lunedì 26 dicembre 2016

Incipit vita nova


Ho scritto qualche giorno fa per gli amici di “facebook”, A Berlino una nuova strage. Io mi chiedo dalla mia tenace ingenuità, Non è sicura illusione il credere di raggiungere il dio, il bene, operando il male? Non è forse esso la sua negazione e se lo si fa subire, la meta non viene negata? È , credo, la sola via del bene per la salute di ogni uomo, tanto contrastata dal male subìto, che santifica la speranza di vederlo! Quindi non per mezzo del male, ma è attraverso, nonostante il male che lo si raggiunge!
Ma mi bastano queste considerazioni sulla violenza, che fa scemare ogni fede nel solo dio di tutti e sopratutto bastano al dio, che sorveglia la mia, ché resti nonostante l'ottusità del vento di qui?

A volte non posso non chiedermi che trovi il dio in me che giustifichi la benevolenza sua nonostante la mia palese mediocrità nel bene vissuto, il desiderato tanto e il realizzato scarso, sì, il suo amore che sento pur c'è, immeritato visti gli insuccessi di una vita! Forse consiste nel farsi bastare la briciola di fede che sopravvive all'incredulità, tentazione di sempre, mai del tutto vinta, cui gli eventi di questa mia vita incerta, quando non accanita avversa, mi spingono. Perché è proprio dal dubbio che ricostruisco la speranza che tutto, il male perfino, che lasciarmi non vuole, abbia un senso, che chiamo dio, il dio di tutti. E io ne ho per lui? E se sì, che ne posso dire? Che cosa dà fondamento al mio piccolo precario amore? Sicuro lasciarmi bastare non il poco pensato dalla mia debole mente su lui, povere, insipienti le argomentazioni o forse fin troppo banali come quelle sopra riportate, ma tutto quello che i santi e gli atei, tutti come me disperati nell'ossessiva sua ricerca, hanno lasciato filtrare attraverso i secoli sulla verità sua. Mai aiuto alcuno avrò certo dagli indifferenti, che al loro atteggiamento sterile tanti in ogni epoca hanno guadagnato e in questa fin troppi, tutti quelli che stordirsi vogliono per non dover pensare. Così io niente altro ho da offrirgli che il poco bene tentato con rinnovato proposito, e le parole scarne, ripetitive della mia preghiera, gridata o muta in tanto buio, che non sta solo dentro, ma anche è fatta delle ombre delle cose tutte, e lui, credo, debba molto amarmi per lasciare gli basti. Ma qui continua il male con le assurdità sue. È sempre come opporre la propria voce, flebile per quanto gridata, al vento che ulula. Ma ben si stancherà o altrove sfogherà la residua sua rabbia e io continuerò a gridare. Chi avrà vinto? Ma i fatti di qui continueranno con la logica loro incomprensibile e io vi opporrò ancora il mio amore gridato. Illusione l'amore? Ma questa donna c'è e si lascia amare, e io le dico, vaghi gli occhi suoi, Sai tra le stelle c'è un posto chiamato Amore e lì incipit vita nova!

domenica 11 dicembre 2016

Il perché della fede


Devo a questa età proprio chiedermi il perché della mia fede? Forse davvero devo tentare. So di possedere un piccolo, o grande bene. Mi fa misurare gli eventi con un suo metro, o una bilancia, e ciò che ne leggo invita a un cauto ottimismo. E questo è già avere un privilegio, che per nulla esenta dalle comuni tribolazioni di qui, ma aiuta a superarle. Ecco, sicuro questo mio credere, forse un appena, forse un molto, mi dà come una certezza, che le numerose, dolorose sconfitte passate, da cui prego esentati quelli che amo, e le piccole, rare vittorie della mia vita tutta, superamento di difficoltà, intralci da cattiveria, e altro (troppo!), che vorrei gioie numerose per gli stessi, siano parte di un disegno divino, che ignoro nei dettagli, ma fiducioso, considero volto al bene non solo mio, ma comune agli uomini, tutti coinvolti! Ma è tutto? E se prego con insistenza, quasi ossessiva, per il bene di chi amo, non scade forse la fiducia che dico d'avere nella vita? È debolezza o ricchezza? Ecco, spero in una vita nell'oltre e vi vorrei felici quelli che qui non sono riuscito a proteggere dal male. E non sono pochi! Così le donne amate, tutte, e questa piccola, che s'ostina a spartire con me i pochi sorrisi e i molti motivi di lacrime, vorrei vedere in una umanità novella, tutta benigna e solidale, ridere, sì finalmente felici!

Con queste poche considerazioni non do certo esaustiva risposta alla domanda e dovrò ritentare, leggendo meglio il mio celato, certo di piccolo uomo, ma di uno che nel cuore vorrebbe ficcare quanti fratelli, e più ancora, ne possa contenere!

sabato 26 novembre 2016

L'amore, il male, il perdono


Quando alle dotte discussioni dei miei colleghi prendevo parte, e di rado accadeva vi fossi invitato, forse perché palese amico di un matematico prete, queste finivano talvolta col negare al dio ogni possibilità. Io ero senza veri argomenti, troppo recente la mia conversione, irretito dal pescatore di anime che raccomanda di amare i nemici. Amore, che diviene unica possibilità, se quel che ci accade nega la prossimità del dio, per continuare ad avvertirla, nonostante l'accaduto. Dio, che si è legato al nostro destino con la venuta e la permanenza qui, proprio del suo cristo!
Ma una volta non seppi resistere... Il più preparato concludeva, parlando della moderna teoria della “creazione” dell'universo, che un agglomerato, palla primordiale, assai ridotta nelle dimensioni, conteneva in nuce l'universo attuale, avendo al contorno, cioè sulla superficie, certe particolari condizioni influenzanti il comportamento nel tempo, che si sarebbe dispiegato. Alla mia domanda, perché quelle e non altre azioni vincolanti all'inizio dell'evoluzione del tutto, l'interlocutore allargò le braccia, mentre io affermai di saperlo, le aveva poste il dio! Perciò se non poteva essere accettato un dio fuori del tempo e delle cose, perché ritenuto mera invenzione umana, non era quella la via per negarlo, lo si chiamasse come più piaceva, rispuntava! C'era stata una primordiale scelta tra le innumerevoli possibili e da che, o da chi? Io affermavo la scelta da chi ne è ancor oggi, pensato fuori.

Nel stadio attuale e qui, ci sono persone capaci che studiano le cose, altri si chiedono il perché della vita, altri ancora il rapporto dei viventi con tutto ciò che fa il loro mondo, e le leggi di questo fino a chi non nascose la sua meraviglia che tutto sia comprensibile e scritto in linguaggio matematico (Einstein). Noi, i semplici, non necessariamente sprovveduti, ci lasciamo guidare. E intanto cediamo alla meraviglia. Ecco le cose novelle di primavera, i chinali variopinti di fiori ed erbe carezzati dal vento, i tramonti che tutto dipingono di rosso nella attesa che ridano le stelle! E poi i sorrisi e parole dolci o amare delle nostre donne e i lor caldi abbracci. Ma c'è il male, c'è il dolore per fatti collettivi, così terremoti, alluvioni, o personali così malattie senza scampo, illusioni spezzate, amore disprezzato, e tanto altro a far i motivi e le voci della disperazione. E ci dicono che il male misuri la lontananza dall'operatore primario che occorre colmare. E chi non lo desidera(?)! Ma perché anche amare gli indifferenti all'altrui dolore, quelli che sempre volgono altrove lo sguardo e addirittura i facitori di male? Forse è l'unico modo per essere imitatori di chi per amore iniziò proprio questo tutto di poche luci e molta ombra, e farlo sentire vicino a tutti e non estraneo. È come dire a se stessi e al fratello, quello lì con tutta la rabbia sua non prevarrà! Il cristo ha voluto il dio partecipe di quanto ci capita, lui stesso sofferente, lui stesso sopraffatto, malato, morente. E invece come ci sembrerà il dio nella sua apparenza di indifferenza a un destino ingiusto, di dolore già nell'innocente, già nell'appena nato? Nemico! Ecco che l'amore deve essere il più ampio, quando poco sembri per raggiungere il dio nella bontà sua, quando inappropriato, eccessivo anche il poco per la sua presunta esenzione e indifferenza. Tutti educati dobbiamo essere all'amore! Gesù, insegnami come amarti, come il tuo dio!, griderò e griderò, troppo buia la notte! Ma se il dio per primo ama ogni suo nemico, come posso io stesso esserlo già a breve, più ancora io non posso credere al male eternamente mantenuto come punizione dei reprobi, ma accetto la sua provvisorietà, rimanendo essenziale per il ravvedimento, anche postumo, e il conseguente perdono e so di star parafrasando Origène.

lunedì 14 novembre 2016

Notte di speranza


Quasi serena questa giornata tutta è trascorsa, ché ampi squarci tra nuvole molto scure e minacciose si sono aperti, a inondare di calda luce le cose tutte, che la recente pioggia verniciato ha di vividi colori, marcandole quasi novelle in questo mio mondo. Tutto par parlarmi e farmi metafora di vita sin qui trascorsa, sì non troppo serena, anche se a tratti con piccola felicità, come questa donna ha voluto, anche lottando ché il cielo sopra noi non si richiudesse. Ma già avanza il buio e la notte incipiente tutte le cose invita all'oblio nella sonnolenza. Ma non me, ché impressione ho che qualcuno continui a parlarmi attraverso questa natura muta, anche ora che tutta rattrappita pare al gelo che vuol farsi pungente. E cosa dirmi vuole? Forse che nei nuovi squarci di cielo vi rideranno stelle a farmi presagire sprazzi di felicità ancora. Sì, con la piccola stella lasciata cadere per me e fattasi donna, che s'accuccia accanto, ché dal freddo un po' la difenda.

domenica 6 novembre 2016

Farsi uccelli

Quando l'inverno i rigori suoi annuncia, raduna uccelli sul filo che mi corre sul capo, come fa quest'oggi grigio con gruccioni che vi stanno appollaiati ignorandomi, mentre io a quest'aiuola tutta l'attenzione dovrei per averne proficua cura. Certo attendono di volar via a un misterioso segnale, ma io li vedo già impegnati nel fortunoso volo di ritorno, ché qui stanziali non sono. Un sol desiderio li sprona, mentre a un capo-rotta il loro destino affidano. Questi nell'ufficio suo ad altri prescelti s'alterna, così che il gruppo fiducioso raggiunga salvo la meta lontana, dalla quale la passata incipiente primavera, pronuba li richiamò irresistibile. Non dissimile è il comportamento di giovani d'oggi, che simili in fortuna e condizione si ritrovino, anche inconsapevoli, riuniti in un gruppo. Ma lo scopo non è chiaro e si stempera nella vaghezza di fatti sperati piacevoli. Ecco lo star dietro a persone di successo, farne idoli con la segreta speranza che lor fortuna contamini. E come fa pianta che barbichi e faccia rigoglio in recettivo terreno, quest'illusione affonda le radici sue nella loro anima e fa groviglio, che se poco lascia sfuggire, nulla di sensato da saggia generazione che li abbia preceduti lascia entri. E mentre lo stormo degli uccelli ha scopo nell'oltre lontano, nel difficile da conseguire, bene che riguarda tutti gli associati, nell'umano stormo lo scopo certamente non è che il conseguito, tanto agognato, venga spartito affinché tutti ne godano, ma sarà geloso possesso per il singolo. Meritarlo richiederà volontà e destrezza, che ciascuno s'illude d'avere, non attendendo che l'occasione propizia, il tocco della fortuna appunto, per venir fuori il desiderato sospirato. Ma se già triste è questo comportamento, più ancora lo è quello di chi s'associa nella preghiera all'unico dio. Questa comunità divisa, e non dovrebbe essersi separata se spera di comunicare con l'oltre e così amare il dio di tutti, può aver suoi riti, sue argomentazioni, sue parole e pensarsi chiesa. Ma non è così. Già nell'amore a due lo Smiles osserva che amarsi non vuol dire guardarsi negli occhi, ma guardare nella stessa direzione, uno l'afflato, uno il desiderio, una la meta. Ma nella comunità di volutamente separati ci si illude di privilegi, perché si sa meglio dire nell'assemblea e con più attento ascolto dai fratelli, ma spesso si ignora che amare il dio significa tutt'altro. Percorrere sì la stessa strada, con reciproco aiuto, ma più ancora soccorrere chi indietro s'è voluto lasciare, illudendosi di correre più spediti, e simile cura richiederebbero i trascurati, perché pensati increduli non interessati. Ma se si trascura d'amare gli altri, ogni altro, se non ci si sofferma, se non ci si attarda ai loro problemi per soffrine e sperare nella loro risoluzione, la distanza dal dio aumenta, egli diventa un'idea, un nome del bene e non persona capace di ricambio centuplicato d'amore. Sì, l'amor suo svanisce. È esso come rugiada che al mattino tutto imperla, così sono i pensieri belli, le parole nostre migliori, che però abbiamo disgiunti da vere impegnative azioni di bene, che ci illudiamo pervasi dall'amore divino, ma come viene il sole, quella tutta si consuma e così fa il nostro proferito o ancora trattenuto in cuore alla presunta vicinanza del dio.

sabato 29 ottobre 2016

Il bene e il male


Quando tutto grigio è il cielo e il giorno pare in esasperante attesa di rinfrancante pioggia, le cose tutte intristite paiono, immerse in un diffuso chiarore spento e sonnolento. Così lungo il chinale dei miei ozi, i fiori di campo. In boccia ancora o dischiusi, tutti col capolino ripiegato sullo stelo se ne stanno rassegnati a non poter avvertire luce del sole che li invogli a rizzarsi, perché le erbe tutte, in giorni assai diversi, essa accarezza e indora, e il calore suo certo dà conforto di passata e fredda notte. Così come vite ora rannicchiate in sé stanno, le nostre non si dispiegano per realizzarsi appieno e, timide, pretesa alcuna di condizione o destino diversi hanno. Il male diffuso par soffocarle e, perfido, dar loro appena respiro di sopravvivenza, affinché di esso, eterno avversario, e di sua invitta potenza continuino a dar dolorosa testimonianza! E in una vita così, che fa, mi chiedo, la ricerca del bene? Affanna, s'arresta, rinuncia? Spesso chiamiamo bene non l'atteso gratificante finalmente conseguito, non la meta, ma l'intermedio di cui ci contentiamo, raggiunto dopo tanti contrasti e compromessi sofferti. Quello che è appena dell'agognato, accettiamo come appagante, perché il realizzato non può che essere relativo alle difficoltà frapposte e, quanto più combattuto, sarà pur sempre una preziosa forma di bene, anche se appena parvenza del desiderato. Sembra perciò che l'esistente faccia supporto al male, mentre a questo mondo il bene si lasci appena intravvedere, come ad esso non appartenga. Così in cielo nuvolo fa il sole in temporanei squarci. Insomma a giudizio di molti delusi e mio, ché a tali conclusioni l'età mia invoglia, il bene deve esistere di per sé, mentre sol pallida idea, qui rimanendo, se ne può avere. Il male invece impera con le ruvide scosse sue, che illusioni di bene scacciano dall'anima, scrollandole come inutili fardelli. Se la mente mia, che oggi più povera avverto, indulgente alla pigrizia, potesse analizzar meglio questo apparente comportamento, forse con argomenti logici convincenti dovrebbe concludere che, mentre il male non è avulso dalla storia del mondo e non è senza di esso, supporto suo, il bene è una sparuta comparsa, proprio come è del sole, che si lascia godere per un attimo in fredde mattinate, uggiose per la sua quasi continua assenza. Se questo mi fosse possibile, del più assillante mistero che la vita di tutti attanaglia, avrei fatto un po' di chiarezza. Dio chiamerei il bene fuori di questo mondo, pensandolo persona, esistendo di per sé, e il male riterrei non accidentale, ma caratterizzante presenza, che deve necessariamente essere perché dovuto al distacco, con conseguente divario, delle cose create dalla fonte che le abbia concepite. Ma subito sento povero il mio argomentare, debole la logica sua, e la mente stanca piuttosto invita al sogno. Allora non posso non ricordare la dolce nenia che mia madre mi sussurrava, ché m'addormentassi senza più il fratello a farmi conforto, e al suo tenero sorriso io, ora vecchio, povero di speranze e illusioni novelle, vero m'addormento!

lunedì 17 ottobre 2016

Domande senza risposta



Fiori questa mia donna ha oggi reciso e ora a far bella mostra di loro foggia e fragranza ha posto in un vaso. Ma alcuni ancora in boccia forse avvizziranno, altri però con corolla tutta dischiusa si lasceranno a lungo ammirare. Che mi fanno pensare? Alla nostra condizione in questa vita. Alcuni vi si affacceranno appena, altri  vi si potranno esprimere per l’attenzione di chi può apprezzarne doti e comportamento, realizzandosi  così appieno uomini, altri ancora però non lo potranno che poco o nulla. Così ogni relazione per questi ultimi si farà difficile o sarà negata, e l’umanizzazione loro verrà compromessa, ché nell'interagire libero con gli altri è fondata, e la natura ha per essi frapposto impedimenti! Ecco, tutto azzurro e soffuso di luce è questo giorno sereno e verrà la notte e sarà tutta di stelle! Chi però questo cielo guarderà con speranza di un oltre più giusto? S’affaccia il dio alla povera vita dei nostri ultimi? Si fa loro palese o è allo stesso modo nascosto per tutti, ma il suo nascondimento più pesa per chi ne vorrebbe conforto? È proprio così? Davvero il suo conforto nega l’evidenza sua e si fa fortuna di vita per tutti, che agli ultimi è negata nell'esito da altri sperato, proprio al pari di tante altre, ché essi risorse non hanno per volgerle al meglio, talvolta nemmeno la preghiera? Sono le domande terribili che un amico m’ha posto, raccontandomi un suo accaduto in cui uno sfortunato, nulla chiedendo e all'apparenza rassegnato alla condizione sua, ne ha mosso la pietà di uomo, ben diverso! E io non so che dirgli e io non so che dirmi!

lunedì 10 ottobre 2016

Raggiungere il cuore del dio

               
          Quando nella vita di quaggiù per il bene agisco, attenuando o risolvendo le difficoltà che incontra con me in questo cammino incerto chi posso considerare prossimo, o quando perdono chi insidia i miei passi pur lenti verso il bene e le mie intenzioni buone distorce, certo, mi ripeto, così vuole quella briciola del dio che è già in me. Ecco, mi dico, se questo vuole, se così è il dio, mi è tanto vicino, o lo ho proprio dentro, da infondermi la volontà e la capacità di operare nella sua giustizia, che vuole tutti partecipi di uno stesso destino di bene. Ma quando il male mi contamina e sminuisce gli sforzi miei o li rende vani, dov'è il dio? E’ forse il dio dell’abbandono? Ecco, nero è questo cielo o se stelle vi sono, questi miei occhi fanno lor fiammelle confuse, ché umidi diventano. Sì, la mia preghiera s’è fatta supplica, Ridai forza a queste mani, gli dico, non permettere che si smorzi in me il coraggio, già poco, di lottare questo male! Sì, gli occhi miei umidi, simili si son fatti a quelli di chi s’aspetta da me aiuto, conforto e io non ne ho più, nemmeno pietà per me stesso! Io cerco e non trovo, io domando insistente e non ottengo! Sterile la preghiera mia quanto il poco che ancora posso, che nulla risolve e davvero più non conforta! Perché? Io, uomo di fede, mi sento davvero abbandonato quanto chi tento di soccorrere…
          Medico, ho vissuto proprio così più di una angoscia, che rivivo come se fosse d’oggi e la preghiera prima che sulle labbra, ancora mi muore dentro! Ma perché ho conservato la fede, pur tante le smentite? La mia vita è stata tutta una lotta per essa e, guadagnata, non voglio perderla, mi costi pur affanno dietro alle contraddizioni che in sé reca! Fin da bambino dentro m’è entrata l’amarezza dell’abbandono apparente del dio, la sua assenza, il cercarlo inutile, il parlargli senza alcun cenno di risposta. A lungo sono stato chi un tal dio nega, tentazione che tornata m’è nei momenti più bui. Il male da sempre spadroneggia  invitto nella mia anima e la vita par sempre l’occasione di lamenti solitari, oggi stemperati, forse per residua dignità, nell'appena  pronunciato, parole morte già in gola, o delle poche lacrime a stento trattenute, che fan corona, gli occhi stringendo, delle fiammelle del cielo, che pur ci sono da sempre! Sì, di questo male tanto diffuso son succubo ed esso avvertire mi fa il cuore ferito, come avvertivo deluso quello di chi da me invano attendeva qualcosa nella pena condivisa, che il mio ricordo attualizza. Cosa mi aiuta?  Accettare ogni accaduto, oggi rivissuto, ogni personale fallimento, come chi vede nell'altro il proprio dio soffrire e morire su una croce ripiantata e nulla potere per lui. Egli è chi soffre anche del mio non sapere e potere! Sì, proprio uno che soffre di ogni dolore e muore di ogni morte! Credere non potrei altrimenti, senza pensarlo così! E ora che tanto è il tempo vissuto e più s’è fatta pena palese la sollecitudine per me di chi ho accanto, sempre amorevole, una piccola donna, prego che nulla le accada di quello che il mio cuore teme nell'ansia sua, ché ora più ancora non sa questa mente, né possono queste mani! Allora m’appello alle persone buone che benedetto hanno l’unione nostra, e che pia metafora vuole ci attendano in cielo, affinché trovino loro le parole per noi, per questo nostro povero amore minacciato. Sì, quelle che sicure raggiungono il cuore di chi chiaro vedono con gli occhi del cuore loro, inadatti, cisposi da sempre i miei!


martedì 4 ottobre 2016

Le contraddizioni dell’anima

        
        Che è il passato? Un mondo rarefatto, inghiottito nell'oscuro del già stato, senza più né peso né importanza, per i più almeno. E dove più i pensieri, le sensazioni, le parole dette o taciute, le ascoltate, o le scambiate? E dove le attese, le premure, i sorrisi, le decisioni, gli abbandoni, le speranze?
        Quand'ero piccolo, mio fratello ancor più mi mancava, ma m’illudevo che presto avrei potuto rivederlo in cielo, nonostante il tempo paresse scorrere assai lento. Ora che lo percepisco correre, ne ho daccapo certezza, che la fede mi alimenta. Sì, quando la vita si fa matura, c’è tentazione di riesaminarla, rinnovando le perdute aspettative, le più ingenue anche. Possiamo, ma dovremmo? Io parlo soprattutto di me e mi chiedo se è del vero credente comportarsi in questo modo, cioè riandare ai fatti lontani. Ora che corta s’è fatta la vita di qui, la mia speranza  non sta solo nel ritrovare il fratello perduto, un bene scambiato interrotto, forse davvero un’ingenuità di ritrovamento dimenticata, ma nel rimpianto di tutto il bene perduto! Mentre, credo,  quest’età dovrebbe farmi guardare solo al bene venturo, che ogni altro certo ritrova e rinnova. Penso alle persone care tutte. Pure alla piccola dai capelli d’oro e a una disperatamente amata, ragazzo ancora, anche se già ritrovate le ho in questa donna, che di me e del mio bisogno d’amore non si stanca! Ma le meraviglie possibili, tutte mi stanno davanti, attese con trepidazione, in un mondo tutto d’amore, finalmente svelato, dischiuso. Sì, come fiore in boccia si apre al sole e all'avvicendarsi di affaccendate farfalle, così il nuovo per me e quanti amo. E li vorrei proprio tutti inclusi nel cuore come mio fosse già lo spirito del cristo. Sì, come fiore che non propizi insetti pur non scaccia e tra i petali e gli stami suoi lascia sostino! Ma non è così, perché rifanno capolino le passate vicende opacizzate allora dalla mia mediocrità di senza fede, e cuore è come fiore che scacci indesiderati ospiti! Sì, le attese di bene per questo possono inquinarsi!

        Sotto quest’unico cielo, che ad analoghe fortune tutti destina, talvolta la vita si fa più tribolata per una volontà perversa, che i danni suoi aggiunga ai possibili ambientali… Certo gli ostacoli frapposti alla mia ambizione sono stati tanti e per lo più attesi, ma alcuni volutamente eccessivi da volontà di nuocere. Ci possono essere state mie reazioni immediate anche solo psicologiche, ma perché tornarvi quando il tempo ha spento il pungolo dell’imminente subìto? Il mio non perdono immediato può avere avuto la sua giustificazione, ma il rancore, che mi risorge da un accaduto che rivivo, non ne ha alcuna! Gli antagonisti di un tempo, quelli di cui posso aver provocato una sproporzionata reazione avversa, dove sono ormai? Molti la soglia dell’altrove, che li fa liberi anche dagli errori di qui, sicuro hanno varcato, altri  non dovrebbero suscitarmi animosità alcuna se li so vinti dalla vita o, se risparmiati e ancora la loro meschina sicurezza di poveri nel cuore sfoggiano, sono senza convinzione e senza più tema per alcuno, nemmeno per me! Perché allora non ho un atteggiamento di distacco e serenità o, se vero pio mi son fatto, non so pregare che tutti ravveduti si siano? Sì, forse posso essere stato nel giusto e conservato un po’ dell’ingenuità e inesperienza della prima età all'epoca di quei fatti lontani, ma se li riguardo rancoroso come appena accaduti, è certo che ne divento corresponsabile, come forse davvero fui. Sì, io mi ammalo dello stesso male, vittima allora, ora diventato oppressore di me stesso. Un atteggiamento che intanto inquina la mia aspettativa di bene completo. Me ne fa perdere l’imminenza, mi riporta indietro non avvertendolo più come l’appena dopo, il tutto, l’amore! Sì, è comunque un peso dell’anima di cui dovrò render conto perché, credo, peccaminoso. Insomma divento chi ha più ancora perdono da chiedere, non più guarito dal tempo, vero medico dell’anima, dei guasti lontani. Ma uno che preso è nell'amarezza del risentimento rinnovato! Esso mi alleggerisce il cuore del bene fatto, anzi me lo svuota e mi smorza la speranza di ritrovarlo almeno nella misura di quanto pur ne ho dato. Sì, ecco le contraddizioni dell’anima mia! E mi aiuti iddio!

sabato 24 settembre 2016

Eutanasia permessa di un minore

  
        A lungo il sogno, che molti prima e con me anche, hanno carezzato, che sia possibile, uomini forte volendolo, avvicinare l’utopico cielo di ogni bene alla terra, a questa nostra proprio, così carente, ho mantenuto nonostante le evidenti smentite, vera positività nel mio ateismo. E quale? Che sia possibile dare a ciascuno secondo i suoi bisogni, con risposta sua adeguata alle personali possibilità a beneficio di una società di giusti verso gli altri e se stessi. L’ho sostituito alla mia conversione, con quello dell’“innamorato dell’amore e della libertà”, secondo una felice definizione della Fallaci, perché candidato mi sento a quell’amore e già nella sua libertà! Ma libertà da che? Sicuro da tutto ciò che fa da ostacolo al suo sogno di bene già qui diffuso e scambiato tra gente di tutti liberi dall’egoismo, tentazione di tutta la vita di qui. Ma per me ci può essere desiderio di libertà da altro ancora, da sofferti ricordi. Sono ormai un vecchio medico, non più attivo, se non per i consigli che distribuisco a tutti, anche non esplicitamente richiesto, alla mia quasi quotidiana passeggiata, così come quest’età mi permette. Ma nella vita mi sono trovato di fronte a ben altre richieste esplicite o tacitate forse per ritrosia, forse per paura di un diniego. Ripenso a un particolare malato terminale, mio primo vero caso estremo, e lo rivedo inchiodato alla sua croce, che soffre ogni dolore e ne urla e morire non ne può. Io mi spendo tutto a lenirgli tanto strazio e me lo permette l’uso di un farmaco che ben conosco e ben funzionò anche con mia madre, io allora studente che s’affannava agli ultimi esami perché ella mi vedesse medico e non poté essere. Parto col mio malato da una dose bassa e dapprima sembra funzionare assai bene, questo paziente s’addormenta sereno alla fine di una giornata di buona tregua e mi ricorda il sonno dolce, anche se mai lungo abbastanza, di mia madre dopo la somministrazione serale. Ma già occorre aumentare la dose! E un giorno il paziente s’addormenta e così rimane senza lamentarsi più. Coma da dose eccessiva? Non certo dalla raccomandata! E io mi scuso, amareggiato e vergognoso di un inesistente mio errore, con i parenti suoi e qualcuno commosso per l’onestà mia, mi abbraccia e mi sussurra, Duttò meglio accussì, cioè dottore meglio così! Ho da allora sempre sospettato che intenzionalmente qualcuno avesse usato quel farmaco più del consentito e raccomandato da me, anche quando di lì a poco il paziente morì. Eutanasia? Forse! Non avrei dovuto fidarmi? Lo penso oggi pure, e poi in casi analoghi sono stato più prudente, ma mi chiedo, proprio mai accadde d’analogo, io involontariamente favorendolo, con l’aprire le braccia mie e gli occhi al cielo, come a dire che più non m’era possibile? Quando dopo il primo terribile sconvolgente episodio ne parlai a un vecchio medico, questi mi rispose che forse qualcuno aveva posto davvero fine alle sofferenze del congiunto e alle titubanze tormentose della mia anima e che se in futuro mi fossi deciso per la bella dolce morte per un paziente in irrimediabili sofferenze, mai alcuno avrebbe dovuto saperlo, il confessore nemmeno, visto che diventato ero un seguace del cristo, ma il dio soltanto! E mi raccontò un episodio della sua vita di giovane medico del tutto simile al mio e accaduto in ospedale. Per niente un luogo in cui potevano venir risolte situazioni estreme! Poi  altro mi confidò e mi persuase che le mie pene di fronte alla sofferenza autentica sono nella pietà di ogni vero medico, e che non si è veri medici se cinici! Così mi sentii autentico buon medico, se non per le mie capacità, almeno per la pietà che tanto spesso ormai mi ingombrava l’anima, da farmi piangere dentro la mia impotenza di fronte al male tanto più agguerrito. Sono ancor oggi riconoscente al saggio medico, che, sperando nel perdono, certo ritroverò tra i giusti. Ma intanto come negare che il problema dell’eutanasia è cruccio di ogni buon medico, che tutto si spenda a lenire sofferenze estreme, mai del tutto bastevoli i farmaci? E tanti oggi sono! Mai somministrerò il veleno! È nel giuramento di Ippocrate! Ci aiuti il signore, grande medico, cui occorre star dietro. E preghiamo che ogni nostra azione sia volta al bene di chi di noi si fida e si lascia tenere per mano, bambino ridiventato!



lunedì 19 settembre 2016

I vinti d’amore


Invito a ripensare al cristo morente sulla croce. Egli è non solo abbandonato, come la più parte di noi nell'esperienza estrema, ma è l’abbandonato. Egli ne chiede il perché senza risposta alcuna. Il dio suo e nostro più non v’era. Proprio quello della fede sua, condivisa dai suoi correligionari, che gli aveva permesso operare “mirabilia”, assente, perduto per sempre! Ma egli gli rimane fedele, sa che è il dio del perdono, e lui lo imita perdonando gli aguzzini suoi, quelli che gli si erano fatti nemici e gli altri tutti tentati dal male o uomini del male. E così si lascia morire sperando che la sua rivelazione suprema d’amare i nemici sarebbe rimasta nel cuore degli uomini dopo la sua scomparsa. Affermazione che tra quel popolo che vedeva nemici gli altri tutti, l’aveva reso inviso, apparente debolezza e non coraggio di scrollarsi di dosso il giogo romano, la sua. E con lui muore tutto, l’amore di privilegiato dal padre, sì l’amato in un rapporto speciale, perché muore con lui il vecchio dio, sì il padre suo! E che gli resta in quegli ultimi istanti se non il suo povero disperato amore umano, quello di noi tutti, che interroga e non ha risposta quando più e più s’esalta il buio di fuori e dentro? E così nella notte che s’infittisce, muore gridando! Ma non contro al dio che con lui muore, ma al dolore che ogni uomo patirà ancora e ancora nella morte. Ma il suo amore è così forte che il dio- amore gli si svela facendolo risorgere. Sì, il solo dio possibile, che tutti ama e perdona. Allora che altro dirò? Ripeterò i concetti espressi a un amico forse più di me in notte incipiente. Sì un qualcosa, che ritengo essenziale! Io intendo dalla morte del cristo che deve essere questa la nostra condotta imitativa. “ Homo homini deus”, è questo, dopo il cristo, lo scopo della vita tutta. Ma i più di noi, io certo tra questi, lo attueranno pienamente solo nella futura. E che in altre parole?  Vedere il vero dio attraverso gli altri, gli indegni di qui anche, che per l’amore suo da loro avvertito per  tramite nostro, tali non rimarranno! Io non so per certo che ci sarà la sconfitta del tempo e quindi rinnovata questa possibilità di completamento del pur sempre poco qui realizzato nel bene, lo spero dalla consapevolezza sofferta di mediocre soldato del cristo, nell’illusione forse di aver capito  qualcosa dal cuore suo. È questa la mia fede, non ne posso avere altre, ritornerei quello che sono stato fin da bambino! Né anche so se lui c’è oltre questa storia umana tanto travagliata e incerta, e la mia personale a tratti tanto buia, così anche non so del solo dio possibile per lui, quello che solo l’amore per gli altri sostanzia, già qui e niente altro, non parole, non incerti atti, non rito alcuno! Ma questo sperato al di là di questo tutto che mi imprigiona, ha permesso vivere d’amore a persone come Cottolengo, che ha amato i nostri nati più sfortunati, e madre Teresa, che ha assistito, vestendosi tutta d’amore, i morenti a Calcutta, e sicuro tanti altri, che spesi si sono per gli ignorati ultimi di qui, i senza più voce, dal troppo gridare anche in questo imitatori del cristo! Quindi ho speranza fondata già qui di quel qualcuno, che ha permesso e permette anticipato l’amore del cristo per gli altri uomini, proprio tutti! Sì, quello del cristo, uomo che si è lasciato uccidere, continuando ad amare i nemici suoi! Allora sarà possibile anche per un mediocre suo, quale mi riconosco, amare tutti come lui ha amato, i più spregevoli di qui anche, e sono tanti quanto i pusillanimi e i tiepidi, subenti le angherie o l’indifferenza loro, almeno o più ancora! Allora amerò chiunque, anche chi qui m’offende, mi perseguita, m’uccide, proprio come lui ha saputo amare, perché lui me ne darà l’occasione, la forza, la volontà, l’amore necessario. E l’amore sarà lui e il suo dio, se saprò vederli in tutti! E loro due non potranno essere né più, né meno dell’amore! Tutti saremo resi capaci di avvertire, capire col cuore, cioè con l’anima tutta, quest’amore, l’amore! Un amore che non potrà che essere reciproco, scambiato, donato e ricevuto in dono, lui avendo raccomandato l’amore ai nemici perfino, che più non potranno essere se non vinti d’amore! Insomma è certo che l’inferno c’è, sta in questo mondo, ma la speranza pure del perdono per noi tutti sedotti dal male e postuma la visione chiara, qui e di là da anticipare per i nostri occhi miopi tramite gli uomini tutti, del dio e del suo cristo!



sabato 3 settembre 2016

Che significa amore?

Tante le cose che conosco appena o che del tutto ignoro! Ma anche se ho tuttora assillo per le appena sapute e vergogna della mia ignoranza, alcuno, credo, di lor carenza o mancanza, mai mi chiederà conto. Ma certo non sarà così dell'amore. Non tanto del ricevuto, immeritato per lo più, ma del non saputo donare! Quello che spesso s'annuncia come sentir vago, che uscirmi da dentro vorrebbe per crescere nella consapevolezza sua, credo, ma impulso spesso tacitato, sì soffocato, forse pensato sconveniente e imbarazzante, come son tutte le manifestazioni istintive! Che è l'amore? Mi si potrebbe chiedere, e risposta certa non avrei! Ma, credo, proprio questo sentire che sta nell'intimo, che imperioso chiede di venir fuori, debba misurare qualcosa…. La ricchezza o povertà di un cuore, di questo mio, che pur ha amore, ben poco forse. Io non so dirlo! Ma so che quando questo qualcosa trattenuto, scarso o appena di sé avrà mostrato, della provenienza sua farà demerito, sì di quel cuore da cui a stento è pur uscito. Spero non m'accada! Altrimenti di me si dirà, Quello nella vita sua da egoista è vissuto, molto ha avuto, poco ha ricambiato!
Ma se restringo la benevolenza e la disponibilità al singolo, forse avrò più indulgenza di giudizio, ché qualcuno devo aver pur amato, oltre la madre, il padre, il fratello mio, quando lo star suo in disagio l'attenzione colpito pur m'abbia! Perché quando il desiderio di ben fare e dire ho concentrato su una sola persona, ho sentito il bisogno di doverlo, seppur cautamente, manifestare. Ma è allora che innescato s'è un processo di induzione reciproca che vorrei saper analizzare e poterne dire. Così nell'amore per una donna, o per dirne con più cognizione d'esperienza, per questa mia donna. Ecco, se do, so dal sentire mio per questa che io m'aspetto che il donato mi ritorni in qualche misura... E , meraviglia!, mi ritornerà davvero e aumentato addirittura! Sì, la risposta sua supera sempre l'atteso! Così questo accadermi mi sprona ad aumentare, per dimostrare l'apprezzamento mio, l'impegno a farle conoscere di più del mio celato, racchiuso in cuore pudico del sentir suo. Ma questo indurrà lei a darmi dell'altro più ancora, del suo bello, che racchiude, preziosità del cuore suo. E questo ogni volta dar di più, arricchisce per primo chi lo dona, e certo lei sente aumentare in sé l'affetto che mi donerà alla prima occasione! Perché l'iniziativa alla maggiorazione è ogni volta per prima la sua risposta, cui la mia d'adeguarsi tenta.
Se tutto questo abbia un significato che noi due trascenda, non so per certo, ma sento che la bella del cielo è così, una che si spende tutta. Se le si dà appena, ridà dal cuore suo gonfio d'amore, più e più ancora! Che? Del nuovo, del prezioso, del bello, affinché la vicinanza sua sia percepita come singolare fonte di bene, unica e irrinunciabile!

mercoledì 24 agosto 2016

Vita di quaggiù

Talvolta immani calamità naturali ricordano la nostra condizione, insicura e fragile, soccorsa, meraviglia!, dalla solidarietà di chi ne è risparmiato, che improvvisa coscienza ha della sua migliore fortuna, altrimenti volto all'indifferenza per la diffusa fame d'attenzione degli altri tutti. Ma l'uomo ne resta diverso? Seppelliti i propri morti, curate le ferite di chi è rimasto, spento il pianto, si ritorna quelli di prima come il dolore non sia stato! Vogliono questo le ragioni della vita! Ed io, esentato ancora, che faccio, come mi spendo, se non per la vita? Torno, non potendo di più, alle considerazioni che mi detta la speranza che una tutta bella ci sia per tutti noi, definitivamente trascorse queste ambasce. E nell'oggi del dolore di tanti, di troppi, che dico? Se esperissi le vie tutte per le quali la bontà dei santi si è manifestata nei secoli nell'interesse per i meno fortunati, e le parole dei loro pensieri per te conoscessi, bella del cielo, nulla sarebbe se data mi fosse la possibilità di udire e custodire, geloso possesso del cuore, una sola tua parola, ché stella del mattino vuoi essere in questa mia notte, oggi più buia! E pronunciarla vorrei per chi? Per tutti i sofferenti, quelli che smorzato hanno il pianto loro nei miei ricordi, quelli che ora hanno da lamentarsi e lasciarsi udire, quelli che affacciando si stanno all'inevitabile dolore, ignari per lo più, come i coinvolti nell'immane disastro di stanotte, che la terra vicina tutta ha scosso. E se le lacrime mie hanno fallito in passato, allora anche per questa mia donna, che le altre tutte ha in sé, dovrebbe essere pronunciata quella parola. Sì, per lei anche, per la pena del suo vivermi accanto, combattuta dal non poter rispondere sollecita alle mie troppe richieste e dalla paura che mi siano ormai vitali e che senza mi perderebbe all'affetto suo! E tu certo detta l'hai pietosa, ché il ben uso suo ne facessi per chi tu pure ami, i sofferenti tutti e questa tua donna in particolare, che da me fa dipendere gioia e tristezza sue. Ma non l'ho intesa bene, ché il vento, che talvolta anche in cuore deluso soffia,  l'ha rapita prima che, compresa, ne facessi tesoro per usarla per il beneficio di chi piange in questa vita. E portata l'ha lontana a perdersi dove tutti i sogni svaniscono, lasciandomi gelido il cuore. Ed essendone privo, per sottrarmi alla tristezza di questo mattino, guardo al passato, pensandolo meno triste, e mi chiedo, Perché tutto è dovuto accadere irrimediabile e io a cercarne una spiegazione verosimile m'affannavo, senza dire cinico al cuore, Quod passum perditum ducas? Non fa tutto parte dell'avvicendarsi del voluto dalla fortuna o altro fato? Sì tutto, le disgrazie e il pianto d'oggi anche! Ma al balcone della giovinezza mia più la bella affacciarsi non vuole e io dalla via deserta invano gli occhi stropiccio ché quell'immagine ritorni...Perché l'ho, seppure sbiadita, nel cuore! E chi vorrà prenderla, potrà, ma tu sollecita non sei, tu che ridarle vita potresti almeno con un ricordo vivido! Lasci che tutto anneghi nello sterile rimpianto del potuto e non fatto, del possibile e non detto? E io busso alle porte del tuo cuore ché tu nel tuo eterno presente delle rinnovabili possibilità mi porti, dopo questa vita tanto sofferta! Ecco, scuoto il cuore di questa donna, per il tuo assenso, quella che ti presta il suo volto e mi illudo che un po' o molto del tuo cuore il suo abbia e m'assecondi...Che ne lascerà uscire? Se è l'amore tuo che lo riempie, allora il sentito per me quasi le farà violenza, finché avrà certezza che un po' del suo calore nel mio, oggi più desolato e gelido sia travasato! Che sarei senza questa che mi ti fa prossima? Un cuore forse in eterno rimpianto del poco di bello in un passato perduto, sì uno che più viver non vuole nel presente che sempre gli si affaccia mediocre e si risolve deludente, o come questo mattino angoscioso per le terribili notizie dell'accaduto questa notte, e ancora uno che attendersi dal futuro più non osa! Mi basta il già sofferto! E invece è lei proprio non rassegnata, che tenace vuol vincere questa mia tendenza ad abbandonarmi alla tristezza rassegnata alla monotonia o al tragico, e paziente ancora mi rinnova l'invito al suo amore concreto, non smarrito nella caligine del passato, un amore che prelude o già è il tuo, che il dolore sa lenire! Ma come quest'amore terreno è a un tempo gioia e dolore così lo è quello tra noi. Gioia se te, donna del cielo, il cuore indovina star dietro le apparenze di qui, le solite o le eccezionali, tristi più ancora, dolore se lo smarrimento della apparente tua assenza perdura. Non è forse d'oggi questo tuo nascondimento, velata dalle disgrazie contro le quali tu nulla hai potuto? Ma è necessario che la vita tutta mi occupi nonostante la discontinuità della percezione dell'afflato tuo, carente più oggi che mai. Ecco, a me viene proprio un'apparente discontinuità d'affetto di questa mia donna, quindi da te. Percepisco le più piccole variazioni dell'umor suo che la vita nostra affettiva condiziona, né io ne sono meno responsabile con chiudermi talvolta, pensando ella non comprenda o ignori le istanze che premono per conferme fattesi ossessive in questo cuore provato, oggi più scosso ancora. Ma forse tutto accade perché l'amore non si stemperi nella monotonia del quotidiano del già visto e detto! E se io penserò alla vita ancora come preghiera, cioè richiesta e attesa fiduciosa, io terrò ben stretta questa tua icona, sì proprio come fai di me per essa, che sembra eccessiva talvolta, prudente troppo da parer avara di concessioni al cuore mio assetato, talaltra, finché tu vorrai che così sia di te e me. Poi l'attenderò con te perché la gioia sua nel ritrovarci riempia e motivi la nostra nel rivederla. Noi non possiamo esser senza lei, io non ti percepirei più, se ella è il tuo volto e cerca d'essere il tuo cuore! E allora pregherò perché torni tra noi esentata da altre pene, perdonata così come tu la vuoi! Ma oggi anche prego il figlio tuo che questa ricorrente buia notte col cielo tuo fattosi senza stelle non ti nasconda più ancora, esentandoti dalle pretese del mio amore, e che io, che chiedo perdono perfino d'esistere, non sia tentato dal voler perdonare il tuo apparente abbandono, sì lo scordarti di me e degli altri nella sofferenza qui, valle di lacrime! Ma se lo faccio, m'accade nello sconforto, lunga da parer vana l'attesa di te, nonostante il tanto, il troppo chiesto a questa tua donna e la sua paziente rinnovata accondiscendenza, che è già risposta, ma lenta, attardata talvolta, alle mie urgenze d'amore! Ma occorre rassegnarsi, quaggiù si vive così! Un nascondimento, un dimenticare l'assillo d'amore da perdonare a chi si ama e forse più spesso da farsi perdonare!




domenica 21 agosto 2016

La mia preghiera

Ci sono stati nella mia vita, come ci sono in quella di molti, momenti molto bui. Ma vero brevi, oppure sono stati ore, giorni? Io non so più dirlo! Troppo lontani, scemati nei confusi ricordi di tutta una vita o invece assai vicini, ma avvertiti lunghi, interminabili per il loro peso, sì un gravare sul cuore. E di che? Del silenzio del tutto, silenzio di uomini, silenzio di dio, da parer morta perfino la speranza di un barlume nella caligine, o di stelle, in cui nemmeno pregare ho osato, rattrappita l'anima, il cuore in una latebra sua! Ma quando c'è stata la preghiera mia, che ho detto e a chi e come? L'ho fatto dalla disperazione, mai del tutto spenta, l'ho fatto invece in riottenuta serenità, l'ho fatto in umiltà con molte parole o nessuna? Con l'oratio dominica, che chiede l'essenziale, o con meno? Ho sperimentato fin dalla precoce tristezza da bambino la necessità di pregare, ma mi chiedo oggi come l'ho fatto in questa vita sorprendente di amarezze tante e di scarse gioie e come lo faccio. Una vita che molti hanno vissuto o stanno vivendo in cui soffocano il gridare e trattengono il pianto, residua dignità di essere uomini, com'io ho cercato sempre d'avere, scarso però il successo della promessa a me stesso, quando la sensazione prevalente è la solitudine, nella necessità di tutto, che fa poveri dentro e fuori, nella malattia, nell'abbandono di chi si ama e da chi si spera esser riamati, nella propria rinuncia non solo a lottare, ma anche a chiedere ancora l'appena a chi si pensa possa. Ecco io in questi frequenti momenti d'angoscia, lunghi quanto il gravare della pena subita, forse non ho detto che una parola, Ave! L'ho detta alla tutta bella del cielo per significarle, Ecco, sono qui ancora nella mia mediocrità e insufficienza, uomo ancora o assai meno ridotto, così da non sentirmi degno nemmeno di baciare l'effige tua terrena, la piccola donna che m'hai donato, che s'aspetta poco o forse molto dall'uomo cui s'è legata. Sono aperto a qualunque destino, ma fammi capire che ci sei alla fine del buio, e che c'è questo tuo volto amato! Sì, mi basta sapere che ci sei e che questa donna c'è, ritrovata! Questo nel poco della mia sola parola e forse più ancora, da farne un tanto! Sì, forse ho da sempre pregato così, una parola a significarne tante taciute, un sospiro per molti! E da bambino, nell'orrore del buio improvviso fattosi intorno, forse non ho gridato, non ho pianto, ma se di pregare son stato capace, non ho detto diverso, Fa che tu ci sia e mio fratello con te!

lunedì 15 agosto 2016

Amare lei è credere!


Io non so perché chi ho appena accanto si dica credente e se, interrogato, con la delicatezza e discrezione che la domanda richiede, sappia spiegare ad altri ciò che il cuore racchiude. Perché son solo parole o c'è l'inesprimibile? È anche la mia difficoltà ad analoga domanda perché io a mala pena so il mio e forse non del tutto e non sono sicuro di poterne dire tutto, troppe le cose trattenute e da molto, forse ben celate e senza espressive parole, perciò un racchiuso non del tutto chiaro nemmeno a me stesso! Ma, se mi fosse dato dirne con semplicità, preferirei esprimermi per analogia, con un “Tutto m'accade come se…”, per far metafora di quel ch'esso racchiude, una d'amore. Infatti in tutto il mio sentire per il dio sconosciuto, molto v'è di simile al provato per questa mia donna. Ecco, le sono daccapo lontano e ne richiamo il volto, ma non proprio quello di adesso, ma il suo di tanti anni fa, anche se ben poco mutato, che orecchio porgeva incantato alle mie storie d'amore. E poiché quasi null'altro so vero d'amore, se non il vissuto con lei, quello che dico d'avere e mi sforzo di far palese per lo sconosciuto del mio desiderio, chiamato il dio, deve essere pur'esso per un volto, perciò lui non può che avere il volto suo, ingenuo, attento alle parole mie, forse già dette ad altre, le dimenticate, ma di suono nuovo, e perciò come davvero mai pronunciate, ora che la mente le ripete, mentre allora dal cuore uscivano, prorompenti. Sono parole di passione, ma di sogno anche, per chi può sognare ancora nella stranezza del vivere d'oggi, così confuso e frettoloso, inquieto, e come certo possibile era nell'allora lontano, ma solo in apparenza più sereno! Ma non per questo parole di invito alla fuga dalla realtà e di rinuncia all'oggi, ma parole che sicurezza vogliono e volevano dare all'interlocutrice, che ora, tale ne ho amore, da non pensarla molto diversa dall'assunta tra le stelle! Un invito quindi a restare, soffermarsi per il tu che era ed è solo perché io lo penso ora donna, come concreta donna è la mia, e mi scopro, meraviglia!, capace di farlo anche ora, nonostante questo vissuto, nell'oggi così deludente e apprensivo nella provvisorietà che propone! Sono io che trattengo questo tu e non lo lascio sfuggire nel niente dell'appena oltre, dell'appena dopo! Sì, un tu, volto caro di donna, che riascolti nuove le mie parole, che tutte significano, T'amo, e se anche non le ripeterò ritrovandola nella mia, le avvertirà di sicuro, ché la cura che avrò di lei e con cui la rassicurerò del mio sentire, sarà ricordare quello stesso dire per la mia donna or ora affidato a questo vento! Così per il mio dio sconosciuto, che sospiro oggi donna nel mio cielo, cui do il tuo volto, piccola donna in questo cuore, io dico, e un confuso di parole e sospiri certo gli giungono, almeno come fanno con te. Sì, mi ripeto nella certezza del cuore, tutto sta accadendo come vada a raggiunger quella del cielo il pensato per la mia donna, l'affidato per lei al vento, ma più ancora come se un qualcosa, una strana forza, che definire non so, io percepisca entrarmi dentro, pervadermi tutto e prendere del mio per portarlo a lei lontana, per le segrete vie dell'amore e perciò anche a quella che vedo solo col suo volto! E io sento l'afflato della risposta sua, del suo sì a me proprio, sebbene di tutto mi senta privo e sprovveduto e donarle non possa che un sorriso al nostro incontro, che presto sarà per mezzo della mia donna terrena, suo volto, ma preludio di quello tra le stelle, forse non lontano. Perché ritrovare la piccola donna di questo mondo è certo incontrare quella del cielo! Ma quale sorriso donare? Io mi farò specchio di quello con cui stasera m'accoglierà questa, che già vive apprensione e pena per il mio attardarmi! Sì, così proprio sento m'accade col dio, che mi figuro sia quella delle stelle. Allora che gli porterò se non la gioia che lui sia stato per me, in un modo arcano, sì misterioso da non essere del tutto capace di dirne e doverne lasciare molto nel segreto del cuore? E come lo ricambierò, come manifesterò la mia gioia? Sebbene muto, per quanto nascosto dal mio stesso vivergli lontano, sarà con l'amore, che gli esprimerò col sorriso di questa mia donna imprigionato in me oltre che riflesso da me, quella che donna me lo ha raffigurato, e che non posso non ricambiarle ogni volta per chiederle perdono del poco che so dirle e del molto che da sempre vorrei poterle donare! Ecco, se tutto di me preghiera si facesse , pur sarebbe appena per quella di qui e quella che lei raffigura e ci aspetta nel mondo suo, fata di una bella favola per noi, piccoli suoi!
Tutto questo mio dire che fondamento ha?
Cum deus sit in omnibus rebus in tribus modis, in virgine fuit quarto particulari modo, scilicet per identitatem, quia idem est quod ipsa” ( San Pier Damiani).

giovedì 11 agosto 2016

I pesi dell'anima

Quel che mi sento dentro fa sì che talvolta sia necessità improrogabile dover riesaminare il mio passato, anche non recente, anche assai lontano, per trarne conclusioni, spesso non benevole e tutt'altro che assolutorie per il mio comportamento, che non resiste alla critica del sentire maturo di adesso e del giudicare severo che ne viene, e costituisce quel che chiamano  morsus conscientiae. Ma è ben strana esigenza questa mia, che mentre nulla nega a fatti di per sé riprovevoli, nell'evidenza del ricordo che ne ho, spesso assai vivido, minimizza più ancora accadimenti pensati moralmente pur scusabili, quasi io tema esteso a quelli lo stesso rigore per scoprirne celate contraddizioni. Ecco, per capirne di più, mi fingo allora davanti al giudice divino, cosa che la mia fede dice accadrà. Io certo gli dico quel che fa evidente peso sull'anima mia, dell'altro da cui mi sono assolto, spero in segreto comprensione e indulgenza, ché non mi sfugge che non può essere che colui che legge ogni cuore ignori il profondo del mio, e saperlo capace di svelar il mio celato, forse dimenticato nella crudezza sua, mi fa temere la sua severità, perché mi scema la sicurezza della irrilevanza di quei fatti lontani. E sarà proprio così al momento della verità, un fatto che peso non fa, è un accaduto che altri ha coinvolto, che può averne risentito, molto o poco, ma che, se mi fosse noto nelle conseguenze sue, modificherebbe le ragioni del mio minimizzare, volgendole fino all'amaro disprezzo di sconsiderato comportamento. Perché anche ciò che non ho voluto e non abbia in me lasciato impronta può stare come amaro ricordo nell'altro. Questo di sicuro può essermi accaduto nel mio difficile rapporto con le donne, esseri molto sensibili, che sicuro odiano sì volgarità e vigliaccheria, ma non incoraggiano un fare e dire diversi, rimanendo in attesa che lo spontaneo si manifesti al fine di poter dire con sicurezza e senza rimpianto all'uomo delle proprie attenzioni, Mi piace stare con te! È giusto così, ma io, ragazzo, da giudici tanto severi, posso aver desiderato chiara risposta, non senza tradire il mio faticoso uscire dalla mia infima schiera di compagni d'allora, un tempo non pasticciato ancora dalla droga, ma ugualmente con molti problemi! Sì, talvolta ho atteso invano che il loro interesse mi diventasse palese, forse da me reso deludente il loro atteso, nonostante la mia prudenza e volontà di piacere. Molte poi ben celano quel che hanno in serbo in cuore pur voglioso d'accoglienza e io posso aver prematuramente desistito, temendone ripulsa, dalle premesse pur necessarie in un rapporto d'amore, ma provocando così delusione e rammarico. Altre, pur palesi le aspettative loro, posso ugualmente aver deluso, mancato in fine il loro consenso, imprudente e frettoloso fattomi a dispregio della delicatezza attesa, giusta pretesa, non rispettati i dovuti tempi di lor innamoramento!
Insomma all'epoca dei miei giovanili sospiri e ardori non facile m'è stato avvicinarmi a quel mondo da cui imperiosamente mi sentivo attratto! Così pur non volendolo posso aver fatto del male, forse da alcune mai scordato, se non dal solo mio minimizzare quei fatti lontani! E so che pur questo appesantirà il mio stipato fardello! Severo quello che spero incontrare, di lui pur anticipato come in sogno il perdono!

lunedì 8 agosto 2016

Un incomunicabile mistero

Talvolta il foglio che si ha davanti resta bianco, invano attendendo i tratti delle parole che pur pullulano dentro, che perciò restano non scritte, inespresse. Perché? Troppo pudore che altri conosca quel che s'agita nella mente o v'è dell'altro? Tanto sempre ho ripensato a fatti passati, che celati mi son rimasti nell'anima, ma l'ho fatto con parole e con la logica loro, che a chiarirmeli non son servite. Così l'accaduto è rimasto non vagliato, non capito. C'è perfino incomunicabilità con me stesso! Talaltra un moto dell'anima non si lascia proprio esprimere a parole, eppure mi è chiaro, e allora più delle parole introvabili lo esprimono i miei gesti, così l'amore! È proprio vero, le parole dette o scritte, pur tanto importanti, non sono tutto, occorre supplirvi!
C'è di simile sicuro nella preghiera, in cui nulla si scrive, ma il dialogo col proprio sé occorre comunicare a orecchie pensate disposte all'ascolto. Pia illusione, ingenuità? Forse! Ma nemmeno la certezza della fede v'è estranea. Ecco allora tutte le difficoltà del dire a se stessi e del doverlo comunicare per la comprensione dell'altro, pur pensato persona molto benevola e sensibile per quanto detto e soprattutto taciuto, perché il riuscito ad esprimere sempre completa col suo. Così certo sono che il mio mediocre recitativo, ché sempre le stesse cose dico e chiedo, renda gradevole, bello! Io mi raccomando sincerità e semplicità, ma pur restano propositi perché muto è l'interlocutore, proprio come quello che legga una mia pagina scritta. E allora talvolta, dimenticata ogni prudenza, mi faccio domande che scavano nel profondo intangibile dell'anima mia e grido per una risposta da quella del cielo, pensata ad ascoltare. Perché è stato, perché, mio malgrado, ho contribuito al male? Ma tace! Altre allora misteriosamente varcano il tempo presente per immergersi in un indefinito passato senza ricordi, fino a pretendere lambire i primordi, quelli della storia umana, che la mia piccola, e forse insignificante, permette. E come se questa mia vita tutta nuova e pura qualcuno abbia potuto rendere, ci sono anche domande, richieste che si proiettano, nell'attesa del bene, nel futuro, più di quello della mia propria ragionevole aspettativa di vita. E mi chiedo, Accadrà, toccherò, vedrò il bene? Ma arrivano a fino oltre il tempo che probabilmente alcun uomo vedrà, nella folle inarrestabile distruzione del creato! E allora è certo che non so dire nemmeno a me stesso l'immaginato, inconcludenti le parole per parlarne o scriverne. Io mi sono appena affacciato al mistero che chiamano dio, incomunicabile!

sabato 6 agosto 2016

Un atteso di vita futura


C'è una vita futura? La spero novella per chi ama. E tutti amano qualcosa o qualcuno nella loro vita! Basterà? Chi ne penso garante? Chi già qui è l'amore! E cosa vi spero? Ritrovarvi anche chi ho smarrito, bambino, tra persone tutte a me care. E intanto a lui dico le parole che forse altri avrebbe più belle, ma taciute in cuore gonfio di analogo rimpianto. E farmi voce, quasi preghiera, per molti mi conforta tra troppe brutture di qui, vissute!

Fatti si sono vaghi i ricordi di noi e dei nostri giochi, piccolo angelo rimastomi nel cuore. Ma luogo credo tra le stelle, che stille di luce rimanda se accorato lo si pensa nella vaghezza di queste notti serene. Lì sicuro stanno simili a te angeli, perduti da quelli come me dovuti rimanere, per pensieri e preghiere di lor cari accogliere, ma da rimandare a orecchie e cuore di madre attenta, che di soddisfarli s'adoperi. Sì, è proprio così che dolce m'è pensare sia, tu piccolo angelo tra angeli, primo ascolto per questo mio cuore tormentato! E piccole erano le richieste di me bambino e poi grandi con me si son fatte, ma per lo più disattese, volte in amarezza! E la più pregnante da prendermi la mente tutta e altri desideri tacitare, era il poterti ritrovare in persona che avesse un po' del tuo, fuori dell'aspetto, che per te il tempo certo avrebbe mutato. Illusione da pio e cocente delusione sempre! Ma ora che tanti anni ho, piccola stella anche in questo cuore, buio tanto talvolta, t'ho ricreato, qui per far luce sui miei ricordi, ché la speranza mai si spenga per me e chi amo, che a te affido! E s'è fatto davvero breve il tempo che ci separa. E quando d'accogliermi deciderà quella che vive tra le stelle, ti chiamerò per nome, lo stesso che invano ho sussurrato tante volte a queste piante stormenti, anche ad alito leggero, compagne di solitudine, che fan armonico brusio fin in un cuore amante, quasi voci di persone care lontane. Oh quanto a lungo ho vissuto lontano da te e quanto m'ha illuso in sua risposta l'amore! Ma lo fa ancora! E io perdo i miei pensieri, che vani si fanno tra vaporosi capelli di donna, di questa donna. Ma è una che amarti saprà e tu certo amore le risponderai, quello che troppo hai atteso ricambiato da persone a te care, ma che per ora, almeno nella mia mente, sopravvivono solo per volerti bene!

mercoledì 27 luglio 2016

L'amore oggi al nemico!


Damnatio memoriae” è il proprio negativo giudizio quando il mancato richiamo dell'esperienza passata, per difetto di memoria del proprio vissuto, non ricordato subitamente, non permetta, come per un già accaduto, un déjà-vu, la valutazione e il superamento delle difficoltà nel proprio presente, in una società indifferente, quando non ostile. Se io mi riconosco in una fede, e la mia è la cristiana, non sto da solo di fronte alla novità morale di un fatto che mi riguardi, ma seguo i dettami che mi vengono dalla tradizione della mia parte, che fa o tenta di far riferimento al cristo. Ma anche allora spesso nitida la memoria, se superficiale, non ho se mi fermo alla novità del linguaggio e l'accaduto mi rimane non a fondo compreso nella drammaticità sua, nella coscienza che ne dovrei avere nella mia fede cristiana. Così ora che è stato ucciso un anziano sacerdote da violenti, riandare a fatti analoghi anche del recente passato non basta, ché mi sacrifica la comprensione, sì, la coscienza dell'accaduto, col non saper bene quanto mi coinvolga, uomo e cristiano! Io devo aver ben altra memoria cominciando col ricordare che dal cielo non mi viene richiesta una vita d'ossequio nel rito al dio in precisi luoghi di culto, è quest'agire un di più dell'uomo pio! Ma più ancora! Sì, ora e sempre la necessità di riferirmi al cristo con quello che gli accadde nella incompresa novità del suo “ Diligite inimicos vestros”. Ecco la completa memoria! Tutta la nostra vita religiosa consiste nella drammatica comprensione del suo comandamento nuovo, che tutti gli altri, i nemici veri o presunti anche, privilegia nell'amore!
Ma come i politici interpretano l'accaduto? Dicono, Siamo in guerra, taluni vengono oggi e ci uccidono, altri violenti son figli di accolti di ieri e ci uccidono!
E così non propongono alcuna risposta d'amore! Ma quelli come me non devono dimenticare che c'è un solo dio ed è d'amore! Tutto ciò che non è amore fa schermo e, frapponendosi, non ne permette che visione confusa o nulla! Mai egli ha richiesto o richiederà l'annientamento del nemico e se di lui altro in alcun luogo è detto, fu per valutazione erronea della volontà sua! Se veri credenti, occorre che il cristo riviva in ogni volontà, in ogni atto, affinché quello che a lui accadde possa essere un atteso possibile, nella consapevolezza del proprio sé con i limiti suoi, nella ricchezza o carenza della propria anima! Solo così potrò dirmi e dire, Io prego per noi due con le parole che tu, che nemico mi ti vuoi fare, più dir non sai!
Sì, questo perché i detrattori ci accompagnano la vita tutta e amarli occorre iniziando col perdonarli e così anche quelli che non si contentano di schermaglie, ma vera guerra ci fanno, che occorre subire, novelli cristi, anche se è umano cercar la difesa, perché o succubi o annientati ci vogliono! Perfino il cristo paura ha avuto nell'imminenza dell'epilogo del destino suo terreno, che presagiva tragico! E noi non siamo più di lui! Ma ci conforti sapere che il male è solo permesso dal dio per il privilegio di libertà anche di chi ci offende! Tutti in vero abbiamo la libertà di negare l'amore, ma anche, o soprattutto, di riaffermarlo a dispetto del presente, vissuto da succubi! E io, minacciato, questo disperatamente tento! E allora mi proietto oltre la tristezza del presente che mi fa nemico del fratello deviato, che mi fa minaccia, e posso dirgli, Sei tu la prima vittima della violenza che mi fai, ma presto staremo in cielo perdonati, io per avertela suggerita, tu per averla concretizzata nella erronea valutazione di me, pavida vittima divenuto!

sabato 23 luglio 2016

Cuore di donna



Tutto quello che da qui, dove tuttora sto, si frappone tra noi è, o diventa menzogna! Mia senz'altro, donna del cielo, ché confidenza con te fingo a questo vecchio cuore, nei suoi momenti migliori, quelli della preghiera, quando scava in sé il meglio che cela e te lo porge sincero, mentre la mente pur brancola incerta, appannata da ciò che da sempre le fa ostacolo alla percezione tua, ma oggi così smarrita in questi fatti ricorrenti di sangue, pur permessi o voluti da alcuni di qui! Allora è pure dagli altri che menzogna proviene, e come? Con l'indifferenza anzitutto a quel che mi agita, e con il voler prioritari ben altri bisogni e le prosaiche cure che richiedono, ché difficili per tutti sono questi tempi, in cui il già poco è meno! Mentre tutti io vorrei a far di loro necessità accorata preghiera, ché solitaria più non sarebbe la mia! Allora è facile cadere nella noia del quotidiano con gli assillanti, mai risolti problemi suoi, che gli altri incrementano, e l'accompagna la tentazione di pensare che nulla s'anticipi con te quaggiù, che illusione non si sveli! E allora queste mie mani, che tanto insistito hanno nel tentare il bene, inani sono e aride, come lo è quel che mi circonda e mi contamina!
E l'amore che fa, sonnecchia? Piccola la sorgente sua e ancor racconta favole come fan cuori di donna innamorati! E allora se me, nonostante mediocre, ella considera irrinunciabile, e tenta proteggermi interponendosi, perché d'assimilarmi pretende questo strano mondo, sottraendomi al suo interesse, mi chiedo allora, che è di te questa tenace piccola donna? Sì, mi chiedo, ella allora che significa di te, perché non è proprio questo che tu fai di me, sì proprio simile cura hai, sebbene indegno? Ma se per me il tuo fa piccola donna tenace ed io quasi nulla le do, ingrato, lo stesso pur faccio con te, eppure altra difesa qui non ho che da te e da quella che qui vicariarti vuole ostinata, e a voi due proprio, irriconoscente sono! Allora che dire ancora? Ben miseri son quelli senza amore di donna, ché l'afflato del tuo avvertir non possono! Desiderare di trovare la donna vera è, credo, desiderio di te! E quand'anche illusione fosse d'averla al fine tra le braccia, che più non si richiudano vuote, certezza, fede darebbe di poterti raggiungere! Ma non sei in vero tu, celata in forma umana, che riscaldi il cuore? E sai ora che fa questo cuore? Il suo dire sublimato vuole e ti pensa stella lasciatasi cadere in notte di sogno su questa terra, a stipar delle stille sue ogni cuore di donna!

domenica 17 luglio 2016

Qualche ricordo d'amore

Talvolta fa il vento, che pur mite ora dal mare spira, piccolo turbine di foglie già caduche, che pur dolce strappa da loro essenze, diverse in questo bosco di collina, che pace mi dà, difficili questi giorni e assai tristi, tanti e sciagurati lor accadimenti! Così nella mente mia indifesa fan mulinello i ricordi delle poche donne della mia vita, tutte amate e disperatamente! Benché la sola a vero sciogliermi tenerezza, sia quella rimastami accanto, se a lei penso nostalgico standone lontano, ecco altre far bordone, sostegno a me pellegrino fragile tra tanti lor ricordi! E son giovani visi, or lieti or pensosi, quando non tristi, inghirlandati da lor chiome fluenti, e lor parole or dolci or amare, pronunciate chiare o sussurrate appena, or in sere di stelle or in giorni da nuvole gravati. Ecco quella che pareva irraggiungibile, tanto lontane le appartenenze nostre in questa società ingiusta pur aperta, ma che poi docile divenne alle insistenze mie, e poi da mie forse stranezze fuggita e che ora dolorosamente so persa nella mente sua.... E poi l'altra, che dei problemi dei suoi libera mai era e me ne gravava e intristiva, estraniandosi dalle mie piccole attenzioni d'amore. Ma nemmeno questa m'era destinata! Ma in fondo son tutte sensazioni che ripresentate si sono in questa mia vita, in cui questa piccola donna è dominata e dominante, io or succubo or rassicurante delle sue apprensioni, tra le braccia mie sol sicura. Così delle altre nulla vero rimpiango, sebbene talvolta indulga nella giovinezza loro, che tutta racchiude questo vecchio e sicuro matto un po', ma pur sempre sol mio cuore, che dischiudo a quella che lascia ancora l'ami e per lei ritrovi le parole d'amore della nostra giovinezza! E così:
Se ora che ti sono lontano le parole dei miei pensieri per te evaporassero da dove vengono, come certo accade se a quella del cielo penso, allora le porterebbe via il vento, quello che mormora tra frasche e fronde di questo chinale, dolce frescura recando dal mare. E là, nel tuo mondo così giunte, sussurri, mormorii, di bombi il brontolio, d'uccelli il canto, delle gallinelle il verso,di cicale il frinire,... ma nessuna parola umana tra le cose e le piante tue. Eppure forse avvertiresti una dolcezza nuova... Passerebbe, così come il vento fa, ma prima parlando un po' al cuore... e di me nostalgia avresti, struggente, com'io sento di te!

venerdì 8 luglio 2016

Il contrastato ritorno al dio

Riprendo qui, meglio analizzandolo, un argomento accennato nel mio sito di “facebook”, con considerazioni tentate tacitiane.
Quello che più sorprende di questo mondo, tanto vario e complesso, se non semplicistica è l'analisi, è la capacità di capirlo. Tutto è scritto e noi vi sappiamo leggere! La chiave per le leggi sue è un'invenzione umana, o una sua scoperta dal momento che è nelle cose e nel loro divenire, la matematica! Tutto si svolge determinato in un'apparente varietà di possibilità innumerevoli, ma queste non escono dalle leggi sue, quelle cui la mente stessa obbedisce. Ma anche se questa non ne coglie subito lo scopo, constata che tutto muta e rapidamente, come stia correndo, e a un suo fine! Questo deve necessariamente essere un esistente che non diviene, ché così sarebbe immanente nel mondo, allora ne è anche il principio! Noi, uomini di fede, lo chiamiamo il dio! Ma se gli uomini si vedono partecipi di una vicenda che ha un suo svolgimento, un divenire appunto, questo deve presupporre scelte, cioè libertà da una parte almeno dei protagonisti, gli uomini, anche di quelli che mezzi non hanno per avvertirlo, ché ne facciano la storia. Ma basta un pur provvisorio stare e agire, la morte non interrompe per i viventi tutti la partecipazione al processo, che potremmo chiamare di ritorno all'origine, al dio? Sicuro è così per il supporto della vita, il corpo, che permette lo stare ed evolversi di ogni vivente a questo mondo, ma il suo immancabile cessare obbliga a constatare la stranezza del continuo rinnovarsi di spettatori attivi o anche passivi, del destino del tutto, che resta immutato! E allora c'è chi, avendone fede, pensa che vi sia una sorta di memoria permessa dal dio, che permetta a un che della mente di conservare anche postuma la propria storia e, volendolo, di non uscire dal processo, e questa parte dei fatti ricordati, chiama “anima”. Ma qualcosa, una “anima mundi”, deve pur esserci per i viventi, e le cose tutte anche, se da francescani, come a me piace sentirmi, li pensiamo. Francesco li trattava con amore e io sento, grazie a lui, il rispetto dovuto a chi o a che, essendo quel che è, vivente o cosa, mi permette di essere quel che sono, nel mondo a cui tutti contribuiamo. E il male? Nasce, credo, così. Il dio ha dato a noi la libertà, stare o per lui o per se stessi. Cioè c'è una priorità nella libertà, la possibilità del rifiuto di dovere avere un fine oltre il sé, ed è il negarsi dell'uomo al dio. Perché? Egli, il dio, suppongo, abbia previsto la tentazione dell'uomo. Infatti penso che, anche se appena distaccati dall'origine nostra, ci accorgeremmo che uno può esistere di per sé, cioè come persona indipendente, e scegliere di diventarlo, è rifiutare ciò che permetterebbe il riavvicinamento, annullando il distacco, e questo rifiuto è sì libertà, ma anche male, è no al dio! Ed esso, permesso, dovuto permettere, concessa la libertà di rifiuto all'uomo, è cresciuto, è diventato tutto ciò che si oppone, rallenta il processo di ritorno! E se si è pavidi, allora si tenta di vivere la provvisorietà, illudendosi concessa alla propria rinuncia, accettandola come tregua, sperata lunga, dal momento che non si ignora il processo, pur sempre percepito inarrestabile. C'è il male, è nel presente, è nel domani, che se fruttuoso, la speranza prolungherà, caparbia, quasi novella fede, nella vaghezza di un futuro benigno. Ma ci sarà sempre un che contro il proprio atteso, come ben sa chi fidente non è! Allora noi, che ne abbiamo capacità, scegliere possiamo, altro aspetto, ma subordinato alla scelta del no, privilegio di libertà all'uomo dal dio, anche di non aderire alle ritenute mendaci promesse di tregua della vita nell'irrequieto mare del male, quindi correre o favorire la corsa, non adagiandoci sul poco o molto che pare garantito, ignorando gli sciorinati tanti esempi di presunta felicità duratura. Infatti c'è pure la libertà del voler persistere, favorendo comunque e partecipare a quello che può essere diventato solo stentato cammino, e proseguire nonostante gli impedimenti della presenza soffocante del male! Perché noi, che scegliamo di agire così, sospettiamo, e credo a ragione, che se rinunciatari, solo ci illuderemmo di essere tenuti lontani, quasi esentati da quel male cui avremmo contribuito con la nostra inerzia. Esso può, improvviso, interrompere, e distruggere il realizzato dalla pusillanimità di chi si ferma, pago del poco suo, ritenuto bastevole, ma anche la sicurezza, proditoria dell'anima sua, di chi fonda il suo non poco, accaparrato, prevaricando, con quello che diviene manco, privazione per l'altro, lontano che sia, o appena accanto, perché, sempre avido, preso da inguaribile cupidigia, è vera creatura del male! Giustizia dal male? No! Ma viene svelato l'inganno di questo vivere del male, cibarsene, che però non si consuma, anzi più si impingua, aggravandosi a danno di tutti. Sicché tutti pagano il no al dio, anche gli impegnati per lui! E al male, per la libertà loro del potersene stare per sé, i suoi sacrificano tutto di altri uomini e la vita di altri viventi. E quelli che, loro malgrado, tutti costringiamo a sostenerci, danno la loro vita per la miseria di molti e l'opulenza di pochi, quelli della prevaricazione, e certo si tratta di immolati al male, tra i viventi i più disgraziati! Ma quando finirà tutto questo? Sì, quest'incubo per chi dalla parte del dio tenta di stare e la sua libertà decide di spendere tutta per restar attaccato al cristo suo, quale sia l'iroso vento, che tenti di strapparglielo? E quando finirà il vento di follia di quelli che perfino nel nome del dio, torturano, mutilano e uccidono, le nostre donne anche! Quanto allora questi del male fanno a noi lontana la meta? Non più, spero, di quanto l'avvicini il sogno, che mai ci lascia, di vederla, che ci accompagna la vita tutta, travagliata sempre per mediocre che sia, perché tutti paghiamo un prezzo per la libertà nostra e dell'altro! Forse più ancora se è nostra la scelta per il dio, e lottiamo contro il male e la seduzione sua! Sì, la mia sofferenza forse vero assicura la tua temporanea esenzione, chiunque tu sia, anche se da te rifiutata, tu avendo coscienza del costo suo, tu standomi accanto, e da me chiamato fratello, ché emulo sei della donna mia, che però, amorevole, si ostina a tentare di distrarre il male da me, interponendosi!