martedì 10 gennaio 2012

The birth pangs

Non è questo un tempo nuovo, è sempre
quello delle cose appena dette e non
capite, o delle parole dette e non dette,
ambigue. E l’ambiguità è forma distorta,
che lascia in una perplessità d’angoscia.

La vita tutta ne è piena, ché questa col
male, tutto ha attoscato ancora. E’
sempre il tempo dello sconcerto e ci
sappiamo orme sulla battigia della vita. E
qualcuno veglia cercando e non trova,
altri dorme, illuso della precarietà sua. E
passa un giorno come se tempo nostro
muoia con esso, monotonia di vita,
monotonia d’attesa , ma di chi, di cosa?
Aspettando, come in “En attendant
Godot”, se ne andata la vita nella noia.
Non è così l’attesa escatologica. E’
esasperante, ma mai si stempera, si fa
banale nella noia. Mister Godot è un
nome, dovrebbe suggerire una persona
precisa, il suo comportamento, le parole
di quello, eppure resta sconosciuto...
Marco, diversamente da Beckett, ci invita
alla speranza, a riconsiderare daccapo
Gesù, la sua storia. Questi, risorto, fa dire
ai suoi di precederlo in Galilea da cui tutto
ha avuto inizio. Egli non è un semplice,
vuoto nome, un mister Godot, che i due
barboni, che al crocicchio lo attendono e
cui fa dire che l’indomani verrà, per nulla
conoscono, Gesù s’è fatto vedere,
toccare, ha parlato sebbene in parabole.
E Marco ci vuole dire che è sempre per noi il
tempo delle birth pangs, cioè dell’attesa,
nella sofferenza, della sua nuova
manifestazione, perciò ancora quello
dell’ambiguità, del dire ancora per
parabole, per metafore e perciò il tempo dell’incomprensione, delle cose dette e
non dette, dell’ottusità per le cose del dio
e indifferenza alle disgrazie degli uomini.
E piangono qui, ma nessun ascolto, gelo
non empatia... Il regno promesso è
lontano, davvero non è facile conquista,
se tocca vivere questo presente di sofferenza nell’apparente assenza del dio.
E’ il tempo in cui il suo cristo muore
daccapo e occorre ricercarlo, riattenderlo.
E la verità liberatrice del dio pur spiegata,
introdotta nella bellezza sua, è ancora
stata data chiara agli adepti soltanto. Per
noi, cioè gli altri tutti, rimane incompresa,
come sigillata, e rimaniamo nell’ambiguità
e non c’è metànoia nel pentimento. Ma se
vigile attesa, la conversione, l’uomo
nuovo rimangono invito, offerta, dono,
quindi per-dono. E’ necessario lottare
l’ottusità, l’indifferenza per il nostro e tuo
destino,madre del dio e di noi tutti, per
non perderli...Vero questo in ogni epoca,
nella presente certamente, nella futura
forse, e vero sicuro nella passata, con le
angosce sue, nell’ostilità immane della
natura e il sopruso dei potenti, senza
neppure ancora il cristo e te. E questi è
venuto con te e le tue birth pangs
abbiamo sofferto nella carne nostra, ma
nell’ignoranza, nel male, che ottuso, ha
ancora preso i nostri cari e che ora
prenderci vuole, fatti privi della speranza
di te, di lui. Perché quando, lui sulla croce
e tu dolorosa e lagrimosa ai piedi, egli
gridò forte morendo, un abisso senza eco
s’è spalancato e non vuole richiudersi...
Questo significarci vuole la morte nostra,
sua e tua, e di quelli che vi hanno e ci
hanno preceduti e forse, di quelli che
dovranno seguirci. Sarà l’ultima ad essere
sconfitta, il male immane che tutti gli altri
riassume, ora, allora, prima, dopo forse, il
male in sé. E tutto è male e ne
soccombiamo. E non più le parole del
cristo, dette e non dette, il suo messaggio
capito e non potuto capire. Il cristo è
morto, tu sei morta, allora, ora, prima,
dopo forse così sarà ancora, ed è
silenzio, e l’assordante dell’indifferenza o
solo un blaterare senza senso. Ma ora,
allora, prima,dopo è deus ex machina
crucis a manifestarsi. E’ la teofania. E
Marco non ha testimoni della
resurrezione, non è quella la teofania per
tutti, ma pie donne smarrite, sgomente,
tremanti a quell’accaduto. E noi, come
loro già, ricominciamo ad attenderlo... E
considerarlo un mister Godot è un rischio,
vero dramma di vita, una tentazione
peccaminosa, il peccato vero, e non le
contraddizioni nostre, i poveri peccati
d’ogni giorno, che la vita sì ingrigiscono,
ma che di riempirla illusione danno. E
rimaniamo qui, aspettando, privi del
cristo, privi del dio, privi di te, nel male
d’oggi e di sempre. E in Galilea io torno e
ritorno a cercarvi... E ora di fronte
all’icona tua, tuo sto, e muto, sgomento,
tremante. Chiamo la donna mia, che non
sente e si perde il nome suo dolce nel
silenzio..., la compagnia sua, il calor suo
più ricordare non posso e le parole per te
mi sfuggono e le lascio cadere, forse non
significano più nulla!

Nessun commento:

Posta un commento