domenica 8 gennaio 2012

La scommessa

Ho sempre rispettato chi, avendo molto
sofferto da questo mondo d’angosce tante e
lupi, che le sofferenze, che la natura
matrigna riserva ai più, centuplicano per
perfidia, credo, ne ha concluso che tutto gli è
potuto accadere perché il dio misericordioso
proprio non c’è. Né per loro mai cesserò la
preghiera, ché essi la vita han concluso
nell’amarezza.

Ma è vero che io stesso, nelle sofferenze
soprattutto psicologiche che seguirono alla
mia infanzia sfortunata, ho, nelle lamentele
avvertite inascoltate, frettolosamente, penso,
raggiunto una conclusione analoga...Ma poi è
venuta l’instabilità del cuore fisico, a
tormentarmi, e ancor più del metaforico che

di tante ubbie e paure si caricò, ché, giovane
medico,di fronte a brutture irrimediabili,
spesso han ceduto. Ma il contatto con la
sofferenza vera, aggiunto a quella della mia
mente che, bambino, aveva drammatizzato

la vita, cominciarono presto a farmi dubitare
delle conclusioni sul male e sul dio. E
ammettere dovetti di aver visto e subito
ancor poco della notte, che fa il tempo a
questo mondo. Ora io qui tenterò di
riassumere il mio percorso, che un po’ di luce
ha dato ai miei giorni, sicché aurora mi par
questo chiarore, che la notte delle cose nere,
tutta inghiottir vuole. Molti anni son passati e sprovveduto da sempre sono, e ora ancor più
debole..., ma son uno che tenace vuole,
cerca, propone, sogna per tutti. Così mi son
detto in questa mia via: posso facilmente
convincermi che il dio è possibile, allora non
trovo onesto chiudermi a lui. Infatti io, nelle
apparenze e fugacità di qui, posso di tutto
dubitare, ma non d’esser in questa realtà,
che una costante ha, esser triste. Sì, qui
illusioni e infamie tante e rare la bellezza e
la bontà, spesso dissociate, tutto è instabile e
fluttua, né si sa verso dove o che e perché.

E allora ho pensato che o questo tutto,
sgradevole spesso, ha la sua causa d’essere
in sé o la ha esterna. Se mi convinco della
causa intrinseca, questo mondo è causa di sé
e, sebbene altre sue forme suppongo
possibili, c’è da sempre. Ma non sono proprio
queste le caratterizzazioni minime per il dio?
Quindi egli è possibile. Ma quanto lo è qui
nell’oggi, e quanto mi è prossimo? Io lo spero
buono, non indifferente a quello che mi
capita, cioè non lo voglio come oscuro
principio nella mia realtà, ma cooperante col
mio destino e responsabile. Io anzi voglio
aiutarlo ad ancorarsi qui e non essere
ricacciato nel dopo della mia vita, ma a viver
con me quest’esperienza mortificante,  ché
ritrovarmelo dopo, nelle necessità che
urgono e stringono, ora sa di mito. Insomma
l’essere per il dio sa di speculazione,l’esservi

qui proprio sarebbe concretezza! Ma tutto ciò
che riconosco possibile nella realtà
fenomenica, come fatti,eventi

non posso prevedere che con certezza
accadano nelle prove che li verifichino, così
come non prevedo certa alcuna uscita nel
lancio di un dado. Posso solo scommettere.
Se mi posso convincere che il dado non è
truccato, a tutte le uscite attribuirò una
stessa misura di accadere, altrimenti una
diversa, per esempio più alta per un’uscita
alta, ma altro può essere il criterio che ha
adottato il baro per privilegiare una faccia e
io rimango interdetto, dubbioso, e la
prudenza mi consiglierebbe di rischiare poco,
se proprio a quel gioco, che so non onesto,
giocar devo. E non è così nella vita, in cui
tutto è incerto e, se baro non v’è, tocca
cimentarsi a un ben strano gioco, che un
senso dia al viver qui? Lo stesso che al dio
possibile qui, io debba dare una misura di
esserci... E poiché lo voglio anche per il bene
personale, ho un rischio, un prezzo da
pagare, che talora non m’accada d’aver corso
invano la vita col bene  sperato assente, ed
esposto così all’amarezza d’un bilancio
fallimentare e per la mia tenacia,al ridicolo
per parte di chi, fortunato, impietosamente
giudica la mia condotta da fedele, sciocca e
fatua. Invece questo comportamento
postulerò meritorio per il dio di dopo,è
l’argomento kantiano, ma quello di qui,
absconditus, mai condizionerà e agevolerà la
puntata con un segno d’approvazione o di
diniego. Sono fin troppo libero... allora chi o
che mi guiderà? Quanto rischierò? Anzitutto,
mi chiedo, posso non rischiare affatto
ritirandomi dal gioco? La tentazione di
definirmi agnostico per non pronunciarmi,
giudico però ridicola, è vero infatti che non
ho informazioni sufficienti, ma è proprio
questa carenza che non posso addurre, io sto nell’incertezza quanto di fronte ad ogni fatto
di qui e, non potendo esimermi, devo una
risposta. Potrei valutare l’evento che il dio vi
sia, qui proprio, quasi nullo e quindi
impossibile in pratica e definirmi ateo onesto.
Ché, pena il ridicolo, nessuno pretende di
dimostrare che il dio non è o che qui non c’è,
ma quello solo paleserà l’inaffidabilità
dell’idea che sia. Ma io vivo il mistero
originario che tutto sovrasta e in cui tutto è
immerso come problema pregnante e
struggente, allora devo una valutazione.
Tanto più che molti, e spesso dall’indigenza,
la danno nella sequela tua e del tuo cristo. Io
non riproporrò qui la scommessa pascaliana
che vuole conveniente pronunciarsi per il dio
presente qui e là, ché vincendo tutto
s’ottiene da colui che attende, e, perdendo,
nemmeno sentore, morendo, se ne avrà. Io
voglio assai di più, che la scommessa
comporti una coerenza subito, un impegno
per il bene, che vuol dire lotta ardente che
s’affermi, e mi accorgerò se il dio avvicino,
ché io stesso realizzo il suo esserci, nella
misura del mio sforzo per il vantaggio di
tutti. Ho un impegno qui e subito nel sociale
e proporzionarlo devo alla mia scelta
quantificata, alla mia puntata, e sarà per la
promozione del bene diffuso, che richiami il
dio, che l’indifferenza ha fatto lontano, a
vivere e palpitare qui, tra noi. Ma forse qui
occorre un rovesciamento logico, che
possibile è nell’equivalenza. Sì, perché se è
vero che la puntata deve significare e
misurare l’operato da spendere, essa in
realtà valuta e misura quanto del mio stare e
fare qui già spendo e già rischio per la causa
del dio. Ché forse sta accadendo che lui ha
già scelto me, e io non metterei poco o tanto
nella scommessa di poterlo qui trovare, se il
cercato non m’avesse già lui trovato. E’ una argomentazione assai nota. Tu non
cercheresti il dio se lui non t’avesse già
trovato! Ma questo è un mondo di scettici,
pronti al motteggio ilare per chi poco bada ai
luccichii del mondo a far effimera ed
egoistica gioia di chi attraggono...e invece
s’occupa in questa scommessa, noiosa
ritenuta. Ma son essi che fanno il rischio del
ridicolo e allora, per la pochezza loro, proprio
scoraggiar non possono chi il dio non relega
tra le stelle. Ben diceva san Giacomo, vana è
la fede se non mi spendo! La fede senza
opere è vuoto ossequio a chi né qui né là
allora vorrà incontrarci. Allora io non vado a
ossequiare gli idoli tuoi, anche se le belle tue
immagini, espressioni spesso d’autentica
fede, mi commuovono, ma qui ti cerco col
figlio tuo tra i miei simili. Sono solo le rare
belle quanto buone donne i tuoi idoli veri,
specchi di te, e se una ho perduto, una, tu
pietosa, hai fatto sì trovassi! Quanto allora
punterò, se tanto m’hai dato?

V’è chi, pavido, scommette uno su dieci
possibili spendibili attribuzioni, e chi,
coerente col suo vissuto, arriverà a puntar
nove. Io che farò? So che quando tu, madre
buona e bella, venisti col figlio tuo a proporci
il dieci della certezza, qui non potevate
restare, ritenuta gente anomala e pazza da
sopprimere, ché il vostro entusiasmo non
contagiasse i più. Più conveniente in ogni
epoca è proporre un dio lontano, ché
scomodo e con troppe pretese sarebbe se
vicino!Preso il figlio, straziata te, madre,
gridaste: diligite inimicos vestros! E lui fu
spinto al calvario, tu a seguirlo ai piedi della
croce. Sacrificio d’una vita sublime per la
certezza e tuo dolore immenso a quella
perdita, a farci capire che schierarsi è
compromettersi e tanto che se ne può
restare annientati. Ma è proprio
quell’accaduto a sostenere i flebili tra cui mi
ritrovo. Ma io che, timido, nascondevo la
fede, ora voglio gridare la mia puntata alta,
ché t’amo ora più che mai amato abbia. E
questo significa che non solo includo nel bene
chi amo e m’ama, ma gli indifferenti anche,
quelli che hanno disprezzato l’amore pur
offerto, e i malvagi che denigrato m’hanno e
distrutto il cuore. Il mio desiderio del bene
s’è dilatato, è cresciuto, s’è fatto adulto, e io
qui, nella misura della mia scommessa, lotto
e mi spendo per il bene. E ne ho già una
felicità, sentirmi libero dalla soggezione del
male, non ho più paura e desidero la gioia
che negli occhi innamorati della donna mia
cerco, speranza d’un amore devoto, ché me
ne suggerisca, me ne insegni la via e per il
cuore suo. Tu, nella mia vita minacciata e
disperata, sei venuta a donarmi di questa
donna la stessa tua benevolenza estrema.
Ecco, io qui ho trovato una perla! E allora io
lotto per quelli come lei e per tutti, ché ad
essi s’affretti il bene. Tutti dobbiamo, a che il
dio sia qui e vi resti, molto o poco, ché è
l’egoismo il peccato vero che lontano lo
vuole. Sì, ricacciarlo lo vuole fino all’orlo del
nulla. E noi proprio, e spesso dall’indigenza,
col nostro stare a questo mondo, reagire,
soffrire, operare, siamo la misura dell’esservi
del dio. Se siamo pavidi, se poco puntiamo,
poco facciamo e il dio ridiventa pura
possibilità, astrazione concettosa, non vera
vicinanza, non vero coinvolgimento con la
sorte nostra, e a un dio così latitante si può
solo gridare la pena della malattia,
dell’abbandono, della vecchiaia o la rabbia
che quello non ode,né condivide. E invece di
fronte alla malattia, alla morte il tuo cristo
gridò di rabbia! Allora a noi proprio non basta
un dio simile, ridateci il cristo, ché non è
questo il dio tuo e del figlio tuo, che,
sconosciuto, è venuto con voi a farsi vedere,
toccare, ed è voluto restare, absconditus.
Abbiamo puntato, abbiamo scommesso,  e
perciò sofferto...,dobbiamo però ora
riconoscere che non in proporzione al rischio
calcolato, occorre agire, lottare, ma rivedere
la puntata, volerla alta, ché è  necessario
spendere quanto serve e perciò tutto il
nostro, sperando basti per trattenerlo qui e
ora, e quest’esigenza è  un’urgenza
improrogabile, ché se lui torna nel mito, il
nulla ci inghiottirà, e intanto da novelli porci
del gregge d’Epicuro molti vivranno, e i più a
gridare al dio inesistente, la fame, la
malattia, il dolore, o la diventata giusta,
rabbia. Il dio può essere, che ci sia dipende
da me e da te fratello! E se abbiamo, come io
so di me, poco coraggio, preghiamo la madre
che ci doni del suo! Egli ha un disperato
bisogno di noi due! Credo che null’altro abbia
importanza eccetto tu sola,madre santa, che
indirizzi, promuovi su noi disperati, l’amore
tuo ,del dio in sé, del figlio tuo e del padre, di
voi, che siete il dio. Ed è bella la fede come
rischio e la scommessa la misura! Tu sei la
bella che l’amore mio agogna, ma più non
dispero, come nelle mie esperienze
disastrose qui, timido e geloso. Tu m’hai
detto: punta su me quanto l’amore per la
perla che t’ho donato! E sono belli i miti che
parlano di te bella, e le preghiere e le estasi
dei santi tuoi a cui nei sogni loro, concessa ti
sei. E io lì t’ho vista, lì m’hai parlato,
dicendoti impaurita del mondo d’oggi e tra le
braccia mie un po’ sei rimasta. Oh quanta
fiducia m’hai dato! Allora è proprio alta la
mia puntata, pari alla tua di volermi là, e qui,
pegno d’amore, una perla m’hai dato. Ti
deluderò? Pagherà di là qualcuno la mia
scommessa vinta con una misura colma e
scossa o tu stessa ti dirai premio per me?
Meriterò tanto?  Mi darai dieci, cento, tutto
per uno, che in fondo è il poco che t’ho dato?

Santa Elisabetta diceva che tanto piena del
dio sei, che ne trabocchi, e chi lo nega fuori
della fede è. E io, eterno tuo, che spero
l’amor tuo, aggiungo, san Pier Damiano è con
me, che chi non ti riconosce impronta del dio,
è alieno, e vaga in un inutile andare e dire.
Ma tu tutti ami, anche gli sprovveduti, e
riconduci al vero gregge del solo pastore, che
vede venire il lupo del male e dell’egoismo e
non fugge, ma la vita dà per le pecore sue.
Lascia me e la perla mia in quest’ovile!
Quando sarà che ti riveda? Io, dico col poeta,
non so quanto mi viva, ma col desiderio sono
con te. Ma tu afona, mi rispondi, ché vedo
qui occhi parlare: guardati accanto, tu già
m’hai! Sì, questa donna dice con gli occhi
suoi belli: tu hai me!

 

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