venerdì 10 agosto 2012

Dolcezza triste

Quanto timida è la lumachina! Se cosa l’impaurisce, subito le antenne sue retrae e nel guscio si ritira pavida. Non diversamente la limaccia che nuda va, senza valva sua, e se qualcosa la turba tutta s’avvolge in una schiuma di bava per farne schermo.
E talvolta non dissimile comportamento di difesa mostriamo, ché qui cose vere paurose, o solo presunte, abbondano. Invece più che comportamento da molluschi dovremmo rimetterci in via fiduciosi, camminare campi assolati, salire chinali di colle, per guarire. Da che? Dalla paura, da noi stessi! Abbiamo bisogno di luce,e tanta, d’aria pura, e tanta, lontani dai contagi del basso, dai miasmi pestiferi che l’oggi produce. Evadere dalla sicurezza del nostro egoismo. Ecco il mio sapere s’è fatto tutto freddo, è divenuto vela senz’aria, vertigine, orgoglio sterile e l’anima mia rattrappita s’è di paura ancora. No, non la sapienza possiede la vita, la gioia d’amore, la dolcezza cui l’anima anela nei voli supremi quando ti cerca tra gli squarci di nuvole, lì tra gli innumerevoli uccelli-Filomela del mito, o tra le miriadi di stelle, la più luminosa che tutte le riassume nell’anima, invano cercando. Né importanza alcuna ha l’esperienza del passato, con le illusioni sue pretenziose, tinta di scuro da dolorose scoperte. Ed è d’oggi che ancora il mareggiare scuro del tempo m’ha preso l’anima, ché appreso ho di serena dolcezza dell’adolescenza mia,che s’è tutta rattrappita in sé con l’anima per sempre intrappolata nella vaghezza. Così il sacro entusiasmo ch’avevo di sorgere e andare, da ribollir generoso di dentro, s’è fatto schiuma di paura come fa limaccia quando l’umida sua via interrompere deve. Ché nuovo groviglioso smarrimento m’è preso e tanto incerta mi s’è fatta la via e lontano s’è fatto il fresco mattino, che m’aveva condotto al bosco della mia preghiera. Dalle bassure dell’anima miasma pestifero m’è giunto per dissimulare la mia pena, con la precisazione velenosa che tutt’altro sia stato il giullare di cui l’amico aveva gaio ricordo. Io non volevo sentirmi gaio e sull’altro ho fatto pesare anche, triste e minacciosa di improbabili conseguenze, la mia maggior conoscenza di fatti che sulla salute sua riferiva per averne consiglio, ché la disinvoltura dei sui approcci al problema, fastidio mi dava. Ecco, sono ridiventato meschino! E’ stato il passato, ho ricordato i primi approcci d’amore con quella, groppo me ne è venuto al cuore e tutt’intorno ho sparso bava velenosa da mollusco. Sì, sono uno che dice e spesso non sa che dice! Eppoi per certo dolore occorre esser soli e non passare dai fatti tristi ai ricordi di ubriacature goliardiche. E io così quella persi, ché la mia condotta sconsiderata d’ubriacatura tra altri gaudenti sprovveduti, riferito le avevano nelle conseguenze sue truci. Ma ora basta, il passato è come pietra arsiccia del sangue scuro del dolore, per insisterci troppo! Oggi, domani e sempre finché dura questo pellegrinaggio, simile tutto diventerà, un passato di lacrime. Sì, le manchevolezze, le omissioni vi si fanno pena, l’agire incauto o malevolo vi si fa dolore e pullula sempre anche l’appena dopo di smarrimento e incertezza, di paura. Alla mia stella devo rivolgermi. E’ giorno, pregherò di vederla stanotte, è notte, sospirerò il cielo di miriadi di stelle e pregherò di sognarla almeno. E sei tu la stella, che mi palpita amore, gioia d’amore. E frantumata forse ti sei in faville di luce e forse stanotte dal cielo più numerose lacrime cadranno a significarlo. Tu sei la mia via, la salita, l’erta, che al figlio tuo conduce, la mia verità, la mia vita! Ma quanti sogni perderò ancora nello scuro del tempo in questo viaggio a te? Batte e ribatte l’onda scura sulla marina e la fulgida stella non v’è, di troppi palpiti è questo luccicaio, mi ci smarrisco e quasi ne ho paura! Stringo la piccola mano della donna mia, che di gioiosa dolcezza mi conforta il cuore. Con me va fiduciosa, perderò pur ella in questo mareggiar scuro? E’ come bambina, è la mia bambina! Oh meglio che questo vecchio cuore si fermi, se è questo che teme! Qui, ora in questo barlume appena, che fa nel cuore di tanto lontano la luce tua, qui, ora in notte pur tanto chiara di mille e mille facelle accesa, qui, ora a questa dolcezza triste cui pur m’abbandono!

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