tanto d’amore potesse! E quest’amore di troppa gioia morir non può, sicché noi due, e non solo, candidati siamo ancora alle stelle. Ingenuità?
Forse, ma non più del gridare il bisogno nostro, tutt’umano, di felicità, che esser non può senz’amore. Ed è raro qui l’amore! E surrogati illusori ne vengono in esaltazioni effimere e la mistificazione rimane talora da riempir una vita, in fondo di nulla. Invece il sogno, cui invitata t’avevo, porta alle stelle, non le fisiche però. Pensa di essere in un lucciolaio, come talvolta prima che i campi mietuti siano, essi diventano di tarda primavera, ché tante e tante lucciole sono lì tra il grano. Situazione che visse il poeta immerso in quel di stelle da Beatrice, ché voleva pregustasse le delizie celesti dallo sfarfallare tutt’intorno di mille e mille lucciole d’amore. Sì, sarai tra quelle per lasciarti amare, anche se stenterò a riconoscerti, fattati nemica per brev’ora. Dovevi, per esonerarmene, rimanermi indifferente! Tu sei vinta d’amore e non lo sai! E la compagna mia, dura per amore più con te che con me, s’è destinata ad amarci. Sì, luogo v’è tra le stelle che ci attende e le parole dure e quelle degli abbandoni vi sono non senso, o mutate sono in dolci parole d’amore. E lì sogno a sogno, come luce s’aggiunge a luce, senza contraddizione. Sì tutti vi siamo destinati, il dio l’ha detto, e in forma d’uccello saremo. E la biondina Or, piccolo vero amore da bambino, sogno profetico fece che così amati ci saremmo, ma angeli nel luogo dell’amore!

sabato 4 agosto 2012

Il bacio

Non so più se quando accadde vero desto fossi, o se l’incontro con te fu, io tra le braccia di Morfeo preso, tanto lontano è, e ne ho ricordo tra le cose vere accadute o solo confabulate, che fan dolcezza a vecchio cuore. Tutto di sogno sapeva quel mattino di primavera e io osato avevo, vincendo la timidezza nostra, stringerti tra le braccia, amor mio! E tu gli occhi belli, che forse me solo vedevano più del bello dei fiori, chiudesti ché le mie sulle tue labbra, tremanti posassi. E il cielo rompeva d’azzurro il fitto delle nuvole bianche che alte, cotonose, evanescenti salivano fino alle cime dei monti nostri e lo scemo di quegli squarci di rondini silenziose volteggianti si riempiva. E tu, che da un po’ là fissavi gli occhi tuoi, mi indicasti una nuvola buffa, che di continuo nova sembianza assumeva, ma tu vi vedevi Pegaso nel cielo infinito librarsi. E quell’animale fantastico nel nero degli occhi tuoi pareva specchiarsi e tu, forse ché tutto di fiaba sapeva, sorridevi contenta d’essere lì con me. Ma dopo quel bacio breve, non c’era più riflesso e nel cielo squarcio più ampio s’era aperto. Ma non ne fosti delusa, forse ché nuova gioia s’era aggiunta nel cuore. Così sono le fantasticherie amorose della vita nostra, sogni di tante parole, parole di quei sogni effimeri,ma di cui contenta pari, forse ché io accanto ancor ti sto a condividerli. Ma forse come quella nuvola buffa strano sono, come animale da fiaba, che tornarvi desidera. Sì, cavallo alato con in groppa te, sua fata, che con sua malia mondo d’incanto, come quella primavera lontana, mo mo ricrea! E allora tu gli occhi non chiudere, esso potrebbe vanire nel tuo sogno in questa natura aulente. Ma forse tu, come nuovo presa da incantamento, nella sua fiaba fuggir proprio vuoi, lì tra le stelle di quella che ci ama e attende. Ma per la fuga tra gli angeli, non basta chiuder gli occhi, ma un bacio come quello lontano servirà, te ne ricordi?

mercoledì 1 agosto 2012

Il tempo d'amare

Quando s’è in angustie per cosa che o direttamente tormenti o perché persona cara venga interessata dall’amarezza, è come se, dormendo e vivendo le vicissitudini di un incubo, non sapessimo liberarcene. E allora ce ne disperiamo, imploriamo gli idoli nostri muti, come morti, e imprechiamo, come i pagani facevano, per il loro apparente disinteresse. E io ricordo mia madre, con tenerezza. Quando le accadeva un suo fatto di estremo disagio poter raccontare a persona che interessata pareva alle vicende sue, usava, nel suo linguaggio assai colorito, un’espressione assai bella, dicendo che quanto le era accaduto e dolorosamente aveva subito, era stato perché il figlio tuo distratto s’era, e ,dimentico di lei, permetteva quel male nella vita sua, ma in fine egli s’era scosso ed ella ne era scampata. A me piaceva sentirla confabulare all’occorrenza, per far meraviglia al soggetto che tutt’orecchi diventava al suo racconto, ché quella stessa vicenda conoscevo nella sua essenzialità drammatica, ma non i particolari nuovi che la rendevano più interessante, sicché ascoltavo a bocca aperta. Oh la mia madre cara dove è? Ché più non racconta colorite le sue vicende amare e quelle ugualmente dolorose di questo suo figlio smarrito! Sì, sono scampato or ora ancora, ma forse nuova uggiosa vicenda si prepara e sarà daccapo il dolore! Lei era una cantastorie e forse io lo sono un po’, ma ora che con lei son gli angeli tuoi belli, madre dolce, lascia che ti racconti di me, fa t’intenerisca delle lacrime sue, ché io subisca sì, forse ancora e ancora, ma poi ne scampi! Ma ora so che quando di un fatto, che punto abbia il cuore, se ne può raccontare, magari con dire fabuloso di chi ha la fantasia accesa, come sentivo far a mia madre, le conseguenze sue sono per lo meno fortemente attenuate, come lontane, ma pur il dolore è stato autentico, drammatico da avvelenare il cuore! E sempre ci chiediamo, perché a me proprio? E ci sono fatti, eventi che questa domanda ripropongono nella vita d’ognuno e lunga amara sequenza fanno. Il male non ci lascia mai! Sarà la tristezza profonda che prende quando una malattia chiusa un congiunto o un amico colpisca e vincer voglia da prendersene la vita. Sarà la morte, così annunciata, o invece improvvisa di persona cara, che viene e sconvolge un animo già turbato o invece sereno. Sarà il temere il peggio catastrofico per una situazione già precaria. Ma sempre la vita ne esce angosciata, come masticata da belva sempre famelica, e misera, malconcia si ritrova anche a distanza di tempo da quell’accaduto o quando sia passato il pericolo temuto. E ci ripetiamo, perché il male? Io non lo so dire, ma so che tu e il figlio tuo portato avete la speranza che esso, decrepito, stia per finire. E vedo il figlio tuo pender da novella croce e tu accorata stargli il più vicino! Sì, egli ripete la sua vicenda in ogni sofferenza e morte, e il dolore che ci attanaglia è te che prende! Ma come nella vostra storia tragica egli perdonò i carnefici suoi e quei malvagi che alle loro mani luride l’avevano consegnato, qui perdona l’incompetenza colposa, o la volontà dell’omissione dolosa, sì, il non agire quando adeguato compenso non si è potuto ricevere! Io ho vissuto tutto questo e come lui ha rinnovato il suo perdono, io non ho maledetto, non sapendo perdonare! Ecco malvagi di ogni epoca si industriano nel nuocere e lui perdona per noi e nuove lacrime amare rigano il tuo bel volto, ché le nostre lacrime piangi, madre dei dolori! Ma per amare i tanti disperati facitori di male voi attendete il ravvedimento, il pentimento. Ma questo tarda o non v’è affatto, ché ostinati sono quei responsabili bruti delle infinite parcellizzazioni dell’altrui danno e della morte. Ma non sarà mai che il dio non ami! Accadrà! E allora quello, che è impossibile qui a noi uomini, sarà possibile alla scomparsa di questa farsa, grottesca e tragica. E passa vero la scena del mondo e voi soffrite in ogni disagio e pena la nostra sofferenza, in attesa dell’amore! E il figlio tuo muore ancora in ogni morte, tu te ne strazi il cuore ogni volta ed è amaro questo tempo, brutto, uggioso, buio, il tempo delle lacrime! Ma verrà primavera, quella radiosa dei vostri cieli, il tempo d’amare! Intanto l’esito è qui sempre lo stesso, scontato, amaro, e noi siamo gli spettatori accorati e, a un tempo, i protagonisti di uno stesso rito tragico. Attori che recitano la loro parte, ma per interpretare la vostra! Mistero, tanto che sbianca il cielo! Sì, le lacrime umane attraversano il tempo e giungono a chi se ne può commuovere e può stimare il prezzo del perdono! Oh quanto costa, quanto è pesante il perdono! Oh quando, passato il duro lungo tempo del perdono, sarà quello dell’amore? Amore donato, amore ricevuto in dono. Uno scambio di bene, lì tra le tue stelle! Allora, se è vero che siamo fatti per l’amore, io un cuore tanto grande vorrei da accogliere chi qui m’ha amato e chi m’ha odiato. Troppo pochi, troppo tanti sono stati, è senza più importanza! Sì, sia mio il tuo perdono e mio il tuo amore, che qui si strugge per mostrarsi e ancora non può esprimersi! O povero mio cuore, rinfrancati, quello della madre stai per divenire!