domenica 29 gennaio 2012

Un mattino radioso

E’ bello al mattino, svegliandosi, accorgersi dell’aria che si respira, così fresca e benefica, e ritrovare le cose del consueto e toccarle a riavvertirne la solidità o la cedevolezza, e riscoprire che hanno un colore peculiare e bello, più deciso alla luce novella. E fuori le piante rinverdite già e primi fiori, e già solitari bombi e il tutto indorato all’incanto del sole. Oh quanto vorrei saperne dire una lode! No meglio, un inno cantare a quello del mattino che raggia e tutte le cose soffonde e scalda, a quello che sale superbo e che poi declina e infine vedi scemare colorando di rosso le rare nuvole di questi giorni, per addormentarsi sotto l’orizzonte del nostro mare. E fugge presta innanzi, a occaso, quest’ora dell’alba e io chiamo la donna mia, che levata s’è già da tempo. Venuta, tocco le sue mani e tra i capelli suoi indugio il mio respiro, ma quella sfugge il mio abbraccio, che talora tentato sia a cosa che m’avacci il cuore,che stanco e dalle bizze facili sa, pur avendo desiderio di mille carezze, e m’annuncia che qualcosa di buono, di quello che ella sola sa fare, mi recherà, credo a conforto di più profonde effusioni negate. E così di nuovo so, deluso un po’, che per riaverla tutti i giorni, parole, sorrisi, il suono dolce di quelle, riscoprirla piacevolmente diversa da me eppure a sé uguale, devo ora per ora riconquistarne l’amore. E poi mi lascia andare per una passeggiata ai soliti luoghi. E qui percorro gli stessi sentieri, saluto e scambio parole con le stesse persone e lascio di gioia che l’aria fredda m’inondi. Ma presto dal bosco proprio per quella uscir dovrò a cercare del sole il tepore. E c’è un stradello antico, luminoso tutto, che mena alle polveriere inferiori, da cui il mare pare così vicino da illuderti di poterne carezzare il gioco di luci sulle onde tranquille di questo mattino di bonaccia. E’ un posto in cui sostare un po’, a lasciarsi intristire dalla nostalgia e dai ricordi. E anche questo fa la mia gioia di vivere, ché qui tutte le cose paiono sognare il mio stesso sogno. E la mia fede meglio capisco, certezza nell’essere che si parcella in queste cose tutte e viver d’amore le fa e palpitarne e suggerirne capaci le rende a chi interrogare le può. E io tremo commosso di questa consapevolezza, ché ormai tutte spirituali le so, piene di saggezza e bellezza e ne lodo con voce casta e piana l’esistermi accanto, l’unisono rispondere ai sospiri miei, e certezza ho, ché me ne parlano, d’un luogo al di là dei sogni, tra le stelle. Ma più che un posto è uno stato delle anime che di cercarsi si studiano e ritrovarsi vogliono per rispondere all’amore mancato o continuarlo, magnificandolo, se qui già stato. E quando lì, sarò a innamorarmi ancora e più e più
di chi ricambiato qui me l’ha, riempiendomene il cuore, sì, di questa piccola donna, e di quelle anche che me l’hanno negato, lì ricredute, vinte dall’afflato delle cose, tutte lì ritrovate, cui disattente qui sono state. Ché parlano queste cose tutte una lingua arcana, mormorano e sospirano amore e per loro proprio, e quelle non le sentono o capirle non sanno! Oh quanto da me, una particolare distratta hanno i luccichii di qui, e non volevo! Vero è che d’amor talvolta non si conforta chi pur ne chiede, pur ella raggiungerà quel posto tra le stelle e lì a magnificare il suo amore a chi qui amato ha, s’occuperà, ma, paradosso, a chi qui pur negato l’ha, ne dovrà un po’, e a me proprio! Vero il destino di tutti è l’amore! Sei tu proprio, bella fata dei sogni, regina delle stelle, che centuplichi amore e nascer lo fai anche in duro cuore!

giovedì 26 gennaio 2012

Una favola da vivere

Se vero un qualche interesse 
hai per me, certo hai nel 
cuore un posto per le favole. 
Crescere esso vuole, stiparsi 
di parole e piccole cose già 
accadute o solo fatti vaghi 
tuttora, come quelli dei sogni, 
che fuori venir vogliono per 
farsi ricordi preziosi. Presto 
diventeranno una folla e ti 
suggeriranno sentimenti, 
reazioni, pensieri forse 
contraddittori e ambivalenti, 
che delineare cercano 
quest’uomo. Vorrei saperti 
dire in un linguaggio piano, 
consueto, quello che dentro 
ho, sì, il cuore è il luogo dei 
miei segreti e nessuno facile 
vi sa leggere. Ecco, qui uno 
che forse viver vorrebbe 
nell’immaginario, un bambino 
in fondo, che rifiuta l’obbligo 
faticoso di una personalità 
unitaria e coerente da adulto. 
Uno che non si rassegna al 
paradigma che il suo conscio 
sceglie per lui ogni giorno, sì, 
un abito dignitoso che gli 
cuce apposta, ché lo 
armonizzi con le aspettative 
di una società, in cui però 
vive con disagio, e che 
s’aspetta vederlo così come 
lo crede, ma quello che in 
fondo non è. Piuttosto correr 
vuole ai cattivanti allettamenti 
della sua fantasia accesa in 
cui capolino fa il suo 
inconscio, con contrasti, 
apparenti illogicità, cose 
elevate o meschine, ma di 
cui vergogna non ha, ché 
tutte sanno di libertà. Sì,ecco 
uno che vive nel sogno per 
esser libero e ne paga un 
prezzo, il rischio del ridicolo. 
Ma ancor è sfuggente per la 
coscienza tua, per ora mal 
delineato è quest’uomo 
bambino, uno di cui non sai 
se fidarti, uno forse da 
prender sul serio o solo 
sorriderne per le vaghezze 
sue. Sì, proprio egli si sente 
al tuo giudizio come uno di 
quei pesci della vasca antica 
del parco, che a boccheggiar 
vengono alla superficie 
dell’acqua che vi stagna 
verde d’alghe, solo se non si 
sanno osservati, ma che 
pronti sono a fuggir via in 
profondità se piccolo rumore 
si faccia. E come 
nell’avvicinamento incauto al 
luogo dei pesci si rischia di 
non veder nulla,ché nascosti 
quelli stanno, così 
quest’uomo rischia 
l’incomprensione, ché di 
fuggir tentato è alla latebra 
sicura dei pensieri suoi, 
timoroso che l’anima tu gli 
legga incauta, come quando 
bambino, timido, già 
l’immaginare di avvicinarti 
era per lui appagante e 
null’altro tentar voleva. Ma 
qual sia il giudizio che ne 
potrai dare, servirà 
comunque. Crede egli in un 
posto speciale senza tempo, 
di là da queste cose 
deludenti del mondo nostro, 
in cui tutti diranno schietto, 
senza ambiguità, e si verrà 
accolti e ricambiati sempre. 
Tutti vi saranno ammessi, ma 
occorrerà riconoscersi in 
quella forma nuova che a 
ciascuno sarà data. E va 
bene tutto, ché ogni vissuto 
di qui prologo ne sarà, o 
amicizia fino all’amore, o 
scherno, disprezzo, odio 
perfino, ché tutto si muterà in 
bene in quel posto speciale 
dell’amore per amore. Da lì 
forse vengono le favole, 
anche quelle belle per lui, 
che, chissà, forse talora si 
racconta, bambino 
fingendosi, in quelle la 
presenza tua volendo, 
volutamente ingenuo, 
nell’addormentamento. Ma 
non va bene l’indifferenza! 
Ecco il vero peccato senza 
perdono per la fata delle 
stelle che là regna. Allora 
non essere indifferente a 
questo cantastorie, che da lei 
con sé ti vuole! Vivi una 
favola, fruga tra le nuvole, 
insegui le stelle, innamorati 
delle lucciole! Sì,quest’uomo 
strano, un acchiappanuvole, 
ti invita al sogno, e vuole lo 
viva con semplicità e 
innocenza come da 
bambina, ché alla gioia 
d’allora vuole tu torni. Sì, 
una favola bella che sciolga 
nell’oblio i groppi amari che 
t’hanno resa triste e rivivere ti 
faccia i soli momenti belli 
e le parole di chi t’ha amato, ti 
richiami preziose. Simile sia 
a quella che vive la piccola 
donna sua, vaga tra i fiori e 
gli uccelletti del giardino ove 
è usa stare, eterna incantata, 
ché alle sue storie forse 
crede davvero, chissà, o solo 
l’illude ! Ma le sue solo favole 
sono, briciole di sogno, vuoi 
saperle tu pure?

domenica 22 gennaio 2012

Amore lontano o vicino


Se mai tu, amore, divenissi lontano, ché rapito a te m’avesse la nera falena, vicino comunque ti sarei, tornato come eco o rimasto afflato nel tuo mondo, ché le stelle tutte, occhi che visto t’hanno insieme a miei, lì a guardarti sarebbero ancora, e forse gli occhi miei tra quelle allora sarebbero...E tornerebbe il vento a scompigliarti i capelli e la veste come accadde , piacevole il tuo imbarazzo per me, avido d’un tuo sorriso, e di quello vederti sorridere e così almeno concedermelo...Quanto tempo fa? Ora appena o come mille anni di sogno? Com’è strana la mente! Aver tanti ricordi quasi è come nessuno conservarne e sorrisi e carezze e parole tante quasi è come mai ci siano stati o mai dette, ché il nulla tutto vuol prendere, ché ormai l’età vuole essere quella che favorisce l’oblio e la confabulazione... Allora occorre ripetere le parole dell’amore, dirtele e ridirtele! E i nostri aspetti quanto già ora cambiati! Solo i sogni immutati! E io ti guardo donna matura e appena ieri eri adolescente! Grigi sono i capelli tuoi e i rimasti miei, bianchi sono. Eppure hai i diciotto anni dei nostri primi incontri, e so che, innamorata, con gli occhi d’allora, ancora mi vedi. E se la vita ha un senso, un che da esprimere con parole,ebbene vorrei siano state le mie per te, da ripeterti oggi, e le poche o tante tue che a quelle risposto hanno, e che dolci sempre mi suonano. Sono proprio le stesse che al vento di questo chinale ora dico,qual sia la forma in cui mi finga risolto, ché dolce brusio te ne venga quando esso passerà ancora tra i capelli tuoi. Vicino o lontano che io sia,tu allora il mio nome dirai e per quanto piano pronunciato, l’udrò e verrò, anche se solo tuo sospiro divenuto, a carezzarti il volto, ché la mia presenza tu avverta! Solo così, speranza ho di ritrovarti nell’immane spazio senza tempo, è la fede a dircelo, che attende le forme nostre quali saranno, purché qui l’amore nostro custodito avremo… E non ti turbi, ora che sai, che altra portar con noi vorrei dalla madre che attende chi l’ama, e che tanto generoso ha cuore di donna che se darle potremo piccolo amore, ne darà tutto del suo! Non è quello il luogo del suo per-dono, cioè della sua risposta oltre il dono, che sempre tornerà a chi a lei l’offra, come aumentato? Sì, luogo v’è del solo amore per amore, garanti ne sono oggi i nostri cuori, che imperfetti ospitano amore, pur d’indifferenza o da altre miserie talora tentati!

martedì 17 gennaio 2012

Omaggio a Elizabeth

Quest’omaggio alla poetessa
inglese Elizabeth Barrett Browning, chiude in anticipo il mio blog. Ringrazio i miei lettori per la loro pazienza, cui do appuntamento a quando potrò ancora scrivere, e spero presto, e cui segnalerò da Facebook l’eventuale nuovo sito. Soddisfo alcune curiosità. Il mio nome è Stefano Steri. Il luogo fisico di molti miei pensieri è il parco “riviera di Ulisse” di Gaeta. In questa cittadina storica sono nato circa settantuno anni fa. Mia moglie si chiama Elisabetta. L’altra donna, costantemente nei miei pensieri, è nostra signora Maria, pensata manifestazione del dio. Ho cercato di trasmettere la necessità di appropriarci di lei, della sua umiltà, del suo candore, della sua verginità, del suo silenzio…Non so perché il dio si mostri per lei, forse significarci vuole che, come accade di certe donne, che, se se ne raggiunge il cuore, si lasciano agire per amore, di simile lascia che di sé accada. Allora io ti supplico, mio dio cuore di donna, perché tu sai che t’amo, lascia che quel fiorellino, che conosci nell’abbattimento, si culli ancora alla brezza! Anche si fa cenno nei miei scritti a una, che tuttora conosco appena, ma che occupò tanto la mente mia, bambino e adolescente, e con cui non fu possibile intendersi, e a un’altra, mia fidanzatina smarrita, tenero ricordo. Tutte le donne sono icone di Maria! Sono padre di Maria Teresa, che fa la giornalista, e di Paolo Francesco, medico. Entrambi sono scrittori. Ragazzo ho frequentato l’istituto nautico nella sua vecchia storica sede. Mia moglie, vero luogo psicologico di tutti i miei pensieri, mi aiutò per la maturità scientifica perché potessi studiare medicina. Ma poi nella vita ho insegnato matematica a Napoli, nella cui università ero professore associato di analisi matematica. Il mio professore di italiano del tecnico, Mosillo da Fondi,  era un autentico dantista e mi trasmise l’amore per il nostro poeta, che durerà finché il mondo lontana. Un altro mio professore, cui devo moltissimo, fu Archita Denaro, che spero nel dio. Un autore che ha ispirato alcune mie considerazioni è Giovanni Minozzi con i suoi Evangeli domenicali, Milano 1939. Devo al rev. J. Di Concilio con il suo The knowledge of Mary, New York 1878, la mia piccola teologia sulla madre.
E’ tutto per un commiato e ne ho gli occhi velati!

Omaggio a Elizabeth

Tutta penombra s’è fatto il mio tempo e invita al silenzio. E’ crepuscolo ormai. Spento s’è rosseggiando, il sole. Tornerà? Già vi occhieggiano piccole, flebili stelle. Saranno così lontane che forse solo di mondi già morti, traccia sono. Che significano? Sono per me ricordi, passate passioni? Non so, credo che allo sguardo tuo, luminose a sfarfallare amore ancora saranno, ma non per me. Sento che tempo è che acceda agli asfodeli campi ove sognata t’ho. Oh quanta infaticabile nostalgia di te premuto m’ha il cuore gonfio! Sono stato ragazzo e lì sognatore, sono vecchio solitario e scostante talora, e qui sospirata t’ho nei ricordi di donna e in questa tutta mia. Non è tempo che ti veda? L’alba verrà e tutte le cose emergere consuete dal buio vedrò, ma tutti cocci, i sogni miei e le aspettative, son divenuti, restino alla luce tua rottami, cose crepuscolari di mondo e vita passati...
Avrei voluto donarti un cuore puro, e se le sue parole tutte ho date, sprecate quasi tutte, in questo che ho m’arde fiamma di più intenso amore, leggimi dentro! C’è tanto per te, gioia invocata, sospiri languidi, sogni audaci e ingenui a un tempo,come quelli che di te già avevo bambino...
E ora sento come un brivido antelucano, ché questa notte già tutta fuggita pare nell’attesa di te. Brev’ora è ormai questa. Rinascerò in te, ex virgine, da te? Mi sono aggirato tormentoso in questo labirinto che è stato il mio mondo, larve v’erano, ma anche belle farfalle… E m’hanno allettato, incauto, come miraggi, e agli occhi fatti cisposi, abbacinato ne sono rimasto e poi, deluso, viste le ho vaghe allontanarsi ondeggiando per altri fiori... Oh quanto dal dio mi sono stranito, quanto da te! E stanca è ormai la navicella mia da tanti marosi tormentata, ché mai sospirato porto ha trovato sicuro, né faro provvido le ha segnalato approdo di salvezza. E’ tempo che si lasci andare...Oh, sì, qui nulla certa domus! E ignara dei miei pensieri tristi, dorme questa piccola donna. Tanta ne ho tenerezza che portarla con me vorrei, ché non soffra scoprendosi, quando sarà, sola. Ma la cruna d’ago sol da soli passar consente, e con anima nuda! Oh quanto vorrei che un’anima sola fossimo diventati, le nostre fondendo, come già corpi in povero amore! Ma tu la pace le darai, quando vorrai chiamarmi, tanto dolce creatura è. Tu sai che c’è una farfalla, tutta nera maculata un po’ di rosso e di bianco orlata all’apice delle ali sue, raggiunge di questo bosco le radure dall’Africa lontana di mezza primavera, quando già di notte fanno vaghezza le lucciole, d’amore. Qui solo s’accoppierà con la compagna dolce che con essa tanto viaggiato ha. Non v’è altro luogo per l’amor loro e qui agognano venire. Ho viaggiato la vita con questa farfalla leggiadra, fa che, dove sei, il nostro amore sia, ché amata l’ho alla luce del sole e a quella delle stelle, e se tu vorrai, più l’amerò in te! Ricordi le simili parole di Elizabeth per l’amor suo? T'amo
alla luce del sole e a quella delle
candele e se Dio vorrà, t'amerò
ancor più dopo la morte...

lunedì 16 gennaio 2012

Potremmo desiderare di più?

Son qui assai presto venuto e tutt’intorno avanza il giorno...E come il buio in fuga è, mi riemergono le cose tutte e come rinate le avverto, man mano che quello le lascia e la luce soffusa le accarezza. E tutte son al giusto posto della memoria e questo riconosco come luogo ben noto e vi sono, lungo i sentieri, che cauto percorro, impervi d’incuria, erbe, arbusti, alberi dormienti e noto che aggiunte si sono rare polle della recente pioggia negli incavi d’albero e laddove il terreno l’acqua rifiuta. Sì, tutte le cose di qui son proprio come stanotte viste sopite ho sotto miriadi di stelle, tante e belle da parermi bimbe a rincorresi per l’immensità del creato, quelle del mio dormiveglia tra sonni brevi, e a occhieggiare per loro e per me, amore, il tuo, e ingenua e grata meraviglia a loro sempre rinnovo, ché tuo sogno le so. E gioia novella avverto per ogni dove e se animaletto la mente richiama, so che capolino fa sotto scorza o pietra o da crepa di muretto. Sì, credo che ammirar vuol farsi quest’universo, tutto di occhi innamorati, che m’invita ad aggiunger i miei a cercarti. E se tu attenta l’orecchio porgi, ne udresti parole non umane, che in cento modi e sussurri e suoni e respiri e pause di sospiro ti diciamo, amore. E io ti ribusso infaticato al cuore e del mio brividi ne riceve quest’aria aulente che cheta era. Ti implora che lasci che entri nel tuo e che gli occhi miei incontrino i tuoi e le mie mani cerchino e tocchino le tue, ché le so a me protese e io non so vederle! Ecco, sono attimi, ma rabbia quasi ho di questa infinita calma d’attesa e vorrei fuori venisse un torrente di rapina che tutto sconvolga, o tempesta che or ora scrosci nonostante le nubi rade, o vento dal mare che improvviso ululi rabbioso, ché t’impauriscano e ti portino a rifugiarti tra le mie braccia avide, come solo è potuto accadere in sogno. Ma tutto rimane così com’è, fremente ma rassegnato, e la mia ricerca di te deve stemperarsi, e daccapo sto a sospirarti come le cose tutte, e a braccia vuote, e trasalimento di malinconia mi prende. Avessi con me la compagna dolce! Credo la stringerei forte come non mai e carezze tante le farei a farla fremere d’amore e le balbetterei le parole che nel cuore s’affollano per te, e per noi soli s’abbellirebbe sotto al sorriso tuo, incolorandosi tutta, questa natura e facendosi canora d’uccelletti amorosi, e le cose, che tu emergere fai dal buio, sarebbero per noi come or ora ricreate per la nostra meraviglia, e la gioia avvertita prorompere da ogni dove, sarebbe la nostra...Oh grandezza d’un piccolo amore! Potremmo desiderare di più?

L'ebbrezza della speranza

Tornata è la pioggia e l’aria s’è fatta tutta aulente e intiepidita s’è
per lo scirocco, fuori m’invita e al bosco tornar voglio tra creature sorelle, erbe, alberi, fiori di ciclamino,rari funghi... E qui venuto, sento dolce murmure venire dal folto e qui e lì un sparuto uccelletto saltellare, acuto verso facendo. Sì, della vita rinnovata il fiottar lieve mi pare e v’è un giocondo sorriso delle cose or tutte tornate pure. E, nata spontanea, libera a te sale la preghiera mia, lieta di sé come se da queste cose tua risposta già ci sia, e le parole per te paiono maliose danzare in palpiti d’amore, ché ,qui incantato, novellando vado come viva un sogno nuovo di cui voglia parteciparti la dolcezza, e anticipo la meraviglia che avrò quando, da squarcio di nubi, il sole tuo vedrò a smagliare per il cielo rasserenato...
Sì, sono ospite inquieto e insicuro
della vita di qui e trasformarmi vorrei, crisalide dormiente, in tenera primaverile farfalla. O se troppo è sperarlo, con la compagna dolce, mano nella mano, camminare, e camminare cantando, ché pregare cantando è due volte pregare, se vero è che, sotto al sorriso tuo, ogni atto a due è per te preghiera. In due si spesantisce il dolore e si alleggerisce la soma del vivere. Ma fuori dalle esalazioni mefitiche delle vie d’oggi, che rodono i polmoni, lontani dal frastuono assordante dei vacanzieri gaudenti, nonostante tempi così duri, di cui la cittadina fin quasi ad oggi piena era. Ma in oasi come queste sostare, o salire , ma piano e cauti ai nostri monti, da cui si slarga la prospettiva e l’occhio gode dell’infinita varietà in cui si dispiega la tua ricchezza, donata generosa. E’ strano come da qui, ma più ancora da lì, tutto normale paia, come se nullo danno il lividume del moderno abbia arrecato. E dell’oggi tentato sono di rifiuto. Oh come vorrei con lei tornare bambino, pago della vita semplice di allora, vago d’un avvenire appena diverso, per essere con lei sorriso tuo, a giocare spensierati, a scherzare col mistero delle cose, sinceri nell’amore innocente, che, nato, si smarrisce negli occhi dell’altro! Perché non è stata lei la ragazzina occhi belli, mia dirimpettaia, che tanti sospiri m’ha suggerito e quella graziosa della spiaggia afosa che me, tremante della presenza sua, ignorato pur ha? Ma, schiavi del tempo che pur corre impietoso, qui peregriniamo una patria e l’ansia di te ci consuma, ma anche sprona e ogni fatica più leggera sentiamo, ogni amarezza come dolce beviamo, nell’attesa di te nel sogno nostro bello, ma pur animoso tra tanta mediocrità e indifferenza. Ecco ora vediamo il presente in cui viviamo di te, come un ponte sul domani quale che sia, certi che a te ci porterà. E attutito s’è il fremito dei ricordi, il palpito della nostalgia del bel tempo felice dell’adolescenza perduta, c’è solo l’ebbrezza contenuta della speranza! E tu sei questa speranza!

Amore

Oggi sto qui ancora sullo stradello bianco del chinale,che mena al mausoleo. Tutto è radioso e alla preghiera invita, ma parole adeguate mi par non ricordare... Allora che ti dirò?Oh quanto vorrei di te sola poter vivere e dirti le mie parole in una lingua nuova e belle e giuste e in altra forma, con altro suono e saperle scegliere e sussurrarti le più piaciute! Ché a me par mi venga dentro del nuovo che non sa esprimersi, come riviva or ora una giovinezza nuova, che par anticipi quella delle cose tutte qui ora sopite. Queste, tutte rinnovate, vedrai quando sarà il tempo loro, con lineamenti simili, eppure diverse, rimodellate nel risveglio dell’universa natura, ma che io già sogno ora che addormentata s’è sotto questo inusuale sole di tardo autunno. E soffia dolce il vento sul mare e lo scompiglia in uno sfarfallio d’onde luminose e l’anima repressa uscir ne vuole e vestirsi d’azzurro...E la tua realtà vicina avverto, ma velata mi resta e inaccessibile, ché mezzi poveri ho di comune umanità. E nulla v’è di te apparente. Dormi pure tu, sebbene tanta luce bagni tutto il chinale? E la mia mente non ha certezze matematiche con cui sillogizzare, e la vita sfugge definizioni, che non siano tautologie, da parte mia, e insipiente, nulla so vero di te se non congetture, ma la fede mia tutto abbracciar vuole e vorrebbe capir di più delle cose per poterle amare e vederle riverbero tuo. Ma l’anima tutta mi s’è anchilosata di positivismo, ché le ali dei sogni m’ha spezzato, e pensare che mi deriva da notti insonni spese in giovinezza... Oh quanto stupido sono stato a farmene distrarre da te! E ora ti mendico attenzione e pace! Ma nulla voglio di statico, ma impeto e d’amore, che m’arda tutto e luce che irrompa nel cuore tentato dal buio, e freschezza anche, e che sonoro sia della musicalità che or qui fa la brezza, e la luce come di sole di questo mattino che tutto carezza di teneri, appena tiepidi, raggi... E ora c’è qui il buon Pasquale a parlarmi dei cani suoi, tutte femmine, Molly, la piccola, e le due lupe Maila ed Emma, tutte egli predilige perché più docili e affidabili le ritiene rispetto a maschi. E io attento l’ascolto, rapito dalle sue storie. Ma ora di nuovo son solo e mi chiedo, verrai oggi a confortare di tuo la mia solitudine? Che stupirà e confonderà e inebrierà di quel che dar vorrai, così proprio, a questo affidabile d’amore? E le cose leggiadre tutte, tremule si son fatte, ché gli occhi mi son diventati umidi, e cullarsi le vedo confuse alla brezza, forse a sognarti come io ti sogno e anche addormentarmi con loro vorrei, ché amate le so, e così certo sarei d’amore, e al tuo richiamo con loro svegliarmi in un tempo di primavera tra mille anni di sogno.
Ma che accade ora? Ancora tutto e niente... Oh quanto liberarmi vorrei di questa scorza, capelli che nemmeno più bianchi ricrescere vogliono, rughe, occhi deboli, dolori qui e lì anche un po’, e parole dette piano o gridate, ma senza risposta! E così correre libero verso il nulla o te ! Ma questo è il luogo degli strani incontri, ché fantasmagorico è... E or incontro una della mia specie. Non è mia madre, non è la compagna dolce, né l’amica mia gentile, né l’improbabile, che era la piccola dei sogni di bambino, è solo una che dimostrarsi vuole indifferente per significare qualcosa a chissà chi, come se l’essere un po’ gentile con un vecchio maschio la diminuisca. E’ strana donna questa, tutta piena della bellezza sua da parerne imbozzolata, non puoi essere tu! Oh mandami almeno una farfalla infreddolita o un bombo solitario, che non fugga come l’uccellino che or ora posato s’era sulla via! Quanto vorrei saper dire le parole d’un canto nuovo, come vero tuo fossi da sentirmi perfino geloso delle cose che lo sguardo tuo carezzi! Ma perché inventato hai l’amore se non ti lasci amare?

Amore per amore

Freddo è qui ormai e le operose formiche del chinale tutte rintanate si sono. Per tempo hanno provveduto le necessità della lor piccola comunità e forse numerose fuor non ne verranno, se non alle mattinate tiepide di primavera... Che società la loro, tutte vi fanno del meglio e a ciascuna vien dato secondo le necessità sue! Forse con loro il buon dio ha voluto mostrare che una comunità di virtuosi, pur nel male diffuso, è auspicabile non solo, ma possibile, se ciascuno per l’altro è. Forse le comunità d’un tempo lontanissimo, dei primordi, erano così davvero. Poi venne il veleno dell’avarizia, che tutto a sé riferir vuole, e fu il tempo che male a male aggiunge. E’ una visione semplicistica, che sorridere sol fa? Ma semplice è la verità. Tutto ciò che di buono e vivo c’è, dal dio viene, l’altro è aggiunto, e da chi e perché? E lo specchio mai diventa muto, riproduce quel che gli sta di fronte, nulla aggiungendo, nulla celando. E la nostra immagine riflessa nulla ha del dio. Non è vero che signatum est super nos lumen vultus tui, domine! Niente v’è nell’uomo , nulla v’è innocente. Nihil est in homine , nihil innoxium! E la moneta nulla vale se non è di conio sicuro. E allora riandiamo alla moneta mostrata al signore. Essa vale perché c’è un’effige, una garanzia e prende un valore, l’indicato. E il padrone, Cesare, è geloso del ritratto suo e la moneta ha un valore di rappresentanza, di riverbero. Nulla sarebbe quel metallo e invece è qualcosa e per l’effige impressa! Ma in noi non c’è l’effige del dio e nulla valiamo. Che dice la moneta? Qualcuno farà un valore equivalente. E che così accadrà, è il padrone dell’effige a garantirlo, è lui stesso l’avallo. E se noi avessimo l’immagine del dio si potrebbe ben dire, ecco qualcuno di cui aver fiducia, ché garantisce il bene possibile mostrato, esso ha in qualche luogo, in qualche tempo esito sicuro, ché è di conio sicuro e di bollo autentico questo volto. Nulla di questo in noi, solo vacuità cenciosa. E il signore rifiutando della moneta il significato, vuol dirci che non altri dovrà fare, concretizzare col suo lavoro chissà dove, chissà quando un valore scemo ora,
perché noi dobbiamo ora e subito, tutto il possibile, il richiesto e più anche, non un po’ solo,l’appena, e lo dobbiamo con l’intelligenza, la determinazione, la prudenza, che l’urgenza del compito, non ad altri devolubile, richiede. E sarà la volontà, l’anima nostra intera, spirito e corpo a impegnarsi, ché si possa ben dire, ecco in costui c’è un po’ del dio fattosi or ora prossimo, ecco qui, del suo volto, una parvenza, è lui proprio il garante, ché quello che or ora si fa è bene, è opportuno, è necessario. Sì, è così proprio che al dio viene restituito ciò che è suo, l’amore, che nei cuori aridi ha seminato, ché frutto dia. Ed è a te, bella signora, che ognuno questo deve, l’attualizzazione del bene, ora qui, non domani, poi, là, oltre, non la parola astratta del si farà, ma l’immediatezza concreta del fare ora, subito. Ecco l’amore restituito al dio che ne è garante, cioè la potenzialità che si fa atto, concretezza, come, dove? Quanto la situazione esige e più ancora. E il dio è geloso del ritratto suo e lo specchio, che non è muto, nel nostro volto, dà allora proprio l’immagine tua. Nulla ha di suo lo specchio, dice cosa o chi gli sta di fronte, e se potrà mostrare qualcosa di tuo, ecco, tu ne sarai gelosa. E io mi guardo e dico, che ho di tuo? E tu mi dici, per vedermi in te ridammi del mio!
Ecco io tento, vero ti do amore per amore?

Quae potest...

Oggi più e più vanir vorrei in tanto incanto, ché già sento i pensieri miei per te quasi bolle saponose tentar di raggiungerti e poi subito dissolversi, brillanti ed evanescenti nell’aria tersa e fredda...E tremula è a oriente tutta la marina d’uno sfavillio di luci sull’acqua tranquilla. Sì, ride il mattino tutto da qui, appena dopo l’erta, ché dai due lati suoi, il promontorio tutto questo mare veder lascia e se l’una parte è da foschia un po’ velata, l’altra palpita di luce. Ed è da qui che l’anima desiderosa d’azzurro, quasi farfalla, si libra e si porta quasi bolle effimere, tutti i pensieri miei e io qui ne rimango sdoppiato a sospirare. E poi mi chiedo, chi verrà oggi a significarmi amore, il tuo? Sarà sorriso di donna gentile incontrata, o dolce brusio che fa brezza dal mare nello stormir tra frasche e fra caduche foglie di piante, che or tutte dormir vogliono? E corre la fantasia mia e la dolce immagine della donna mia viene e abita la mente tutta, ma anche quella della donna che tanto lambirono, ragazzo, i sogni miei, capolino vi fa. E poi tante altre pur care, ma trascorse, a farmi dolce tintinnio al cuore e tra tutte il volto dolce della madre cara, a carezzarmelo. E mi chiedo timoroso, potrà questo tuo amore, che nelle sterpaie del cuore mi semini generosa, salvarci e farci ritrovare in te, poiché tanto il male soggiogati ci ha, o sarà più facile, che quella che già bambino sapevo, or qui proprio incontri, evento che tanto improbabile penso? E so così di tentarti un po’, incauto forse, in una scommessa di sapor pascaliano, e aspetto un tuo cenno, titubante, in questa ingenuità che sa d’infantile e che così congetturar mi fa, e guarir non vuole! E così vero quella qui proprio or ora viene con compagna sua, dolce conversando, e del bel dialetto loro, quello della città antica, poche parole carpisco. E io, che mai in quella sua lingua sentita l’ho, un po’ sospiro, stordito un po’... e non so che fare e saluto e quelle pronte, cortesi, lor cenno fanno. Oh quanto vorrei con la compagna mia, che so vinta d’amore, anche questa portare là dove sei a sentir le tue favole belle, sì, irretita, arresa all’amor tuo casto! Quae potest capere, capiat!

Pena di madre

E’ da qualche tempo che scrivo, prolisso talvolta, dei tentativi vani di avvicinarmi a te, ma tanto complicata è questa psicologia d’amore, che devo dire e ridire nel tentativo di capirmi e capirti, e, con presunzione forse, ad altri un po’ poter servire... Tu a me le braccia tendi, ma che o chi m’allontana? Temo mi respinga da solo e ancora sarà una metafora a dirne il perché. Ma, se flebile sono divenuto, non è forse vero che intrent ut astra flebiles? Voglio sperarlo! Qui, nel bosco in cui vado oggi solitario, gli aspetti di vita non tutti belli sono... Accade di primavera che, dopo una ventata, nidiacei cadano e facili prede siano, e tu vedresti allora madri disperate della sorte dei piccoli loro, ché incapaci sarebbero a riprenderli e riportarli in nidi di necessità nei rami alti, ché non accada che i sempre famelici li raggiungano. Così come qui accade, nel mondo v’è di simile...
Che pena per una madre veder un figlio smarrito, scegliere la morte lenta, la distruzione sicura del proprio sé, e talora completa quella del corpo! Quanto amore e fatica è costato accompagnarlo nella crescita ed educarlo! Quanti sogni quella madre deve aver fatto, con quanta trepidazione deve averlo seguito nei progressi suoi e vederne, soddisfatta, le prime conquiste! Poi è cominciato il malessere dell’adolescenza e il gregge cui si è affidato l’ha fuorviato. Qualcuno l’ha ingannato, l’ha irretito. Ecco il perverso gioco di lasciarsi andare un po’ con l’illusione di poterne venir fuori... E’ una truffa che la vita sia più facile se alle polverine ci si abbandona, e s’apre il baratro e si chiude il cielo. Vita da incubo, sempre più degradata, desolata e sola anche in mezzo a tanti! Chi lo cercherà, chi lo trarrà fuori dalla spirale perversa in cui s’è cacciato, chi, come con passerotto sperduto, lo riporterà al nido? E dire che quel figlio era stato pur buono, docile alla voce cara della madre sua, e anche si piegava ai consigli del padre. Quel figlio era un fiore, ma poi un vento ottuso è venuto a scompigliarlo e forse via a strapparlo! E dire che in questo mondo difficile, che qualcuno ha reso stoltamente più insicuro anche con la difficoltà e la precarietà del lavoro, muoveva bene i suoi primi passi, aveva primi successi. Era l’aurora d’una vita! E poi la follia dell’imitazione e ne è stato travolto. Ed ora chi avrà tanto coraggio a ritrovarlo, a riportalo a casa per guarirlo o farlo guarire? Madre, io ho visto questo dramma, l’ho toccato, ne sono io stesso, medico, rimasto atterrito, pensando che sorte simile potesse toccare i figli miei. E’ struggente questo spasimo di vedere così una figlia in boccio, lei che si pensava destinata a cambiare un po’ del mondo, così un figlio, lui che prima da forte affacciarsi voleva alla vita...
Andare bisogna, ritrovarli, strapparli dalle malie infami, prima che si inabissino di più, che scompaiano nei gorghi e ne muoiano. Ed è lurida la viltà di chi si crede al sicuro dal problema, sicuro sotto al tetto fittizio delle esenzioni presunte. Illusione! Ed è superba, è arrogante questa umanità illusa, ancora non ha imparato che, se l’altro si perde, è un po’ o molto del proprio sé che si inabissa. Oh quanto misera aberrazione è pensarsi sicuri, perché si ha credito, consenso, fortuna , denaro! Viene il male anche tra gli illusi e stupidi. Ma tu anche veder puoi chi ha coraggio, chi s’è impegnato per gli altri,è giovane pur esso, è un prete fin’allora sterile curatore d’anime, un medico prima voglioso solo d’affermazione personale, un generoso volontario del sociale. E’ uno che ha preso coscienza del problema e va. E costui non s’arresta, non ha stanchezza, lo porta l’amore! Oh madre cara, aurora in tutte le pene, proteggi la determinazione di chi vuol spendersi per l’altro! Fa che in tutti i provati, genitori e figli, torni il sereno, il sorriso splendido d’una madre, la gioia intima, l’orgoglio di un padre, la speranza nella vita d’un figlio. E’ questa metafora di quel che m’accade? E’ accaduto che dopo il vento forte di una notte, un uccelletto dal nido suo caduto, abbia trovato di primo mattino, in questo bosco venuto. L’ho raccolto e sicuramente salvato lì lì da predatori, ma poi a mani amorevoli di donna l’ho affidato...Ho pensato di far meglio, ma ho or ora appreso da lei, che nonostante le cure, la storia non ha potuto aver un seguito e me ne sono amareggiato. Ecco, il mio dramma è qui tutto, ho iniziato, poi pensando altri migliore, ho preferito affidargli il bisognoso di attenzioni. Ho sofferto al cadere di tutte le mie illusioni quando l’epilogo non è stato buono, e un torpore nel fare è subentrato. Ho sì avuto lampi di risveglio, ma ora sono desolato delle mie passate rinunce a far di più, e pur è il tramonto degli anni miei... Ma niente, né la severità del giudizio a posteriori, che m’attoschi il ricordo di fatti lontani, né la stupidità di sempre, né l’ostinazione prima ribelle e positiva, né i fangai della viltà in cui mi sono talora cacciato, mi impediranno di gridarti la mia preghiera accorata. Salvami da me stesso! Che m’accade?False forse immagini di bene, suggestione torbida di essermi pur speso al tempo mio, ma pure brividi di sensualità, e forse volgarità laida, nel fondo del mio cuore dimenticati, quelli di quand’ero ragazzo in anni difficili, tra coetanei difficili, mi riappaiono improvvisi e ne ho vergogna...E’ questo l’epilogo della vita mia, il non voler ricordare, ché subirei il passato grigio e triste spesso, anche difficile agli inizi, da emarginato,ché di classe onesta, ma assai modesta ero, e ora il presente misero con pure pruderie tardive di vecchio? Oh quanti doni, quanti richiami da te a una coerenza maggiore, disattesi! Ho fatto davvero poco, nulla forse, e forse di più potevo, sì non ho lottato abbastanza per gli altri e perfino per me stesso! E ora sento spenta la gioia, e distrutta la pace del mio cuore. Ché talora sono rimasto imbelle al caldo focolare dell’amore della donna mia, immeritato, rifugiandomi tra le braccia sue a ogni, forse colpevole, disillusione! Un cuore tranquillo il suo, che ho reso ansioso, depresso perfino, e per l’egoismo mio e l’insicurezza mia! Ero nato perché l’anima mi si invilisse tanto? Vero ho tanto disatteso il tuo sogno e anche il suo? E’ me, madre, che nidiaceo del tuo amore, ora caduto, ché vento ostinato te l’ha strappato, devi far ricercare nei meandri scuri del rimpianto e forse della colpa. Ché mi sono drogato d’autoanalisi e ne sono rimasto intrappolato! Allora chi lo farà? Chi lo potrà? Nessuna donna che ti vicari lo può vero, se non la sostieni! Questa mia, che tutta s’è da sempre spesa per me... e sono state le sue, le tue mani, ha tanto amore, il tuo, ancora per questo indegno! Nessun’altra c’è, e non vorrei altre che voi sole..., ché so che è solo voi che lotterete per me ancora e ancora, e non lascerete che mi perda del tutto! Io o sono l’anima recuperabile di quest’amore, e questa sua volontaria a te mi riporta, o sarò nel nulla! Ma tu sola, supplice la mia preghiera,spezzerai questa voluttà di morte che m’è venuta, nella sensazione sgradevole d’aver sprecata la vita! Oh sbagliassi duro giudizio!  

La ficaia sterile

La compagna mia, che delle piante sue sempre avuto ha occhiuta cura, oggi mi mostra una ficaia insterilita dell’orto suo e se ne lamenta: questo è un albero che non vuol più dar frutto e la legna che ne ricaverò non sarà buona nemmeno per il focolare! Ha ragione...Ha già analizzato le possibili cause del manco di buoni frutti e tutto imputa all’ombra che ne getta questo maschio prepotente di carrubo, che del tutto ha soggiogato la femmina sua e ora sul fico, che gli vive accanto, getta l’ombra sua. Penso corretta l’analisi sua, ma credo in parte, le consiglio nella stagione morta che avanza, di riparare con buon mastice le numerose crepe che gli anni hanno aperto sulla corteccia, che talora non accada che fungo letale le infetti, poi la rassicuro che l’aiuterò nell’operazione faticosa di vangatura e concimazione tutt’intorno, e quanto al prepotente vicino, chiameremo chi provveder può a tanta manifesta invadenza, con saggia potatura.
Ne sembra tranquillizzata e andar mi lascia per la solita passeggiata delle rimembranze e dei propositi... E quando solo sono qui, la mia preghiera spontanea inizia dalle considerazioni della mattinata e ti chiedo. Farai di simile per me, insterilita pianta, dell’orto tuo? Io ben so che la fede occorre che frutto faccia. Estender deve finché qui vive, speranzosa della pioggia aulente, che da te le venga, i rami suoi al sole vivificante, allora frutti ne darà abbondanti al tempo suo e con l’opportunità che darle ancora vorrai.
Ma se ombra c’è su questa pianta chi o che me la fa? Forse il passato greve che ancor m’attosca la mente o ciò che, ricorrente, più ora mi fiacca il cuore fisico? Ma più ancora questa fede mi pare femmina serena e bella, che liberarsi voglia dai veli del tempo, camminare in umiltà regale, salda nei piedi, al bacio della luce che le mandi, sole suo divino, e a mostrare a occhi increduli, tutta la bellezza sua. Può ancora crescere fascinosa,
qui confortare di concretezze le richieste, lì confortare di parole bastevoli, altrove stringer mani o sorridere soltanto, quello che basta e richiesto viene. Sempre sorveglierò che scevra sia di astrattezze parolaie, esangui fantasie, esili giustificazioni di rimandi ed esenzioni. Sì, urge che sveli la fede, che tutto m’arde per te, la faccia tangibile nella concretezza di gesti d’amore provvido. Ma lottar devo, per non ridurmi ad acchiappanuvole, uno che tanto spesso si lascia cullare nelle lusinghe maliose di questa natura fascinosa e catturare dagli sterili ricordi e indulgervi...Sì, non sono ormai che pallidi fantasmi tutti i ricordi miei! Quando smetterò le evanescenti fantasie su donne del passato? Non ho forse due amori ben concreti, il tuo e l’assai dolce della compagna, non bastano essi per il cuore tutto? Anzi,credo che esso ne trabocchi! E ben passerà il vignaiolo dalla vigna sua, il mondo tutto, e mi chiedo se vedendomi senza frutti, penserà che sia in riposo annuale, mi poterà sapientemente eliminando i miei sarmenti inutili e i succhioni, che forse sono pensieri parassiti della mente mia, mi concimerà zappettandomi tutt’intorno o deciderà che bene vado per il solo fuoco? Ma tu frena l’impazienza sua, fa col figlio tuo, come stamane ho fatto per il fico di scarso frutto con la donna mia. E mi chiedo, riuscirò nel breve che mi resta a non deludervi? La mia volontà di assecondare gli stimoli tuoi diventerà operativa? Tradurrò veramente in sangue mio la tua volontà e l’avvertirò com’è, vita della vita?No, non si insterilisca la fede mia in immobile contemplazione, la tua bellezza mi mostrerai, ché ben s’eternerà questo mio tempo, per ora la sospiro, ma nemmeno l’amore per te può solo consistere nel guardare nei fascinosi occhi suoi questa donna, amabile sempre, cercandovi il tuo volto. Ella pure, solo umana, chiede che l’amore di dentro si sveli in concretezze e non si addormenti nel morbidume dello scontato, e se garantito è il sì per lei detto una volta, lo vuole rinnovato. E so che il suo sì va conquistato giorno per giorno, ora per ora. E certo tu diversa donna non sei... Devo far concreto, l’amore mio, ché fino a te possa salire. E l’anima mia è forte ancora e pensa di stringerti con braccia forti quando sarà che lo vorrai, così come quest’uomo ancora fa con la donna sua. Ho nel cuore una verità che mi grida, vuole uscir fuori per amarti in tutti. Ma a volte non so riconoscerti bisognosa di me negli altri e benché apra le orecchie e gli occhi del cuore e li pieghi, umile, verso quelli, lì non sento e vedo. E’ allora che devo uscire un po’ dall’assordante strepitio, dalle mille parole senza senso e raccogliermi nella preghiera, e qui vengo tra i mille sospiri delle cose. Sono loro la tua lingua arcana, sono la tua preghiera che mi sollecita amorevole a non chiudermi in me stesso, dove ho un abisso senza luci, suicidio orrendo, e mi spinge ché sonnacchioso non resti e mi dice che è negli altri che più vicina mi sei e da lì che mi chiami nostalgica e mi tendi le mani, ansiosa di me. Ed è così che di nuovo ho certezze, so che il male che reco nel ricordo finirà con tutto quello che sempre aleggia nel mondo e che il bene che faccio o tento dalla mia finitudine, resta e regnerà col bene che tu sola sei. E mi dico, va, incontra, tenta di dire e di fare, incomincia or ora la vita tua! E sarà la mia sensibilità umana a guidare i gesti e le parole in significativi atti d’amore,per gli uomini tutti e le cose tutte, che solo l’insensata follia umana ha reso ben miseri... E non mi importerà del successo e del consenso, il mio è e rimarrà amore per te che se negli altri sei, allora in me proprio t’ho e più non voglio perderti! Sì, per te sono ancora nella mia giovinezza turgida, fede e speranza di te ben salde ho, e l’amore, che mi resta, fecondo ancora sarà e lo getterò nella “fiumana che dalle sorgive acque del cielo corre ai margini estremi del tempo”, che pur vanirà. Tempo poco forse è per me, e io non so per me e questa donna, che dato m’hai, quanto si viva qui insieme. Ma certo sono che la ritroverò e saremo in te, non è questo lo scopo della vita a due d’amore? Sì, ritrovarsi! E non ho segreta la speranza che tutte le altre incontrate, tentato d’amore, acerbo rimasto, pur da te verranno, anche se non a me? Che te le porterà se non questo amore, questo tuo amore, che ora sento appartenermi? Ma con questa piccola mia donna, una venire ad deum, qui laetificat iuventutem nostram! 

Sognaci aquile

Chiamano altrove la caduta questa stagione triste, ché foglie tante accumula, e qui per i sentieri e per le vie, ai margini, che tutto traversano questo bosco. Mi piace il loro crepitio sotto i miei passi solitari e vani. Sento che tutto qui celarsi vuole e dormire...Che sognerà? Presto verrà freddo e pioggia anche, e già quella caduta rinverdisce il muschio e qua e là piccoli steli spuntano a raggiunger la luce e il bosco è ormai tutto capolini di leggiadri ciclamini prima venuti che dai bulbi ne spuntino foglie...Tanto è qui che vengo da percepire le minime variazioni della natura nelle cose sue, tutte belle! E' così che ne ricevo la sensazione arcana che ogni sua creatura è un me stesso, sì, io in tutte e loro in me, sono. Sento qui solo, te palpitare e gemere e pregare e attendere me e queste compagne tutte,ansiosa, e qui proprio sento d'amarti in tenerezza e gelosia. Sì, questo mi suggeriscono le piccole creature di qui e mi fanno dire degli altri uomini che caduta è la distinzione delle parole amico, nemico. Tutti qui sento compagni di uno stesso lungo esilio, e in ogni pupilla so che c'è lo stesso sorriso o la stessa nostalgia o la tristezza, ché tu stessa li hai di vederci in angustie tante e poca gioia. Sì, vivere è il supremo anelito delle creature tutte, e in te. Ma io viver non vorrei senza chi con me condivide speranza tanta e poca gioia. E ha caricato sulle sue spallucce gracili la mia pena e me l'ha resa più lieve...Anche ora che qui non è, la guardo negli occhi belli e mi chiedo, la porterò dove vado? Sì, laddove sei o nel baratro del niente, fatti indistinguibili per il cielo o per il nulla, tanto è quest'amore! E io a pensare di perderla, ora mi sento smarrito, non in questo bosco, ma in selva ignota di cose tutte nere, che non è un posto, sta dentro! E si fa notte nel cuore mio, senza lumi e senza echi. E allora per non smarrirla, ora che è lontana, mi fingo di tenerla per mano. E finché sento la sua piccola mano nella mia, ché tante volte l'ho tenuta così, la speranza dell'alba non m'abbandona...E vieni tu al fine, sola nostra luce, e io la stringo cuore a cuore, sogno a sogno, e gli occhi suoi sono i tuoi proprio. E se le braccia ho piene di lei, è te che stringo e non ti lascerò fuggire ancora! E pur verrà vero questo tempo, solo or ora sognato nella mia preghiera muta, a inghiottire la superbia di qui e le parole vane dei saccenti e il luccichio dei loro orpelli e la loro tronfia insipienza delle cose tue. Si, divina, tacciano tutti, parla muta tu sola, fallo per le cose tutte di qui. Guarda, è bella quest'ultima pace, si cheta l'infelicità dell'attesa e scema il dolore delle cose nell'oblio e tutte addormentarsi vogliono tra le braccia tue. Sono stanco, busso alla porta del cuore tuo...Se mai aperto m'hai e detto, ecco, io ho scordato, fallo ora! Sono povero, sono solo. Non è qui la compagna dolce a farmi sognare, altre cure ha e il mio sogno trascura... Prelude ad altro la mia preghiera? E a che potrebbe? E' lei sola il tutto di te che posso avere! E qui murmure ora c'è di sospiri, è la voce delle cose tutte di te innamorate. Verrai per noi, creature tutte sole? Nella cappelletta, detta della solitaria, nella parte antica della città, alla seconda sua porta, l'autore dell'icona, che tutta sola t'espone alla devozione o all'indifferenza, ha aggiunto una tredicesima stella a quelle che ti inghirlandano il capo...Chi sarà mai? Tutti siamo qui, l'uno nell'altro, comune dolore, comune speranza, comune piccolezza... Ecco qui due piccoli tuoi, quella del mio cuore e io stesso. Voglia abbiamo di venirti incontro...Ma tu dove sei? Qui solo lo scricchiolio di foglie morte sotto i miei passi grevi... E daccapo mi prende la tristezza e lo smarrimento nella selva del mio stesso cuore. Ma verrà pur qualcuno a parlare delle solite banalità, stamattina, e di donne! Mi contenterei! Ma io di tutt'altro bisogno avrei, aprirmi al miracolo della natura e vanirvi, essere, e da te, condotto al miracolo della fede e restar sicuro nella speranza sua, e, con la convinzione del cuore fatto puro, postulare il miracolo che tu illusione non sei e attendi me e lei, la sola mia, al di là della superbia del tempo. Oh quanto vano e crasso è il pensare di qui e quanto ora grossolana e povera avverto anche la preghiera mia! Madre, destami da questo sogno da incubo! Trasforma me e la compagna mia in aquile che osano guardare il sole e andar verso la sua luce. Sì, dacci occhi puri da penetrare cielo e inferno, sognaci vanire in te! Che ci facciamo, uccelli per il tuo sogno, ancora in questa forma greve? 

Come fa il vento

Tu sai che fa qui il vento da occaso, tutto sconvolge, e la costa tutta di marosi rabbiosi batte e le piante tutte del chinale e gli alberi del bosco qui tormenta, e poi pioggia copiosa ne porta, a far la felicità solo della donna mia, che, paziente, l’ha attesa per il suo campetto a lungo arso, ché preparar lo deve per piante novelle. Ora sai che così il mio cuore è tutto in subbuglio, il fisico e il metaforico anche, e non vuole che stanotte dorma. Tante lamentele ne porta e pensieri bui, che ne escono da una sua latebra, come veder puoi già di primavera da un recesso venir fuori al crepuscolo neri pipistrelli, sciamare nella notte imminente, che solo l’alba fugherà. E così sarà di questi miei pensieri? E questo cuore, che pianger vorrebbe di quel che avverte, si cheterà con l’alba? Bambino, mi dicevo per non cedere, piangerò poi, ma spesso m’accadeva che dal cuore gonfio, giù per gli occhi, improvvise, tante lacrime versassi, per un gatto morto sulla via o un topolino e perfino per una lucertola dalla coda mozzata, anche sapendo che ricresciuta le sarebbe, o una mosca, notando che aluccia perso avesse. Ero fatto così. E ora che un po’ bambino sono ridiventato, a chi almeno dirò le pene d’oggi? Ascolterebbe la donna mia, ma poi si farebbe triste. Invece, bambino, la madre mia, ai miei piccoli o grandi crucci, un po’ mi commiserava, ma poi ne sorrideva invitandomi a fare lo stesso, ché fuori il sole sempre c’era e, seppure contrasto avessi con qualche amichetto, tanti ne rimanevano a condividere le mie iniziative di gioco... Oggi non è così. Ho ascoltato, mi sono spesso intristito alle storie confidate, e ho cercato di dire parole di conforto, sincere. Poi, medico dei corpi e spesso, così, anche delle anime, sempre disposto all’ascolto come proprio erano il buon Esculapio e le figlie sue solerti, tutto ho celato da gonfiarmene il cuore. Ma per me non è stato mai così. Non ho trovato empatia, se non in questa donna che, per amore, tutto di me sempre conoscer vuole, da farlo suo e poi ne diventa assai triste ed è lei che confortar devo, minimizzando il mio, ché lei ne resta in angustie, finché, dopo giorni, di un nonnulla daccapo ridiamo. Ed è bella quando ride, ché tutta rosata ne diventa, abbandonandosi. Siamo una coppia così, un po’ predisposta al triste, un po’, ma sempre più raro accade, indulgiamo al riso, ma mai di persone o lor accidenti, solo ridiamo di noi e anche dei nostri ricordi a due, di fatti bizzarri talora accaduti... Ma intanto, se parlassi ora di ciò che mi capita, giorni di tristezza a due ci sarebbero ancora e non facili da scordare. Meglio sarebbe chiamarla stanotte per voglia di concretezze, ne protesterebbe un po’, assonnata, e dicendosi assai stanca, per arrendersi poi alle mie insistenze, ma così per quello che da dirle ora ho, sol male le farei... Allora meglio, e per tutt’oggi, sarà dissimulare. Ma gli occhi suoi sembran fatti per leggermi il cuore, e dire che tu ben nascosto l’hai, e talvolta vi riesce, ché intuito ha quel che dovrò pur dirle alle sue insistenze, e l’epilogo sarà il solito e talvolta so che ne piange in segreto... E’ come tenera formica che trascinar vuole troppo grande briciola, un po’ vi riesce,ma poi se ne stacca e un po’ intorno va per ritornare a nuovi tentativi, ostinata, ma poi via la vedi corre a cercar chi con essa ne sostenga lo sforzo, ma questa mia non troverebbe e se ne dispera... Allora forse sono proprio solo e forse troppo, ché prima ero uno che aiutar poteva, oggi di attenzioni, di conforto per me vorrei e non trovo... E mi chiedo è lei che ti vicaria, o t’ho ridotta a sua vicaria? Vero tu, afona sempre, ascolti? Sei la mia Igea e la mia Panacea, ché conosci il mio male e ne sei il rimedio, o stanca sei delle lamentele mie? O come accade alla mia donna, delle debolezze mie, ella lo dice di sé, più per esse m’ami? Davvero tu vuoi bene a quest’uomo vecchio e debole da sempre,intristito un po’ per propensione e più dai contrasti e ora da affanni che l’età acuisce?
Perché non lo gridi allora a questo sordo, o dici in qualche modo, comprensibile a sprovveduto, anche senza linguaggio umano? Noi proiettiamo sulle cose tutte il nostro stato, vediamo cose tristi se tristi siamo, giudichiamo belle e amabili talune, se siamo predisposti al sorriso e alla bellezza. Allora se tanto qualcosa mi turba, come confortarmi potrai? Eco, la ninfa rifiutata del mito, da sé ai suoi lai rispondeva..., e se le parole sussurrate dalle cose sono solo le mie stesse, chi di nuove e opportune ne dirà? Dovrai inventarti qualcosa! E forse passa con l’urgenza, l’efficacia della mia preghiera! Ne resterò disperato? Piccola donna sei nei sogni miei, ma come la mia, cuore grande hai , e tante richieste vi faccio di un po’ di tenerezza! Troppo è che voglio?

venerdì 13 gennaio 2012

Le monachine

Bambino, lunghe erano le serate d’inverno. La mamma cucinava a legna e quando il fuoco faceva, me ne stavo un po’ a osservare le faville che ne sprigionavano e che rapide per la cappa salivano a dissolversi...Sì, le monachine! Non so perché così le chiami la fantasia, dev’essere perché par celino il loro splendore, come facevano le ragazze, che, innamorate del dio, velavano la bellezza loro al mondo. E tante se ne sprigionano da legno vecchio scoppiettante e più ancora se il ceppo che arde battuto sia, liberato della carbonella che lo ricopre in superficie, ché allora meglio brucia. Sì, attizzare così il fuoco talvolta occorre...Così a breve farà questa donna, che, previdente, tutta l’estate ha fatto nuova legna, cura avendo sapiente degli alberi suoi, per bruciarla, a freddo venuto, nel nostro focolare. Vuole così, le piace far caldo alla maniera antica, e io presto sarò alla sua fiamma, appisolato un po’, a sentirla dire i fatti del giorno o assorto nei pensieri miei, quand’ella abbia altre cure. Sì, il freddo già s’annuncia e qui dove viviamo nella casetta di campagna, arriverà improvviso e male sarebbe non avervi provveduto. Ma, ti chiedo, non ti par questa del ceppo che arde in provvido fuoco, metafora di quello che per te esser vorrei? Io son ciò che brucia e d’amore, che è come fuoco che illumini e riscaldi. Tu di quella fiamma sei l’aria tutt’intorno, che viver la fa. Sì, senza te niente c’è nell’uomo e di innocente, niente tanto puro da manifestarsi amore, niente capace di mantenerne la fiamma. Ecco se tu per un po’, il fuoco che sogno, mantieni con l’attenzione a quel che dico, un uomo vecchio un po’ e stanco, appisolarsi gli si potrà vicino, nell’io suo sdoppiato, a far la fiamma e a goderne. E come un ceppo arde, così quello del sogno in fiamma, ma d’amore, si dissolve, e le faville, le monachine che ne nascono, son le briciole sue e significano il frammentarsi, il ripartirsi di quest’amore, il suo struggersi ché altri segua il fuoco là dove andar vuole, verso le stelle. Sì, sono le monachine, pensieri, desideri, e dicono della fuga alle stelle e vogliono che altri segua questo destino d’amore. E occorre celarli gelosi tanto che effimero ne paia lo splendore agli occhi del mondo, ma che in altra forma, in altra realtà rinascerà più fulgido in un sogno tutto nuovo, il tuo sogno, che il mio povero continuerà e magnificherà. E se ardo d’amore in questo sogno più bello, chi portarvi vorrò? Di sicuro quelle che interpretato t’hanno sulla scena del mio mondo, sguardi per me palesi o accennati, dolci nelle parole loro. Sono state tante e sussurrate? Non so, sono state! E quelle delle parole amare o negate anche, tutte coinvolte in questo tuo sogno, mio nuovo. E nella realtà tua ritrovarle, una sola per tenermela ben stretta, altre solo per saperle nell’amor tuo, felici...E poi gli altri tutti, i protagonisti della mia vita. Buoni taluni e pochi altri di parole solo cattive per me. Nemici questi hanno voluto essermi, non richiesti certo, non immaginati, sperati altrimenti...Solo nel tuo amore completerò il comando di amarli tutti. Più che perdonarli, li cercherò per averne perdono. Sicuro ho avuto colpa nel comportamento loro ostile. L’ho cercato inconsapevole? Non so, di certo l’ho meritato. Forse solo con parole suonate sgradevoli, inopportune, senza cautela, o atteggiamenti pur fastidiosi e incauti, forse sol mal interpretati, comunque colpevoli. Tal male quasi mai viene senza colpa alcuna di chi lo subisce. Appunto per la natura sua è sproporzionato, si prende tutto del malcapitato, eccessivo. Poi c’è più duro il male per l’innocente, più incomprensibile, ma io lo sono stato solo bambino e lì ne ho dovuto gustare l’amaro. Ma quello da adulto avrei dovuto e forse potuto evitare, se veicolato mi veniva da persone, delle quali ho certo sventatamente suscitato invidia e rancore, inducendo in loro una rivalsa sproporzionata e peccaminosa. Forse prima dell’incontro con te, prima che m’entrassi nel cuore, nulla v’era di innocente in me. Nemmeno il rumore dei miei passi, nemmeno il respiro! La mia fisicità è stata ingombrante e la mia presenza ha forse disturbato l’armonia di altre vite. E or nel progetto dell’amor tuo, tutte le vorrei coinvolte. E questa fiamma d’amore consuma la mia fisicità, come ceppo che arda e che qualcuno batta ché meglio bruci e le faville sue mandi per la cappa, porta al cielo. Sì, mi consumi l’amor tuo e i colpi della sorte accelerino il dissolvermi tutto anche in monachine. Pensieri casti sono esse per le donne della mia vita, propositi buoni per tutti, i malvagi anche. Sì, venga l’avversa fortuna, mi disperda in te, annientandomi, fuoco d’amore avrò dato e tante monachine. Sono ora, in questo sogno, esse stesse persone, quelle di tutte le mie parole. Verso l’alto corrono, anticipano perfino la fiamma in cui ardo, la precedono, la vogliono portare lassù dove sei. Ma ora tutta cenere vuol farsi la legna di questo focolare e tutto questo vecchio infreddolito s’è, assorto nei sogni suoi. Chi mi riscalderà? Ma già la donna mia mi chiama... è lei il mio calore, è lei il tuo amore qui, e ora scaldarmi vuole, ché con lei m’addormenti. Ci aiuterai ché questo tenero amore s’eterni? Oh quanto vorrei sapertelo dire!

Luogo v'è

Luogo v’è nel cuore in cui sito hanno le favole. Grande è nell’infanzia, poi si riduce, per esser quel che si vuole all’età mia. Molte esso ne recepisce, altre vi nascono, per esser subito scordate, incomplete qual sono o accennate appena, ma per riemergere talora, come a me accade nell’addormentamento, ed essere completate dolci o amare, proprio come le esperienze di quel giorno suggeriscono. Questa natura stessa, che ora visito, con la variabilità sua par pretendere di influenzarmi nel contagio che sempre subisco del fascino suo arcano. Che ne nascerà oggi che il cielo par voler piangere sulle cose tutte intristite? Ma non è a cose tanto tristi che penso oggi, nonostante queste apparenze. Ché ben diverso accade qui di primavera e ricordarlo è sognare. Il chinale allora è tutto d’erbe novelle e di fiori, e brezza dolce dal mare vi fa carezza. Tra le essenze tante prevalgono i gialli nelle tonalità loro. E questi fiori le lor corolle al tiepido sole distendono per attendere pazienti dei bombi rumorosi le visite assidue o delle farfalle leggiadre quelle più incerte, ché vaghe quelle son di fare, come da noi, femmine belle coi fiori loro. E così tra similiari presenze aulenti, ecco la mia favola, accadde un giorno di mezza primavera che si diffondesse la nuova che la fata dei campi volentieri avrebbe visitato il loro, per accertar della sua provvida ancella, la natura, il ben riuscito lavoro. Nessuno ne conosceva l’aspetto, ma i fiori tutti convennero che di assai bella e dalle grandi ali farfalla dovesse trattarsi. E fu allora che in un piccolo fiore, dalla fantasia più accesa di chi appena affacciato s’era a quel mondo variopinto d’incanti, fece capolino la speranza che la bella su lui un po’ avrebbe sostato, frugato tra i petali suoi imbrattandosi alle antere le zampette di polline, e al nettario gustato un po’ del suo dolce contenuto. E avvenne che un oh oh lungo di meraviglia presto si diffondesse, ché la più bella farfalla mai vista quell’anno, vaga ondeggiò per il chinale tutto, qui o lì sostando ai dolci suoi fiori. Ma il piccolo fiore escluse. Ne rimase deluso e dispetto. Ma poi pensò che pur bello era stato il sogno suo d’aprirsi alla speranza dell’amore della fata, e proprio un suo dono forse era il poter sognare e, a guardar bene, grande era la fortuna di esser fiore a questo mondo, e disponibile perciò al tocco dell’amore. Così ancora al sole, generoso con tutti, sorrise riconoscente... Così proprio dirò di me. Io ancora ero nel nulla e già qui qualcuno sognava di me. Poi venni a sentir amore della bellezza delle cose tutte, fiori di primavera, alberi d’autunno, nuvole e pioggia d’inverno, lucciole e stelle d’estate e canti, canti d’uccelli innamorati. E venne anche una bella, creduta fata, a interessarsi a me proprio, ma le mie richieste d’amore tutte deluse restarono, ché oltre quella passò. Ma se quella ti significava un po’, capii che già fortuna era stata di te poter sognare anche solo un po’. Tanto difficile è qui l’amor tuo trovare, che pur dispensi a mani d’oro! Tutte le cose occhieggiano della presenza tua, ma non sono le belle apparenze, che più ti significano, anche se indubbio di te recano, ma le buone più rare, che imparare occorre a riconoscere. E così quando una piccola leggiadra farfalla proprio per me arrestò i voli suoi, tu dovesti dirmi che era proprio lei la giusta per me, tanto instupidito ero da più appariscenti presenze, e che se io amore le davo, era in fondo te che amavo.
E’ questa la mia illusione? Ma se è questo il solo modo per darmi dell’amor tuo io ne sono ben fortunato! Qual sogno più dolce viver potrei? E non è già il sognare un tuo dono e grande?
E l’amore che è, se non sogno? E partecipare al tuo sogno è essere amore nell’amore! Sì, ché tutto quel che sogni è amore. Tu proprio nel desiderio della madre mi sognavi, quando ancor nel nulla ero, e mi volesti amore nel suo e tuo amore e ora in quello della mia piccola donna. Sono le stelle più fortunate?

L'epiclesis

Talvolta qui accade che il cielo tutto si veli minaccioso e che un vento fresco quelle nubi grevi ai monti del golfo addensi. E’ così oggi, c’è il libeccio che quasi sempre la pioggia porta se non qui, sul promontorio, sui nostri Aurunci. Viene a infreddolire gli alberi tutti e gli abitanti loro e ne sconvolge foglie e rami, e anche la sterpaglia del chinale agita e le presenze sue spinge a rintanarsi, ché qui tutti presagiscono la pioggia, anime ed essenze, arse dalla lunga calura. Verrà? Io che al solito incauto senza protezione adeguata mi sono fin qui avventurato, cerco frettoloso di guadagnare l’uscita da questo parco. Ma poi sostare devo un po’, al muretto appoggiato. E ora le cose tutte, che inscurite ha l’aria greve, mi paiono deluse. Le nuvole hanno scavalcato il promontorio e luce di lampi veder puoi lontano da nubi assai scure che di una linea giallastra segnato hanno l’orizzonte e di caligine. E’ lì la pioggia! Ora a me tutto sembra invocare la pace dopo questo inutile subbuglio. Così faccio io, ché tanto accorata è questa richiesta da sembrarmi l’epiclesis di certe comunità che lo spirito del dio invocano nel rito loro antico. Sì, sembro aver parte di uno strano arcano rito. Le cose tutte che qui vivono, paiono proprio a me voler affidare la richiesta loro ché a te proprio la veicoli con parole d’una preghiera. Tu ascoltar certo puoi, ma io ho queste parole? O piuttosto accade che io alle cose imploranti accodi la mia richiesta di pace, ché loro, non io, ben sanno come raggiungerti? Sì, tu sola, che comprendi e perdoni per amore, puoi dare la pace richiesta. E palpita il mio cuore con quello di queste cose tutte che ti invocano, amore. Vogliono la pace che bene sia per tutti quelli che qui la sospirano e me vi comprendono, generose. La pace che si profuma della carità che tanto aver vorrei per tutti quelli che qui occhieggiano o sospirano. La pace degli uomini buoni che violenza non fanno ad altri e alla natura. La pace che non ha invidia, non prova rancore, non conosce odio e malignità. E la pace per me che non abbia dai ricordi tribolazione, con le manchevolezze, le omissioni, le parole cattive pronunciate o ascoltate, ma che mi permetta di specchiarmi nel passato, come proprio qui talvolta il cielo rasserenato fa su questo mare, che tranquillo sia. E’ questa la pace che da te vorrei, quella che io non guardi al passato come a luogo di incubi. Sì, il mio cuore attende questa pace, che gli canti soave con le sole parole tue. La stessa pace che qui acqua feconda rinnoverebbe di essenze, fiori, insetti operosi in quest’arido chinale. E quella che di foglie novelle farebbe rider questi alberi spogli al sole di primavera.
La pace che mi ritorni dalla mitezza perduta e dall’innocenza smarrita, quelle su cui vegliava la madre mia, amorevole. La pace che mi venga dal ricordo della virtù gentile che questa donna mia aveva, ragazza, e che pur conserva in cuor suo. Sì, la pace cerco, la tua che d’amore tutto trasformi il mio mondo da aiuola feroce in campo d’asfodeli, che anticipi un tuo lembo di cielo. E se tu questa pace mi donerai chi me la rapirà? Forse la violenza del tempo che impietoso trascorre o l’invidia che sempre la vita m’ha insidiato? Ma io questa margherita celerò geloso incastonata nel cuore cui solo quest’amore accesso avrà. Lì tu sarai, finissimo fiore tu stessa, ad abbellirmela e profumarla e odorare sarà inebriarsi di te, così che dolce le parrà gettar via ogni altra cosa...Oh sì, pace, pace,...vorrei sia anafora di inizio in ogni mio appello, richiesta, preghiera che le orecchie tue da me accolgano!