mercoledì 28 agosto 2013

Tutto il coraggio che ti chiedo










Prima istanza







Perché il mio dire, se pur io parta da motivato pessimismo, si apre, si risolve, e sempre approdo a cauto, timido ottimismo? Ragione c'è e io solo la so, sei tu la preziosità che lo motiva! E se tento di parteciparla, è per dar a tutti una piccola conoscenza aggiuntiva di te alla loro, certo già assai ricca, o farne un dono se invece prima povera. Sai, madre cara, cosa spero? Tu orante, tu avvocata, il giudizio del figlio tuo blando possa essere con finale recupero di tutti, o già vuoto l'inferno, solo come provvida minaccia durato, o, se pieno, solo provvisorio restato, ma proprio allora da lui svuotato, ché il solo bene, il solo amore e null'altro dopo saranno. Nulla ci sarà oltre l'amore, nulla se non è amore vivrà! Questa vita così precaria, insidiata, questo mondo così ingiusto, la soma del male, servono forse a capirlo? Sì, credo, perché coesistere significherebbe forse, come adesso, del bene l'appena e il male imperante. Allora non è da sciocco innamorato, questo mio vederti raggiungere con l'amore tutti, ed esentarli, colmandone le deficienze, dal nulla divoratore della vita! Credo anche però che il pentimento dovrà essere di tutti, essenziale in questa economia di salvezza, e poi sarà il perdono, e l'amore tuo allora compenserà, colmerà i nostri manchi d'amore, che saranno, all'oblio del male col ricordo del solo bene, per quanto poco questo sia stato realizzato, come mai stati, senza storia e conseguenze. Ma quello cui sarà molto perdonato, molto amerà, ricevendone la capacità, risposta adeguata al beneficio, conservando l'anima non il ricordo del male cui dette ricetto, impossibile nella vita futura, ma l'impronta di quello che vi avrai dovuto supplire, per colmarla tutta di bene. Solo questo verrà richiesto, amare almeno nella misura del perdono, che sarà commisurato alla carenza di bene della vita di qui, o peggio spesa asservita al male, e quindi proporzionato al tuo bene, riparatore di tanta offesa. Sì, quanto molto il dono, tanto il contraccambio dovuto! Questo spero potrà essere per me e tutti, e te ne faccio istanza, accorata, insistente richiesta, ma me lo suggerisce il conforto, che già ho, del tuo amore, dono qui proprio tra queste tante ombre, o, ma ne riferisco la mera possibilità, quand'anche fosse solo mia illusione, pur così sarebbe benefico! Ma intanto, qui restando, dovrò vivere la possibilità di disattendere il tuo atteso, la possibilità di falli, la minaccia del peccato, quindi con coraggio, e accorrerà chiedertelo. Ma di quale coraggio io devo essere supplice come tutti? Richiedo pazienza per dirlo, poca a te che sempre ascolti o mi leggi dentro, molta a chi svelo il mio intimo...







Seconda istanza







Il vivere qui da famiglio tuo vuole continuità, perseveranza, e allora non richiede atteggiamento coraggioso solo occasionale, perciò questo non può somigliare, se non nella generosità, a quello dell'avventato temerario che rischia impulsivo e spesso sacrifica la vita sua, nell'impeto di una decisione, o dietro uno stimolo eccezionale che energie sopite, altrettanto forti, risveglino. Non è quindi il suo lo spesso plateale gesto, unico, irripetibile di chi talvolta si comporta da guerriero ardimentoso o lo è, nell'agire che diviene atto tanto generoso da risultare salvifico per gli altri tutti, che lo ricorderanno eroe, vita salvata durando. Ma quello di chi, pur avendo il cuore invaso dalla paura di rimaner vinto, schiacciato sotto l'eccessivo peso del male, si risolve, tacitatone l'assillo, senza pubblico attonito, a tentare il bene nella misura delle forze sue e anche più, o lo scampar degli altri e suo, posponendosi però, annullando il proprio vantaggio, se ne ha, e spesso, rimanendo così escluso, la sicurezza sua o la vita, tutta sacrificando. Così solo allora, con atto simile all'estremo singolo dell'eroe nell'impeto suo, la sua generosità, che, iniziata, più non si ferma, lo potrà condurre alla radicalità del sacrificio. Ma è pur quella continuativa sempre tenace, duratura perché la stessa in cento azioni di bene, quella che qualora conosciuta, lo farà meritorio di ricordo o acclamare santo. Insomma è azione di chi, quasi sempre discreto, lontano da facili entusiasmi di astanti, cerca di far superare con conforto fattivo, stando tra bisognosi di considerazione, attenzione, o toccandone, palpandone la necessità e l'urgenza d'aiuto, perfino contaminandosene di miseria, a una umanità degradata, condizioni di disagio sociale estremo, che attanaglino, perfino senza apparente scampo, anche per solo un singolo, spendendosi tutto. La sua è perciò una azione metodica e capillare. Lungo l'elenco degli interessi, miseria estrema, oggi diventata per molti, che il lavoro loro perdono, perfino più comune, malattia vera, senza evidenza di risoluzione, di scampo, di quelle che causano sofferenza e fanno angoscia e che nessuno vorrebbe, il dolore che ne consegue, e quello da lutti, abbandoni, solitudini, insomma tutto ciò che vero umilia e fa triste l'uomo. E ancora tutto quello che lo fa non solo povero, ma nella povertà bruto, egoista becero, ché non vede o non vuole vedere il maggior danno che provoca, lottando disperato per l'aria e il cibo, ché mai pare abbia, nella fame sua, abbastanza, e pur ne rimane stremato e vinto, quasi sempre dal male che lui stesso accresce inevitabilmente con il comportamento suo sconsiderato. A costui il nostro recupera la dignità, sacrificata nel tentativo di sopravvivenza, quella che pur perde, nessuna cura avendo degli altri, talvolta nemmeno dei suoi più vicini o intimi, anzi, assurdo, vedendoli rivali. Eppure viene soccorso dal quel generoso, apparente pacato, tacitata la rabbia e ribellione nel cuore per simile agire, rinunciando a giudicare, anche quella che nasce verso chi avrebbe potuto o potrebbe e nulla fa per insensibilità, ragioni di lucro, nella becera avidità che l'anima preso tutta gli abbia, insozzandola. Insomma questo nostro è piuttosto un antieroe, ché non ha le apparenze, in un atteggiamento eclatante irripetibile, di chi tutti apprezzano e definiscono eroe. È perfino spesso impopolare, stimato poco e di fiacca o nulla energia, da parer un pitocco tra gli altri, ma impone il suo fare. Ha parole conte e gesti essenziali, mai inutili, e perfino cerca, scova i responsabili del degrado e non li esclude dal recupero, morale anche, li include nel programma prefissatosi di salvezza sperata, che crede solo tu e il figlio tuo garantiate, ignorandovi coinvolti tra quelli che soccorre, mentre alle vittime va la prioritaria attenzione per il tutto talvolta, il molto sempre, che a loro è fatto mancare, o sottratto, rubato. Io parlo di un tenace lavoratore della tua speranza quindi, cristiano di fatto, quale la religione, il credo, un santo direi, a prescindere dal tardivo, o che mai arriverà, riconoscimento dagli altri, laico o confessionale che sia. Te ne chiedo il coraggio!







Terza istanza







Molto lontano questo comportamento, temo, da quello del mio personaggio vissuto, interpretato, il viaggiatore in quest'esilio, non chi ora ne scrive pieno di bei propositi. Perché mi chiedo, Ho io una parvenza di questo coraggio, escluso possa mai aspirare alla santità? E devo dubitarne fondatamente. Ma se ne avessi, appena una briciola, tu avendomelo donato, allora mistico d'essere un po', avrei vanto, se tu, che attenta sei al mio che ho dentro e a tutti celo, tu che tutto sai leggendo cuori, esaltata avessi piccola marca del bene, sopraffatta dalla vita di qui, quella nel carattere o nella volontà trovata da te e salvata, ché frutto facesse. L'hai vero mai scovata e apprezzata in me, o esaustivo del completo manco è il tuo amore, ché niente ho e tutto versar devi in questo cuore sol avido delle possibilità del tuo? Io non so, ma credo che tu possa creare l'inesistente perfino in questo cuore, sì, ciò che non v'è, ma ardente desiderato! Ma qui parlar voglio anche di un coraggio più modesto, a vera portata di piccolo mistico, quello che tutti, che saper un po' del dio vorrebbero, il quale si capisce solo operando come lui, lavorando per lui, possono iniziare ad essere e io con loro, ché davvero poco ancora ne so. Il mio ideale è sì un antieroe, come il descritto, e resta, ma mi sento nel mio quotidiano come chi si trovi a viver, quasi suo malgrado, eventi ogni volta più grandi, e gestisca la sua vita spirituale quasi come un timido che non sappia bene che gli capiti e vi risponda come sa e può, e tema sempre d'aver agito dallo sprovveduto che è... Ma, raro, talvolta veda con gioia che la risposta sua, sempre tentata generosa, è stata adeguata, discreta quanto basta per esser sufficiente senza disturbo e offesa, anzi è bene sempre che un po' sovrabbondi il richiesto, senza però risultare eccessiva e sgradita. È il gesto ben condotto e misurato che conosce l'opportunità del momento, fa il raro successo nella tortuosa via al bene, ché aiuta discretamente e così non offende il beneficato. Ma anche se così, a te io chiedo, dubbioso delle possibilità mie, che sia non atto fortuito, ma dettato da vero coraggio, tenace e duraturo, se vero è che ne posseggo, o innato o, per volontà tua, nel cuor mio coagulato. Perché poco è questo mio agire, ma rappresenta condotta di vita, e spero basti, dal figlio tuo apprezzato, a fugar l'ansia tua d'avermi, dopo la parentesi di questo mondo, come giuste valutate, buone un po' almeno, le mie scelte di quaggiù. Perciò è necessario che io anche ti chieda il coraggio di accettare l'insuccesso, quello che, posseduto, non fa desistere dal proposito di vicariarti, nonostante reazione ingrata di chi pur riceva del bene, o pur giusta, se deluso dal poco potuto ottenere o dal niente. Questa richiesta è fatta con più insistenza, quasi petulanza ormai, temendo non averne affatto dalla mia pochezza orgogliosa, tendente a offendersi perfino di una reazione sgradita, e così a desistere!







Quarta istanza







È tutto? Forse vorrei di più, anche quel coraggio che fa accettare la possibilità della viltà, quello che fa vivere positivamente nonostante le minacce dal sé, che vivrebbe pur vile, questa sua tendenza in una latebra del cuore celando, e quelle che vengono dall'ambiente umano, che della viltà sua perfino accampa cento giustificazioni, per niente avvertendola come colpa, e ha talora vanto del pavido far suo. Allora ti chiedo, Buona condotta significa minimizzarla, quando quella viltà temuta pur si realizzi e contamini? O il coraggio a te richiesto, significa piuttosto invito a se stessi a star sì in guardia senza requie alcuna, ma, se quella si desta, quando sia innata, e si attua, o venga sorbita dall'ambiente, nonostante cento misure, a piangerne sì, ma non disperarsene? È più questo coraggio aggiuntivo che vorrei, ché ben mi conosco, infiacchito molto, non osando più nulla, starei dopo l'insuccesso a viltà dovuto! Io sono forse un debole, ma se poco m'aiuti, mai ti vergognerai della fiducia affidatami! Lotterò con me stesso! Oh quanto vorrei bello trovassi questo proposito! Ma forse davvero si è più felici, perché più liberi, facile la vita con pochi o senza doveri, perché essa, se fortunata, potrebbe far abituale il comportamento dell'indifferente, in cui cura,”sollecitudo” per gli altri non sia, e comunque mai diventi ansia, o angoscia, sentendosi non solidale col destino degli altri, per nulla rispondendo alle pretese d'un dio sentito lontano o pensato a torto assente, esentato, disgiunto dal misero, che si trascuri. Ma non è questo che voglio, aborrisco l'uomo così! Allora che fare? Credo che se è inevitabile, senza considerarsi pavido, l'allarmarsi del danno di questa tentazione nel cammino al dio, a te, che vanifichi quanto realizzato, occorra agire sotto calma vigile, e quando la codardia paventata appaia inevitabile, comportarsi da forte, risvegliato un sano orgoglio, per subirne la minima sofferenza e subito rialzarsi. Lunga, tu me lo hai detto, la via al bene! Ecco cosa ti chiedo! Insomma molto, perché cosa temo? E' possibilità, sempre presente anche se sopita, divenir uno che cade, non si rialza, e conveniente trova restar tra i relapsi, tornati pagani goderecci. Vero lungo sarebbe il cammino a te, faticoso più ancora, con la soma della viltà che vien fuori seguendo la propria inclinazione o gli inviti a desistere che vengono dall'ambiente sempre allettante negli occhieggianti luccichii e lusinghe suoi. Ma il male può tentare di più e vincere, e come opporsi? Occorre lottarlo non solo dalla propria debolezza, indigenza, o dalla malattia che lasciarci non voglia, ma quand'anche fortunati, rimasti esentati, per quello che esso insinua. Cosa, come? Col persuadere che ogni sforzo è vano, il bene non è nel futuro che ti porta, è già qui, nell'oggi, da prender per sé soli senza o poco sforzo, è fermarsi a godersi il proprio, quanto di buono e di bello la fortuna abbia coagulato e reso disponibile, insomma star nel proprio “hortus conclusus”, gli altri di fuori ignorando. Cioè godersi gli amici che si hanno, la donna che si ha, le cose belle che si hanno, è sentire, toccare d'avere e ignorare di non essere nulla per il dio, per te, col negligere gli altri tutti. Sì, sarebbe di più di una occasionale caduta, sì, l'entrare in un vortice senza scampo! Perché se così fosse per me, in questo adagiarmi e cullarmi io so ti perderei... Sarebbe la viltà vera, negletto l'amor tuo, non avendolo per gli altri, una iattura per l'uomo di fede e per chi già brancoli nel buio, come me cercandoti, sarebbe perdere lo scopo della vita, il peccato vero, non restando che l'ansioso sperare nel figlio tuo clemente, quando il pentimento per tal mala condotta di vita pur venga. Ma questo, che chiamerei sonno della mente e del cuore, che vero vanificherebbe tutto, ché spegnerebbe anche la piccola luce intravista di te, potrebbe durare la vita che resta, e poi l'altro inferno giusto s'aprirebbe. Provvisorio forse, ma più terribile dell'attuale e vissuto nella cecità completa, il poeta nostro v'è stato! Così non sia per me, né per questa donna mia, da te a me venuta, che mi trotterella accanto i miei passi comunque seguendo! Quest'immagine mi viene da giovane coppia di amici americani, che subito notai avendone simpatia, ella, minuta, tentava, alla passeggiata in collina, star dietro all'uomo suo, che non proprio pede cata pede procedeva, arrancando in piccola tenace corsa... Voglia tu per loro lo stesso bene che senti per me!









lunedì 26 agosto 2013

Hortus conclusus







Come notte d'estate scende, il cielo si ingemma di mille e mille brillii, e poco prima illanguidiva rosseggiando al tramonto, e a speranza d'amore apre i cuori, ché per nuovo incanto, avidi gli occhi, si fa tutto trapunto. Di simile in te credo si dischiudano cento fiori, quelli che dentro fanno fragranza, e più che solita, appari ora bella e tutta ne odori sotto le stelle. Che dirò da sempre innamorato, ho forse spese tutte le parole di questo amore e non ne ritrovo? Sei il mio “ hortus conclusus” , ti dico, e busso al tuo cuore che d'entrare ancora mi consenta, come hai fatto lontano, parca alle insistenze del mio. Entrare voglio ancora per godervi del verde tutto infiorato, ché ne venga pace a sempre tormentato cuore. Celi la tua ricchezza, ma l'età ne tradisce la presenza, ché appena ti sfiora come se il tempo fermato abbia quella delle stelle. Allora se tanto mostri, più dentro ne hai! E so che gioia, dischiusa la porta, ne avrò del tanto lì stipato, essenze tante e variazione di tanti colori e odori. E ora, che cauta me lo permetti, fa meraviglia, ché vera ricchezza vi hai oltre l'immaginato, ed essa più e più m'innamora, ché restata sei l'anima bella che nei verdi miei anni m'ammaliò di quella bellezza che da essa traspariva. E ora solo un po' diminuita ne sei, ché amore, supplice a quella fata, che lassù regna, vuole che l'ingiusto tempo ella contrasti e mi ti fa vedere bella com'eri, e anche timida e confusa dalle tante effusioni mie. E come? Se quest'esilio si percorre come ansimando un'erta, migliore immagine ne fa un deserto e tu vi sei come un fiore di opunzia, che nato sotto gelido cielo in notte di mille splendori disseminato, guardi e sospiri alle sue stelle e ne invochi amore, alla lor fata mandando effluvi di profumo, ché risponda sollecita. Sente quel fiore che il novello sole presto l'inaridirà, come qui a te tentato ha, da reo, il tempo. Ma colto ho il mio bel fiorellino e in me celato l'ho e schermo ne ha fatto quest'amore. E questo tuo candore, che da dentro continua a sfuggirti, amo come sempre con la sollecitudine della giovinezza mia, e a quella che è giardiniera nel bel giardino che sei, ne raccomando la cura. Io so che più bella di quello che sei ed eri, sarai, sollecitata ad entrare nel bel giardino che ella racchiude ed è, e bellezza ne avrai nella misura dell'amore che per lei hai. E della bella fuori e dentro di lì certo io ne avrò incanto, come questa sera me ne fai sotto questo cielo tutto di te innamorato. E tutto ciò che lo star qui consente, noi ci diciamo e ne viviamo, come facciamo di tenerezze, e pur dei sogni condivisi a due, che gravati, a questa terra son legati. Pur quelli che affollano le menti nostre dai cuori usciti, si liberano talora e ansiosi si disperdono a cercar la bella fata ed ella, commossa di tanto tenero amore, quell'“hortus conclus”, che vuol essere per noi, dischiude, il suo cuore aprendo, e consente entrino e quelli si placano in pur effimera visione, noi che ci amiamo dell'amor suo, ad esso invitati, comandati anzi, Amatevi come io v'amo! Così in quel suo mondo di fiaba!

lunedì 19 agosto 2013

Il dio a misura d'amore




Perché la mia vita è andata proprio così, queste amarezze, queste insufficienze, pochezze nei risultati dell'attuazione del bene e i tanti ostacoli per farlo concreto e durevole, e questi personaggi, così visti tormentati, trovati ostili spesso o indifferenti, perché chi ho amato è finito nella mediocrità, nella trascuratezza, nell'oblio, nella sfortuna anche? E avendone ora coscienza, come in me trovare forza, risorse perché non accada di simile agli amati rimastimi accanto e a questa donna, che tanto di tenero amore esprime? Come uscire da questa angustia, che vuol farsi prigionia, ché mi confina in questa vita vissuta mediocre, nel già stato tanto carente, un accaduto che ha coinvolto altri, toccati, sfiorati, visti, sentiti, anche appena, occasionali o tenaci dialoganti con me o anche non parlanti, solo parlati da me? Ecco, non è per me che vorrei averla avuta diversa, ma per quelli che hanno anche solo assistito al suo svolgersi o che vi sono entrati in qualche modo, sì li vorrei tutti nel bene! Basterà la mia preghiera accorata a rovesciare così proprio, o anche solo un po' far più favorevole, il tuo giudizio per loro del destino avuto anche per le conseguenze del mio vivere, stare, reagire, soffrire, che in fondo io solo ho prodotto, avendo scelto o subito questa storia, che s'avvia a un epilogo, e non una migliore? Ecco, perfino questo, ne ho fiducia motivata, si può chiedere sollecitando l'amore tuo. Ma per dirne l'efficacia comincerò un po' da lontano.

Ecco, tante le brutture a questo mondo che uno si ripete quasi ossessivo, più non vorrei restare, guardare, sentire, più non vorrei piangere. Ma sebbene tanto vi accada da giustificare questo lagnarsi, il doverlo continuamente, più ancora mortifica la vita, finché la dispera. Ma arma c'è contro questa sensazione di impotenza e il tanto che la produce. Siamo difronte a una situazione mediocre, afflittiva? Pensiamola migliorabile finché col nostro apporto, buona, o almeno accettabile, diventi. Ci imbattiamo in persone invidiose, cattive? Pensiamoci, anche un po' solo, responsabili del loro fare e dire fastidiosi, e che, se ce ne allontaniamo, più non stimoleremo il discutibile loro dire e agire, e con più indulgenza forse ci giudicheranno, se più non ne ispiriamo il dispetto. Siamo caduti in una brutta contingenza e non ne sappiamo scampare? Pensiamo alle situazioni analoghe o peggiori, invece superate o vinte e facciamoci coraggio, guardiamo il tutto con minore apprensione e forse ne vedremo un'uscita praticabile o ne vedremo attenuare l'urgenza almeno, la necessità addirittura, ché il vissuto s'è fatto più sopportabile. Sì, forse già l'iroso fare del male sta per attenuarsi, stemperarsi, esaurirsi addirittura, o c'è aiuto di persona buona che viene al soccorso, se umili sappiamo chiederlo. E così in tante altre situazioni di affanno e pena in questa vita umana, contrastata, mortificata e vinta spesso. Una storia di tanto dolore! E ci chiediamo, Non è tutto illusorio questo comportarsi, inteso a schivare il peggio, a far la vita meno amara, negata bella? Rispondiamo che è comunque pragmatico, quindi giusto se efficace, e in ogni modo migliore dell'immobilismo, che attende passivo e nulla tenta per fermare un destino che par scontato. Ma così agire per conservare il sé, seppure sempre sotto la tirannia di quanto l'opprime, non solo è istintivo e può aprire una possibilità di salvezza, ma anche il solo fantasticare la libertà, l'emancipazione ha una positività. Perché? Permette di pensare il male non assoluto despota, invincibile, ma con un cedimento interno alla compattezza e ostinazione sue, come una crepa. Ma in fondo il male la fa da sé, se la provoca, perché esso stesso permette di anticipare il superamento suo anche solo fantasticandolo, e al credente di formulare una preghiera giustificata, e attenderla efficace comunque, e dirò perché. Quindi tende a indebolirsi e si avvia al collasso, alla fine! Anche se questo argomentare ingenuo appare e giustifica, fa il cinismo di persona incredula, pur questa ammetterà che la mente ha risorse e tutte il male vincere non sa o non può. Esso permette ne esca la speranza, il desiderio del bello e del buono gli sfugge, e questo volere realizzarli anche solo come sogno, va oltre, non resta qui dove ricetto non ha, e solo apparentemente aleggia intorno a una realtà che non lo accoglie. Almeno se anche così restar deve, ché oltre non può, la fa più ampia, include la possibilità del bene, allora la trasforma, essa non è più quella di prima! Noi possiamo soccombere, ma abbiamo conseguito sicuro una vittoria, abbiamo fatto questo mondo più decrepito, ne abbiamo anticipato di un po' la fine, non importa di quanto poco, ogni sacrificio non è inutile da quando qui uno, venuto dalle stelle, ha fatto del sacrificio la ragione del suo venire, sostare, restare, qui proprio continuare a vivere. E quelli che hanno fede sanno che un figlio così è di donna speciale, una che sempre ascolta, perfino non le sfugge il suono delle lacrime cadute o striscianti su un viso, e quelle dice, quelle fa sue, e vuol vincere con noi e forza dà al nostro reagire e opporci all'amaro di questa vita. Forse perderà con noi, ma non ci perderà come non ha perso il figlio suo. Sono solo miti della fede, aspettative ingenue delle istanze di bello e di buono? Ma riflettiamo, torniamo al male che ci attanaglia, a noi che siamo ancora capaci di formulare idee, quelle di bene, di bello, di buono nonostante quel che ci capita, sì esprimerle, dirle come preghiera. Allora il bene è possibile, vien fuori almeno come desiderio di meno brutto, di diverso, come idea nuova, apparentemente dalla accorata protesta al nostro dovuto subire, sì, noi stiamo opponendoci, rifiutando questa vita perché una diversa è possibile, la concepiamo, la desideriamo, la speriamo. Noi, la nostra vicenda, ne siamo un mezzo espressivo, almeno come volontà di superamento, di andar incontro ad altro, nuovo, meno brutto, bello forse, e così dar fondamento, nella possibilità almeno, all'agognato bene. Allora esso è di per sé, non appartiene a questa realtà, quindi non è nemmeno di nessuno di qui. Ecco, qui è apparente spontaneo, ma sta un po' qui o lì, anche come realizzazioni, per lo più ingiuste, perché a indegni e immeritevoli. Ma intanto fa capolino, si svela, si fa conoscere, apprezzare, e noi ce ne appropriamo, lo chiediamo, lo pretendiamo o solo lo speriamo. E il male che fa? Ottuso lo permette per sentirsi tronfio della disparità che assicura, ché la felicità destina a chi vuole a capriccio suo, quella che non par facilmente raggiungibile dai buoni, che esso vuol destinare a tutt'altro, alla tribolazione perfino, alle lacrime comunque. Allora il bene, il bello, il buono non gli appartengono, se ne serve solo per i beceri suoi scopi, disordine e ingiustizia, o invidia da parte dei deboli. Vivono essi di loro stessi, sono come le idee platoniche, sono di uno sfondo metafisico del tutto, su cui questa realtà galleggia, fa il suo brutto universo, la sua brutta storia! Noi che abbiamo la fortuna almeno della fede, sappiamo che la loro realtà si è espressa, coagulata, tu e il figlio tuo siete venuti, avete sofferto, siete rimasti, qui state, vivete, condividete. Il male ha reagito alla maniera sua ottusa col dolore anche per voi, ma non vi ha scacciato, non ha potuto, nonostante v'abbia fatto pure morire! Il bene è rimasto e noi possiamo sentirlo, auspicarlo, sognarlo e realizzarlo un po', e quindi anche toccarlo. Nulla sappiamo di te, e di lui come il dio, ma anche la sola vostra umanità sublime, è la sua misura per noi, è del dio sconosciuto la conoscenza a nostra capacità e comprensione, a portata umana,la risposta sua a noi poveri uomini. E che fanno i sospiri nostri? Non si disperdono nel nulla, ché lo distruggerebbero facendolo qualcosa, vanno alla realtà sublime da cui escono, vengono a te, madre nostra e del dio. Noi ti prestiamo la nostra voce e nostro pianto. Piangi per il figlio tuo ancora, ché il male te lo allontana, sta dietro tutti, ché tutti affrancati desidera. Piangi per la sorte nostra, tutti tuoi figli! E allora se tutto questo anche fosse solo mito, interpretazione fabulosa di ciò che qui è e diviene, almeno sicuri siamo che la preghiera che par sempre disattesa, ha una sua ragione, diventa come un baco nel male. Perché? Intanto s'è fatta mito, s'è coagulata, ha inventato qualcosa di bello e di buono che ci alimenta la speranza, che non c'era e ora c'è, ha una giustificazione e un contenuto, e questo qualcosa ha una potenzialità, una pretesa enorme, rode il male, fa fessura, crepa nella compattezza sua, ne prepara la morte! E siamo proprio noi, qui pusilli e indifesi, lagnosi anticipatori del peggio, che anche con la mediocrità nostra lo facciamo possibile, noi preghiamo, anticipiamo e allo stesso tempo così proprio coaguliamo, e dentro al male, il bene. Il dolore è efficace! E io torno alla interpretazione della fede mia, e dico. Ecco ripetiamo con la nostra storia il già accaduto al figlio tuo. Non può essersene andato nel nulla, noi lo richiamiamo da sempre fin dagli albori dell'umanità con la sofferenza di sempre, sì, lo riportiamo alla concretezza di chi soffre, in basso, accanto, no addirittura, dietro di noi. E il nostro grido flebile diventa il suo forte. Ricordi quando morì del cuore suo spezzato? Fa di simile ancora! Grida afono per chi ignora il grido del meschino, ma grida e spezza la compattezza del male, gli fa crepa. Ecco il mio dio. È mitico, fabuloso? Ma non meno veridico! Ecco le mie persone divine, una madre per me, ché non l'ho, un fratello come quello perduto. E io sento che la mia povera vita, qui tanto contrastata e caduca, esposta alla tirannia dell'ignoranza e della stupidità, esposta agli insulti dell'appena accanto o dopo, al male, pur fa concreto il vostro amore, sì, ne fa la tangibilità, la concretezza, e così, e meglio di me, la vita di tantissimi altri che fede hanno, anche se l'esprimono con parole diverse, e forse con altri miti, o non l'esprimono a parole, ma meglio, a gesti soltanto. L'amore umano non langue più sotto le stelle e lì sospira disatteso, voi arricchito l'avete della presenza vostra, lo fate percepito, lo fate ascoltato, accolto e lo rimandate, aumentato del vostro. La pena e il dolore scemano, s'esauriscono, muoiono, l'amore no, rimane e s'esalta, donato, torna più di prima! Incontra apparenti ingrati, insensibili, repulsori, non importa, va oltre, raggiunge voi, il dio a misura sua! E in te tutto è amore, allora nel tuo aver in uno stesso presente, come attuale alla coscienza tua ogni vicenda, ogni storia di dolore umano, quest'ansia mia di bene, che l'amore vuole non per me stesso, ma per quelli che accompagnato hanno la vita mia, pur trascorsa nella mediocrità, che l'amore proprio riscatta e annulla, osa chiedere che tu realizzi il bene per loro con efficacia retroattiva, sì, dimentichino essi il male, ricordino il solo bene e come vero stato quello di cui io avrei potuto arricchirlo!

sabato 17 agosto 2013

Come sabbia è l'amore






Come quando, saliti ai nostri monti, s'ammira il paesaggio, e da lì del paese lasciato in basso, l'abitato, quello, nella lontananza, appare su uno stesso piano schiacciato, così fanno i ricordi con i contenuti che tutti appaiono allo stesso modo lontani. E come diresti che gli oggetti della tua visione ti appaiono come riprodotti in un mosaico antico monocromatico su bianco sfondo, o anche di tasselli di colori sì diversi, ma allo stesso modo tenue soffusi, persa la prospettiva in questa rappresentazione, che più non distingue i diversi piani delle distanze reciproche delle cose, così i fatti, che emergono dal passato, paiono non ben distinti, sfumati, come cose di uno stesso colore scialbo, per la lontananza temporale, e anche come siano accaduti tutti insieme, privi ormai della percezione dei lor tempi diversi, appiattiti nella memoria. E di simile fanno i ricordi di persona cara, si sovrappongono, si affastellano. E fatti disparati che la riguardino, le reazioni che li hanno accompagnati, sono tutti presenti, gesti, atteggiamenti, sorrisi, crucci, serenità o tristezza in quel volto, certo in diversi momenti di vita, ma nella rievocazione se ne è perduta proprio la diversità temporale, tutti percepiti ugualmente lontani o invece vicini, sì, proprio come la mente li vuole ricordare o invece il cuore li fa apparire, ché continua ad amare. Così m'accade di mia madre, ella, nella diversità del suo amore per me e in quella della risposta mia, m'è tutta presente, quasi concreta, attuale come certo è questa donna della mia vita, che par ora doverla vicariare, tanto mi considera bambino tornato. Così m'accade di te, ché, anche se mai vista se non in sogno, t'ho potuto vedere con gli occhi del cuore, che, in quello che è stato, t'hanno percepita in ogni mio comportamento o con reazione di approvazione o di disappunto. E io, che ti cerco nell'addormentamento, sperando che ciò che di te già sogno, e quindi vedo, si continui e si arricchisca nel sonno dei suggerimenti della fantasia mia, liberata dai condizionamenti della veglia, pur ti vedo bella come bambino vedevo mia madre e come vedevo nell'innamoramento e vedo ora questa mia donna. Cereo mi pare il volto tuo nel vestito bianco che ti vela tutta, or sereno e sorridente e poi crucciato, proprio come quello di mia madre, immagine del tuo volto per me, che si mostra nel ricordo or felice dei miei progressi e delle mie piccole azioni meritorie, come alla mente appare nella mimica del suo volto, or crucciata alle monellerie di bambino, alle imprudenze d'adolescente, alle deficienze di uomo. È stata col volto suo, tuo specchio, ruolo affidato oggi a questa piccola donna, che da me non si stacca, anche se forse delusa l'ho. Che m'ami di simile, ostinata? Allora anch'ella è concretezza del volto tuo, e quello che esso fa, riproduce, mima il tuo! L'amore che ho per te permette apprezzi quest'amore di donna e mi sostiene il ricordo di madre amorosa, e anticipa quello che avrò per lei e questa mia donna nella visione futura di te, quello stesso che, aumentato, loro manifesteranno in risposta per me. Sai cosa ancora penso? Come tu hai ripetuto la tua vita nelle povere vicende dell'umanità di mia madre, ella amato m'ha di simile a ciò che tu provato hai per il figlio tuo. È accaduto, accade tra ogni madre e il figlio suo. Accade anche per donna che vero ami l'uomo che dice suo. Perché? L'amore umano è qui tutto di frammenti del tuo, come tu sbriciolato l'abbia e dalle mani tue lasciato cadere quasi pioggia su questa terra, che ne era assetata. E qui è rimasto e si ritrova in mille e mille forme, parole, gesti, e la storia umana è tutta d'amore, o qui raccolto, esaltato, amplificato di gioia, o lì negletto, soffocato, mancato o perduto nella tristezza, quella che fa il male che ne è difetto o totale assenza. E ti diremo, Ecco, madre, io delle briciole tue ho raccolto l'appena e le ho tutte qui nel cavo della mia mano. E guarderemo ansiosi il volto tuo sperando ne esca un sorriso. E io? Quanto ho amato, quanto ho deluso! E qui resto in balia di paure e speranze in questa ultima età, e le mie emozioni scomposte agitano, come prima mai, il cuore. Né serve la ragione a esercitarvi controllo efficace, e poco può il tutto che vi versa questa donna! Serve, urge sicurezza di prossimità dell'amore tuo, quella che viene a chi ha tanto amato dal riverbero del tanto donato. E io temo non averlo fatto! Ecco anche la mia mano ha briciole d'amore ma frammiste a insufficienze, dinieghi, appena scusabili dai fatti duri della mia vita di cui ho vivido ricordo. E dovrò dirti al termine di questa vita, Ho lottato per te, ho perduto quasi sempre, eccoti il poco che la fede mi ha salvato, tutto qui dal cuore versato in questa mano. Son briciole minute, come sabbia e leggere. Apro cauto la mano ché l'iroso il vento del nulla via non me le porti. E sai che sogno? Tu guardi il salvato e quello si fa sabbia d'oro e rimanda una luce accecante. Ecco che accade, il mio piccolo amore ha per te valore, tu lo centuplichi e ne fai un tesoro, fai proprio come mia madre, fai come fa anche la donna mia, poco ho dato, molto ne ho avuto in risposta e ne avrò ancora da loro, da te, che sei l'amore!

mercoledì 14 agosto 2013

Quest'età






Breve è l'esistenza nostra ed esserne coscienti ci rende tutti frettolosi, passano le cose, i fatti e le loro parole, quelle che li descrivono. Tutto sparisce attorno a noi e in noi, cambiano le cose attorno e la loro comprensione in noi difetta, non le capiamo più, e facilmente le dimentichiamo. Tutto diventa scialbo di un colore solo o si confonde con i naturali colori, si nasconde alla coscienza, vuole annullarsi! Sono sensazioni da vecchi! E ci ritroviamo senza più nulla. Nulla per cui valga la pena dire, ecco vivo per questo o di questo. Eppure restiamo tra gli altri, come qualcosa, che non sapremmo definire, ci trattenga. Quali altri? Buoni e cattivi, tiepidi d'amore o infiammati, passivi imbelli o pronti alla lotta senza scrupoli, senza regole, e gli invidiosi anche, la varia umanità di sempre. Ecco il mondo, il nostro mondo, ma fa ora più paura! Dove andare così o perché rimanere? Cosa credere, in che sperare? Molte cose minacciano la vita, quella semplice fin qui vissuta, sì fanno ansia, molte sfuggono a qualunque previsione, mortificano nell'incertezza la serenità agognata e forse un po' raggiunta, le possibili piccole gioie negano, sì opprimono questa ultima vita, logorano la fiducia in se stessi e quella appena sufficiente a continuare a vivere qui, senza chiedere molto, aspettandosi il poco appena bastevole. A così desolati, servi tu! A me, ché mi liberi anche da questa angoscia! Tutto a questa età mi fa apprensione,crea ansietà, e non ho che un rimedio, l'amore tuo! Nel chiuso della mia anima si contendono spazio e respiro, opposte pulsioni. Restare, andare, vivere, morire...E questo sentire è male. Verrà dal male il bene? Riuscirò a non guardare accorato questa realtà dura, riuscirò a non fuggire? Solo l'amor tuo, ineffabile, piegherà il male e mi restituirà il fascino del bene. O forse sarà necessario solo attenuare il male, e sarà allora ancora bello il bene, poco che sia. Sì basterà che esso passi un po' oltre, o si ritiri un po', come vergogna abbia di tanto accanimento, di tanta rabbia, e sarà subito aurora dopo il tramonto, la notte assai breve. Questo mi farai se resti nel mio cuore. Oh quanto vorrei sapere tanto altro di te per poter dire, con l'enfasi giusta, cose di te mai dette, a rincuorare tutti! Ma che dirò ancora dall'ignoranza mia? Chi sappia di te, poco anche come quello che io so, chi appena intravisto abbia con gli occhi del cuore il tuo fascino, dice che è così bello il bene da te, così suggestivo, che si può attendere fiduciosi il compimento suo, nonostante il brutto di qui, sì esso per te verrà, accadrà, forse appena dopo quest'età. L'amore per te può sperare il bene da tutto, dal male attuale pure! Ci coglie il male crudele, inatteso, d'agguato, nel languore, nella paura, nell'ansia? Getta nell'anima manate di sementa cattiva, ché cespo faccia, faccia perfido rigoglio, e siamo tentati alla disperazione e alla fuga? È vero! Ma già guardiamo con te come dall'alto, tutto è finalizzato all'eterno, la nostra piccola o grande angustia e il dolore anche. Passeranno pur'essi! Sì, verrà il bene palese, vedremo te! E in te non c'è debolezza, pazienza sì, amore sopratutto, ed esso vincerà, vigoreggerà sull'ambascia, contenderà alla mia paura spazio nel mio cuore e alimento. Devo imitarti, esser forte, saper attendere, sperare, ma, ti prego cuor mio, al momento aiuta la mia fragilità! Lasciami il conforto del piccolo amore di questa donna! Sì, tutte le mie parole vogliono farsi quest'unica preghiera. E tutto il resto è follia,non senso, la mia nella stupidità, quella di molti nella cattiveria e nell'invidia. E se non ci dai un piccolo cuore da amare, forse non potrà germogliare alcun bene, restiamo senza gioia alcuna, e s'affollano solo nubi a lor capriccio e s'allunga la notte, e le mie parole perfino, e le sai d'amore, diventano di parolaio soltanto. Non significano nulla.Ecco cos'è quest'età, pregare che niente di brutto accada e che un po' del bello che ci hai dato rimanga! E tu concedilo!

A questa età sempre ti sogno, e sai qual'è una favola ricorrente? Rimasto io col figlio tuo, fattosi ultimo dei prediletti tuoi, a fargli compagnia, gli altri tutti affrancati, ultimi da salvare, tu ci prendi insieme! Ecco anche così è quest'età, dirsi o sognare favole! Basteranno? Sì, sono tutte d'amore con te!

lunedì 12 agosto 2013

Fruttificare la grazia




Forse, parlando di te un po', tentati s'è dalle parole o peggio dal loro suono, come nell'enfasi di una omelia, ma le mie sono comunque immagini senza ombra di ipocrisia, sempre dalla mia vita sofferta, attinte. Perché lo dico? Mi chiedo, Vero aborrisco la ridondanza e dico semplice, e che allora? Come nella parabola, qui una diversa grazia tu concedi e te ne aspetti frutti proporzionati alla misura. E occorre mi chieda, So io far fruttificare il concesso? So umilmente pregare ché questo avvenga? E se fallisco? Non è forse la nostra vita peculiare e irripetibile, allora io fallendo, tu avrai perso molto o poco, quel particolare sentire, reagire, chiedere, rassegnarsi anche, dati come dono da te. E l'invidioso della mia iniziale fortuna, come reagirebbe? Forse giudicherebbe la disgrazia subentrata, giusta, opportuna, proporzionata. Lui vede te come un dio esoso. Se ripagare non si può per il prestito l'interesse preteso, si decadrà dal privilegio, ridotti in disgrazia appunto, nell'allontanamento, nella separazione da te, completamente esposti al male! Sì, dalla luce nella lunga notte di qui, che appunto il male vi fa. Ma così il dio sarebbe orribile, e avere questa idea di te, miserabile quanto chi la concepisce, è estremamente ingiusto, offensivo, perché sei bontà, carità, complete. Quindi indulgenza avrai per il fallito, comprensione, scusa. Sì, inesauribile la bontà tua e un'anima si specchia in te nel vero e, se provata, torna affrancata, pura! Così il mio io decaduto, niente più avrebbe di eccellente, e nemmeno l'invidioso vi troverebbe di prezioso, niente più che il suo occhio non tolleri vedere, ma non desolato come lui crede. Questo il vero, pensare diverso è follia, interpretazione fantasiosa e peccaminosa su quello che sei e t'aspetti da noi, tu non pretendi, auspichi, ti auguri che di bello accada. E al dio misericordioso così, come manifesta d'essere attraverso te, si può ben dire, Madre ho abbastanza per ricominciare, non ti intristire, non t'accorare di più! Io, che ho tutto perso o sciupato, nella vita che resta avrò un comportamento adeguato, non ti deluderò ancora! E non ricomincerò dal nulla, tu rimani sempre, mai abbandoni un cuore! Sì, nella completa fiducia in te, se si cade è possibile rialzarsi e ricominciare. E, questo accadendomi, io mi direi per farmi coraggio, Si presenteranno condizioni analoghe a quelle che t'hanno fatto ostacolo, ebbene hai fatto esperienza, questa volta vincerai, supererai efficace, abbatterai quello che s'oppone. Ecco tu respiri un'aria nuova, quest'atmosfera è a un tempo sacra e patetica. Certo sei d'aver la madre in te nella tua ostinazione per il bene e allo stesso tempo sai che ella pena in cuor suo per te, ché t'esponi daccapo alle rivalse del male. Ma anche mi direi, Tu hai scelto la verità, la tua non può essere più una storia di parole, devi impegnarti per la concretezza dei gesti di bene per tutti. Stavi come in un sonno profondo, caduti i sogni, svaniti, amarezza al risveglio, e son rimaste le cose, le situazioni, i problemi da affrontare e hai certezza che lei ti guarda, ha “ sollecitudo” per te, e il tuo sentire più non può essere come un astratto pathos, che inganna te per primo, ché viver t'ha fatto in uno sterile sentimentalismo, impegnarti devi nella fattualità ed ella allora vero non resterà delusa! Allora io che farei, vero fallendo?

Come l'atleta dopo malattia che fermo l'ha tenuto, ritrova forza e fiducia e va alla vittoria, ecco ora io faccio di simile, competo, lotto per il bene, e stai tu al traguardo della mia vita!

venerdì 9 agosto 2013

Perché trattieni l'amore?




Imperioso alla mia età il desiderio di pace. Problematica è restata la realtà e continua a presentarsi nella crudezza sua, ma ora anche come monito che invita all'indulgenza. Lecito non è mai divenir giudice degli altri e nulla giustifica esserlo di se stessi, ché se poche sono le motivazioni apparenti di un comportamento, molte celate rimangono, talune insinuatesi fin dall'infanzia che ci abbia visto disarmati nel troppo buio. La vita passata non si può annullare, cose fatte inopportune, altre omesse e invece dovute. Spesso greve è il ricordo d'essersi abbandonati alle pulsioni di una vita istintiva e passionale, a smanie deliranti dell'immaginazione, e aver ceduto ai suggerimenti dell'egoismo, trascurando del tutto il dovuto agli altri, e pur c'era un patto d'amore con te! Sì, rivedere la vita tutta è spesso doloroso, meglio sarebbe non sollevare il velo della dimenticanza e lo schermo che v'ha fatto il tempo. Pur certi fatti si ripresentano vividi quando debole si faccia l'interesse per l'oggi e si riduca ad essere appena la fiducia per il domani. Ecco allora invocarti il perdono, quello che sempre anticipi nell'amore.

E lo si fa per sentirti vicina e in tutto dipendenti da te, e sentirsi così più sicuri di fronte alla nebulosità di quello che viene. Sì, tutto si può far dipendere da te, vita e speranza! Eppure un vecchio anche da te può sentirsi abbandonato e se è tuo l'uomo, allora crea sconcerto il suo stato di dipendenza da ciò che gli accade o subisce fino a sentirsene schiacciato. Così nella storia assai triste di un sacerdote, assai avanti negli anni, per una malattia inesorabile! E che può essere dell'uomo comune se perfino un uomo del dio può disperarsi fino al gesto estremo? Perché, perché lasci che accada anche questo? Il famelico lupo, il male, non si interessa tanto del gregge, mira al pastore e ne prende la vita! Un povero vecchio pastore, che s'è sentito solo di fronte a troppo dolore! Ho pregato per lui, mosso da sincera pena. Ecco, torno alle bagatelle della mia vita fin qui fortunata, sebbene mai completamente esentata dal male. Eppure già torno a chiederti perché il futuro faccia tanto al vecchio tono di minaccia, aria da spavento. Paura d'esser solo di fronte a troppo dolore e morirvi come abbandonato? Nessuno temo ne sia esente. E torna la necessità di star in pace col passato e non perdere la visione di una lampada da te accesa e confidata per noi sulle rive dell'incertezza, affinché non si spenga per un'anima affannata e mai essa si faccia serva della morte! E perché si dissolva la paura di ciò che viene, tu anticipare dovresti un po' della pienezza dell'amore che ci attende. Lascia penetri con ebbrezza in cuore già pavido, ché non lo schiacci la viltà, che come a me è accaduto non solo ha attoscato la vita, ma vuole riaffacciarsi minacciosa a far di simile, pena e breccia al dolore, negli anni miei ultimi. Sarà solo la sicurezza dell'amore a poterla mettere in fuga e hai per me via facile se piccola tua vicaria accanto mi lasci. E intanto sto già tra i tribolanti, gli anticipatori di un futuro in desolazione e abbandono, quelli che temono il loro piccolo bene strappato dalla crudeltà della vita. Perché povero è davvero chi, assaporata la dolcezza, ne resta trascurato o privato quando più ne necessiterebbe! Freddo fa davvero e al cuore non avvertir più accanto calore di donna! Non sia così per me, cuor mio! Ma quand'è che l'amor tuo strariperà, chi lo trattiene? Sì, quand'è che si riverserà per ogni dove, come fa talora l'acqua che rompe dighe logore, così son quelle che questa vita brutta mette con le toppe della materialità sua su spiriti già provati, ormai vecchi, che più argine non fanno al dolore e alla paura, ed esonda gioconda a valle e fa lieti tutto dei campi, erbe, fiori, uomini?

mercoledì 7 agosto 2013

Chi dà forza alla preghiera?






L'uomo nichilista non attende dalla vita più nulla, né spera, convinto che la favola della sua vita non significhi nulla in un mondo incoerente e gratuito, spesso brutale. L'uomo di fede cerca di superare sempre lo scoramento che gli viene dal vissuto e pronto è a riattendere e sperare ancora dalla sua vita. E' stata fin lì amara? Potrà essere diversa. Si sono avuti problemi nell'esperienza del quotidiano, c'è stata discrepanza con l'atteso? Ben si troveranno risposte adeguate e altre alternative potranno essere offerte. C'è insomma una fiducia, un ottimismo di fondo, che crede che se tu guardi quella vita, l'attesa non verrà completamente delusa, occorrerà pazienza e concorso di tempo, tutto si risolverà in bene! Sembra ideale l'ingenuità d'un bambino e la pazienza di un vecchio per una tale condotta, ma tanto vi fa la preghiera, che è parteciparti la vita. E insieme con te occuparsi, badare, considerare, decidere, agire per controllare i fatti attuali e prevedere, aprendo una breccia del possibile diverso, almeno sul futuro che immediato seguirà. Insomma provvedere al già accaduto, aprirsi, prevedere, agire per quello che sta per accadere e lo si fa con te! Ma la preghiera può farsi diversa se pressati s'è dall'angoscia, sempre minacciosa. Si fa richiesta di risposta che non prevede attesa, non può. E tu che fai, rispondi, e come?

E pur passa l'angoscia, non abbiamo ceduto alla disperazione, forse consapevoli che tu hai pianto e gridato con noi! Tu hai parlato per noi e alla preghiera tua nulla aggiunger si può! Non recitavamo forse una parte su questa “scaena mundi”, soffrendo, e non era per il figlio tuo che gridavi contro al cielo apparentemente chiuso? Non osiamo nemmeno pensare al dolore che la disperazione rinnovata t'ha provocato! E ti diciamo, Madre rincuorati, siamo scampati! E un po' più santa, perché provata, s'è fatta la vita anche se restata problematica, e quando pur sia tutta passata, la residua restar può nella speranza, nella consapevolezza che tu preghi e c'è chi t'ascolta e non può deluderti sempre, il bene può riaccadere, ché il male è già vinto e non prevarrà, morirà! L'unica vera morte! E tu mai hai più pressanti richieste con attenzione prioritaria, tutte vengono dal dolore e hanno la stessa dignità e urgenza e quelle che ciascuno ti fa, tutte affidi con gemiti ineffabili al dio della cui alterità partecipi. Oh mistero, l'amore s'è scisso, è qui rimasto supplice, e lo sarà finché dura l'assurdo del male, ma la risposta è lui stesso, e questa verità pur diverrà manifesta! Quando? Oltre la farsa tragica del mondo!È proprio così, noi di qui per te siamo importanti allo stesso modo tutti, siamo la “sollecitudo” tua, tutti tuoi figli, siamo, per l'amore tuo, l'unico figlio tuo!

domenica 4 agosto 2013

Quando corpus morietur






Semplice davvero non è arrendersi alla verità tua, è velata, schermata e v'estende l'ombra sua il male, la contrasta, pronto a spegnerla. Molti non saranno tanto fortunati da intravederla, o non vivranno abbastanza, o vivranno una vita distratta. Sì, dolce, potendolo, è arrendersi a te come alla luce, al sole e dirsi, ecco lo scopo d'una vita ben spesa! E dal cuore ripetersi di felicità, desidero forse di più? Sì, ben si può vivere illusi dai molti luccichii di qui e non della verità tua, ma hanno unicità, preziosità, si può viverli ingenuamente come forse solo a bambini è possibile, si può crederli capaci di allontanare il male, averne tregua almeno, credere che essi esauriscano la ricerca tanto appassionata del bene, o non accade piuttosto che l'inconsistenza loro la vanifichi? E' ben diversa la verità tua, ma avvertirla è possibile col cuore più che con la mente, vale il sentire, non il ragionare. Allora essa parla da sé, testimonia, svela, se puro è il cuore che le si pone in ascolto. Ma quale verità? Non son certo le conclusioni della scienza a farne parte, ché son tutte intese alle cose di qui e non danno calore a cuor che ne chieda. Ma credo sia quella, tu concedendo grazia e libertà, cioè opportunità di accettarla, avendo capacità donata di comprenderla, che il male, qui in apparente vantaggio, non prevarrà, ché tu attendi l'umanità tua per manifestarle quanto ami, chiusa la parentesi delle illusioni, fuori dal tempo! Quella che non appena scorta lascia una scia, fa una via, luminosa tra le tante ombre di qui. Occorre incamminarsi con fiducia e appunto viverne. E sarà forza e debolezza lungo un cammino spesso solitario, determinazione e paura, ma conforto, consolazioni anche. Ecco oggi le occhieggianti cose di questa natura, aulente, ché è la bella stagione. Fanno conforto, invitano a soffermarsi, ad ascoltare. Or sull'una, poi sull'altra va senza requie lo sguardo mio, sembrano chiedere tutte una risposta e lo fanno alla lor maniera, senza parole. Vogliono amore per ricambiarmi amore? Sì, sono erbe, alberi, fiori ormai rari per la calura, piccole creature che prediligono l'ombra. E canori ancor sono uccelletti a farvi incanto. Paiono vogliano fornirmi tutti una chiave di comprensione, cioè invitarmi a percepire la realtà diversa da come appare, come un tutt'uno immerso in una stessa atmosfera, che sia più della fisica. Io la penso pregna d'amore, il tuo, di cui essa anche respira e vive come fa dell'aria, mentre per tutto l'altro che qui la mantiene occorre competere per farne parte. E lotta è spesso di sopravvivenza. Insanabile aporia? Così per noi, che partecipiamo della stessa realtà e sembriamo vivere una eterna contraddizione. Necessità d'amore e di lotta nella vita! Alcuni vi si affacciano appena e subito la morte via li porta senza o con scarsa possibilità di conoscenza, altri vivono la vita nell'indifferenza o non le danno alcun senso, nemmeno avvertendo l'afflato, che in momenti privilegiati pur par venire dalle cose tutte. Queste parlano seppure mute e invitano alla fiducia, alla speranza, par vogliano consolare. E pur c'è chi annientarle vuole e per un suo presunto immediato vantaggio, tornaconto, guadagno, e così condanna la vita tutta, la sua, oggi e quella degli altri, anche poi. E forse vero allora tanta caparbietà nel proprio e altrui danno, merita il nulla come sua meta e non te. E allora chi segue la via che tu gli indichi dovrà preservarle, custodirle, difenderle da una stoltezza, che non capisce che la vita va tutelata perché abbia le espressioni sue, ché tutte vanno nella stessa direzione da te attratte, anche se coscienza non ne hanno, e intanto sostengono la vita umana perché si avvii per il giusto cammino, quello di non riconoscere qui alcun fine. Quello, solo tu sei e lo scopo qui sarà conoscerti, un po' almeno, per cominciare a sperare in te, nonostante tutto e la cattiveria degli altri che aggiunge male a quello già presente e la prevaricazione, che mai tace e la contumelia dei potenti. Ma è il male in sé l'antagonista più tenace, e che fa? C'è indubbio un tuo progetto di salvezza della creazione tutta e quello vi crea scompiglio! Viene nella crudezza sua quasi sempre improvviso. Uno sta amando, sta anche solo sognando l'amore? E più non può farlo! Uno sta affermando il suo piccolo bene? E deve interrompersi! Uno è vicino alla verità che sei, quasi la tocca? E viene ributtato indietro, deve regredire o perdere tutto, come afferrato da mani invisibili, che interrompano ogni suo progetto di bene e apparentemente gettino nel nulla i tanti sforzi fin lì, e la speranza. Tutto cancellato! L'amore interrotto! Il più crudele dei destini! È l'untuosità, la nebulosità, lo spessore e se si potesse dirne una tautologia, la crudeltà del male. Chiede improvviso il suo dovuto, ché, come fosse stato generoso, volutamente dimentico, perfino permesso ha di capirti un po', amarti un po', sperarti tanto, e chiede, vuole il saldo del conto, vuole la vita! E fortunati quelli che hanno fede, ché possono proiettare al di là di quello che loro accade, la speranza, non permettendole di morire nella disperazione più cupa. Questo fa il male. E a una preghiera tutte si riducono, questa, Liberaci, madre, dal male! “Dominica” questa invocazione è, e il figlio tuo vuole rivolta dall'umanità sua, che sta per perderlo, al padre! E anche a me accadrà di simile, forse sta già accadendo, e io a te grido! Dove sei madre? Più non odo la tua parola amorosa, come nemmeno abbia più piccola donna a vicariarti. Risorridimi dalla soave mitezza del tuo cuore, fallo ancora una volta da quello della donna mia, dà vere ali alla mia speranza, muoia questo corpo, la mente sua anche, non il suo cuore! E mostrati fuori di questo mondo a occhi novelli. Sì, il presente ha vinto il passato, facendosi più spaventoso e sto per non aver futuro. E che ancora ti dirò? Torna, torna a me madre, sii quella che m'ha generato, quella che m'ha cullato, che m'ha sorriso per prima. Siano le tue queste braccia di donna che all'amore eterno m'affidano!




giovedì 1 agosto 2013

Il coraggio d'amare






L'egoismo divide, separa, parcellizza l'umanità, ed è sterile. L'amore è diverso, vuole raccogliere, coagulare, dar frutto, e può perfino essere senza avere. Sì vero, fino a poter dire di continuare ad amare pur senza più contraccambio, o forse mai avuto! “Amabo vel tu mihi aias vel neges”, dice l'antico poeta! Anzi così proprio imita il tuo, ché tu ami nella libertà completa di chi è amato e desiderato, perché pure a te si può assentire o dir no, senza cessi l'amor tuo! Ti somigliamo in questa capacità d'amare, vero particolare, vero umana, ma forse solo tuo dono, quando il figlio tuo fatto ha la nostra specie a vostra immagine. Possiamo allora ben vicariarti se desideri l'afflato tuo trasmesso, ma occorre fortemente volerlo. Non è compito facile, è un santo impegno! E allora ti dico, È pretender troppo chiederti di aiutarci a viver con coraggio di superamento la tentazione che sempre s'affaccia nel quotidiano di negligere l'amore, il nostro possibile, sol piccolo amore? Sì, star per sé, chiusi in becero egoismo, nulla fare per l'altro, ma anche pretendere d'avere, senza aver nulla dato per primo! Sì alludo all'amore terreno, che può elevarsi fino ad imitare e vicariare il tuo oppure annichilirsi, parlare tutt'altro linguaggio, nell'abbrutimento che vede l'altro, oggetto, non più persona e ne distrugge la libertà. Ma non mi contenterei di salvarlo nell'aspetto suo migliore, ché fa immagine del tuo, anzi prologo lo ritengo, se il tuo manifestato si sogna, come a me accade, ma quello che ho, il conosciuto, grazie a piccola donna, e quello che ho per te, che il primo continua ed esalta, ma che più non distinguo, ché aspetti sono d'uno stesso sentire, lo vorrei così grande da poter avvertire d'esser con te in frenesia d'amore, simile a quella che qui pur prende a volte, non importa l'età, per fascinosa donna. Sì, perché lo star per te, per il dio, a questo deve somigliare! E così è nel santo certamente, nel mistico almeno! E' tutt'altro da una, sempre rinnovata, scelta di buon intenti, ma scialba, che comprometta poco, poca, e per te deludente, la fattiva risposta alle sollecitazioni dal mondo, in vita acquiescente, mediocre, anche vissuta senza troppo entusiasmo, tentata dalla noia, malgrado la richiesta di più coraggio. Quello che con tanta insistenza anch'io ti chiedo di possedere, ma per vivere questa vita pienamente e non deluderti, ché attendi da me che io sia per il bene, sia per te, dalla parte tua! Qui nel nostro mondo, in modi diversi andar si può incontro a mal giudicati eccessi d'amore. Così, nonostante le tante esperienze fatte, uno ricade talvolta in mal d'amore, non ricordando, per quella che è oggetto d'attenzione, più nemmeno il “non bis in idem”, che consiglierebbe al cuore, “ quod passum perditum ducas”. M'è accaduto, ho fatto simil esperienza? Davvero non so dirlo! E v'è canzone antica, che canta di un amore contrastato che sempre vede l'innamorato come sparuto attender l'affacciarsi dell'amata sotto la finestra sua. Certe esteriorità, nemmeno attuali nel mondo che veloce corre, che sanno di romantico tempo andato, da maturi invaghiti, evitabili del tutto non possono essere, e quando celate a lungo restate, pur verranno fuori, e faranno sorridere, almeno l'interessata. Ma con te è diverso, non ne sorriderai di scherno, ma di gioia. Sì, se l'amata sei tu, bella del cielo, allora tanto di te ci si può invaghire, che possibili ne diventino atteggiamenti estremi e vero mistici della cui esteriorità però vergognarsi lecito non è, ma nessuno li capirà e li scuserà. Se ne sorriderà o riderà? Bene, più convinto ne diventerà l'amore! Corro il rischio di questa santa follia? Quanto lo vorrei! E talora anzi mi dico, ben venga radicalità in quest'amore per te, mi farebbe vivere il sogno di poter divenire vero mistico, santo anzi. Ma se cercassi di vederti, macerandomi cuore e carne e mi facessi vero sparuto, assetato di nostalgico, appena assaporato amore, come quello della antica canzone, uno che ha forse intravisto chi le pene sue alimenta e la prega di riaffacciarsi lassù alla finestra sua, forse ne rimarrei deluso ché tu capolino tra le nuvole non fai. Ma se veder non ti fai, posso, perché l'amor mio per te è in continuità con quello per la donna che ho, anzi è lo stesso, solo forse amplificato del suo, vederti in lei e tu a me facile parlar puoi per questo amore vicario di piccola donna e io stretto me lo tengo! Anzi mi dico, Ella, la stella del cielo, è almeno come questa, sì di me innamorata! Ma con questa donna anche bagattelle, ma pur sempre d'amore sincero. Pensa, gelosa è di fantomatica rivale e s'incupisce se su, purtroppo vera, mia passata “folor”, direbbe il trovatore provenzale, che si macera di pentimento “sull'escalina” di là, nel mistico incontro col poeta, io scherzo in sempre maldestro tentativo di divertirla e che ne sorrida. Allora tu una grazia speciale per noi poveri amanti spender devi, il coraggio di vero essere per te in questo povero amore umano, fatto di tante cose sublimi, ma allo stesso tempo povere, come a me accade se, meschino, la giusta reazione dell'amata provoco, in fondo cedendo alla becera tentazione di trar diletto da sua rinnovata pena. Ecco l'amore umano anche questo può fare, ecco i suoi limiti, ma occorre tutto sublimarlo, per vero poter dire, continua in quello che vede te, l'amata. E come? L'uno sostenga l'altro, l'uno scusi l'altro, l'uno perdoni l'altro di non essere stato secondo le aspettative sue, e di non potersi, non sapersi correggere se piccole, sempre viste grandi, manchevolezze o tentazioni pur ci sono, che già sul nascere domandano comprensione e più amore, più che perdono! È tirocinio d'amore, questo solo a due, non meno arduo di quello per l'amore dovuto a tutti, affinché tu possa accettarlo prologo al tuo, quello, credo, che manifesterai a degni amanti, o a quelli che sublimato abbiano l'amor loro da povero e limitato a uno grande, esteso agli altri e le cose e gli animali tutti del creato. Un amore iniziato piccolo e divenuto grande, per una donna e così per tutti! Ma altro ancora ti chiedo in tema d'amore, il coraggio di non disperami nel mio ostinato rivedere il passato, che sempre suggerisce pentimento anche nelle errate piccole cose trascorse, come mancati gesti d'amore, vivide nella memoria, anche verso le persone più care, cui rimedio più non si può porre. Io vi rimedierò, sanerò le mie carenze forse nel mondo tuo senza tempo, mondo di tutte nuove possibilità, occasioni per l'amore, ma ora qui vorrei stare come chi, in preghiera incessante, cerchi l'amor tuo, contraccambio al mio, negletta l'antica opportunità di farlo, senza ossessivo sterile pentimento, ma forse non avulso da penitenza. Quale per me? Quella di dover pur agire per gli altri tutti, manifestando il mio, pochi i mezzi, poco il talento, o come chi balbetti amore a tutti da inadeguato e sprovveduto, e mai vi rinuncia seppure apparir possa ridicolo, eccone la piccola pena da soffrire, non certo quella grande di chi, per piacerti, prova a viver la vita sua solitaria avvilendo il cuore, io non potrei, non sono un vero mistico, ho bisogno della mia piccola donna, ho bisogno di tutti! Vorrei perciò la vita attiva, anche contrastata, anche inadeguata, anche un star appena,ma non meno sofferto, tra gli altri, e tentare di divenirvi vero tuo vicario, anche non vincente, perdente, ma forse allora vero d'amore. Sì e non solo lo vorrei per me, ché se a questa donna e a me devi una tua grazia, questo pretenderla, questo invocarla di continuo, si giustifica perché è la stessa che chiedo per tutti. Sì, donata per amore, anche a chi già t'ha nel cuore e non lo sa! Sai, qui tanto spesso è il male, fa caligine tutto in sé volendo, avido delle vittime sue, rende smarriti e pavidi, come ciechi brancolanti. E mi chiedo, cosa filtrarvi vi può a far barlume di conforto alla storia bella di, come noi, poveri amanti, che vivano con ansia la precarietà del loro amore e non vi rimangano contenti, ma pretendano di poterlo estendere a tutti? Solo l'amor tuo seppure in una luce breve, appena d'un attimo! E sia questo il dono per chi vuole l'amore! Sai è assai bello scoprire che gli occhi della propria amata hanno un brillio sotto le stelle, e amore lo dice riflesso dell'amor tuo ché a guardarci stai, stella di questo cielo! E allora anche ci avrai donato il coraggio di poter considerare eterno l'afflato tuo, nonostante il silenzio delle cose divine di sempre! Il silenzio del dio che fa più rumore di assordanti fragori! Qui simili a noi amanti attendono di simile, stanno con poca lena, avacciati lor cuori di inconfessata paura che il bello, il buono realizzati nel loro piccolo mondo di due finiscano nel nulla, unione la loro insidiata e precaria, ché stringe il male, anche dell'invidia, da ogni dove, ma fiduciosi sono nella vita, anche se ormai poca o tutta passata, alle spalle. Sì, aiuta tutti che fiducia abbiano almeno nel loro piccolo amore, sia sempre avvertito come una certezza, solo così lo potranno desiderare e in qualche modo realizzare anche per gli altri! Quell'amore che ognuno dei due non solo mantiene vivo, ma prova ad accrescerlo giorno per giorno, e quello allora esonda dai lor cuori e altri ne coinvolge! Così, prezioso è l'amore, anche piccolo, anche limitato al solo mondo di due, perché ha questa potenzialità! Ecco, forse solo vita da mediocre, non da mistico è questa mia, ma è l'unica. Questa spender vorrei per quel che ne resta, nella ricerca di te, e come potrei se non con l'amore? Ti chiedo allora il coraggio di non desistere, non diventi io dimissionario d'amore, uno che rinuncia per il poco o il niente realizzato pur con spesa di tanta tenacia, sarà che al fine ti trovi? Sai, ti dico,(ecco ancora la preziosità d'un anche piccolo amore), credo abbia già di te, non parto dal nulla! Ma poi dubbioso, Vero basta questo piccolo amore di donna ché già abbia del tuo? E ripartire ogni volta da quello con le forze che scemano, mi farà far mai il passo, il balzo sufficiente a che t'incontri fuori dai miei tanti sogni? Sì, se lo vorrai, mi rispondo, e questa è la fede, la speranza mia, non deluderla, stella del mio cielo! Ma, ansioso ancora, ti chiedo, S'accrescerà vero il bene dei nostri cuori, fino a raggiungerti o il niente lo divorerà? Se proprio tutto deve finire, ti dico, questa sarebbe la vera oscurità del male vittorioso, che non oso pensare possibile, ma questa credo la forza della preghiera, sì di estendersi all'impossibile, ché nemmeno la sua minaccia sfugga all'attenzione tua previdente! Allora ti invoco, fa che ad altri cuori passi l'amore in continuità col nostro, che esso almeno non si perda! E se penso questo attuabile in qualche modo, anche per vie fortuite solo d'umana possibilità che chiamiamo destino, so nella fede che accadrà perché tu lo vuoi. Allora so di vero poter credere, tu, il dio, non solo sei, ma sei anche per me e questa donna e tutti! Perché è vero non muore l'amore! Piccolo è il nostro? Grande ne è il futuro, tu lo destini alle stelle!




Non ha detto il poeta, poca favilla gran fiamma seconda?