venerdì 13 gennaio 2012

L'epiclesis

Talvolta qui accade che il cielo tutto si veli minaccioso e che un vento fresco quelle nubi grevi ai monti del golfo addensi. E’ così oggi, c’è il libeccio che quasi sempre la pioggia porta se non qui, sul promontorio, sui nostri Aurunci. Viene a infreddolire gli alberi tutti e gli abitanti loro e ne sconvolge foglie e rami, e anche la sterpaglia del chinale agita e le presenze sue spinge a rintanarsi, ché qui tutti presagiscono la pioggia, anime ed essenze, arse dalla lunga calura. Verrà? Io che al solito incauto senza protezione adeguata mi sono fin qui avventurato, cerco frettoloso di guadagnare l’uscita da questo parco. Ma poi sostare devo un po’, al muretto appoggiato. E ora le cose tutte, che inscurite ha l’aria greve, mi paiono deluse. Le nuvole hanno scavalcato il promontorio e luce di lampi veder puoi lontano da nubi assai scure che di una linea giallastra segnato hanno l’orizzonte e di caligine. E’ lì la pioggia! Ora a me tutto sembra invocare la pace dopo questo inutile subbuglio. Così faccio io, ché tanto accorata è questa richiesta da sembrarmi l’epiclesis di certe comunità che lo spirito del dio invocano nel rito loro antico. Sì, sembro aver parte di uno strano arcano rito. Le cose tutte che qui vivono, paiono proprio a me voler affidare la richiesta loro ché a te proprio la veicoli con parole d’una preghiera. Tu ascoltar certo puoi, ma io ho queste parole? O piuttosto accade che io alle cose imploranti accodi la mia richiesta di pace, ché loro, non io, ben sanno come raggiungerti? Sì, tu sola, che comprendi e perdoni per amore, puoi dare la pace richiesta. E palpita il mio cuore con quello di queste cose tutte che ti invocano, amore. Vogliono la pace che bene sia per tutti quelli che qui la sospirano e me vi comprendono, generose. La pace che si profuma della carità che tanto aver vorrei per tutti quelli che qui occhieggiano o sospirano. La pace degli uomini buoni che violenza non fanno ad altri e alla natura. La pace che non ha invidia, non prova rancore, non conosce odio e malignità. E la pace per me che non abbia dai ricordi tribolazione, con le manchevolezze, le omissioni, le parole cattive pronunciate o ascoltate, ma che mi permetta di specchiarmi nel passato, come proprio qui talvolta il cielo rasserenato fa su questo mare, che tranquillo sia. E’ questa la pace che da te vorrei, quella che io non guardi al passato come a luogo di incubi. Sì, il mio cuore attende questa pace, che gli canti soave con le sole parole tue. La stessa pace che qui acqua feconda rinnoverebbe di essenze, fiori, insetti operosi in quest’arido chinale. E quella che di foglie novelle farebbe rider questi alberi spogli al sole di primavera.
La pace che mi ritorni dalla mitezza perduta e dall’innocenza smarrita, quelle su cui vegliava la madre mia, amorevole. La pace che mi venga dal ricordo della virtù gentile che questa donna mia aveva, ragazza, e che pur conserva in cuor suo. Sì, la pace cerco, la tua che d’amore tutto trasformi il mio mondo da aiuola feroce in campo d’asfodeli, che anticipi un tuo lembo di cielo. E se tu questa pace mi donerai chi me la rapirà? Forse la violenza del tempo che impietoso trascorre o l’invidia che sempre la vita m’ha insidiato? Ma io questa margherita celerò geloso incastonata nel cuore cui solo quest’amore accesso avrà. Lì tu sarai, finissimo fiore tu stessa, ad abbellirmela e profumarla e odorare sarà inebriarsi di te, così che dolce le parrà gettar via ogni altra cosa...Oh sì, pace, pace,...vorrei sia anafora di inizio in ogni mio appello, richiesta, preghiera che le orecchie tue da me accolgano!

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