sabato 7 gennaio 2012

Come la luce

Beati i puri di cuore, ché essi proprio
il dio vedranno!
Se cuore è la metafora per i pensieri tutti,
che la mente affollano, esso sta ad indicare
tutte le parole del proprio sentire,

stando di fronte al mondo, nel riassumerlo a
se stessi e interpretarlo, quindi quelle parole,
che esprimono, caratterizzandolo, il proprio io,
il proprio sé. Allora essere puri di cuore
significherà esprimersi, farsi conoscere
anzitutto a se stessi, nella semplicità delle proprie
buone attitudini... E poi ancora affacciarsi
al mondo, che lo sollecita, con la semplicità
e il candore delle proprie intuizioni,
per mostrare le proprie buone intenzioni,
nella fiducia di accoglimento e apprezzamento
da parte dell’altro che di fronte si ha.
E talvolta accade che, nello scambio
immediato di ciò che è saliente di due cuori,
si realizzi l’incontro autentico, che permette
di accogliere il sé proposto, nel proprio.
E allora è quel tu che si affaccia, di cui tutti
alla ricerca vanno, peregrini...

E’ proprio quel farsi vedere senza
infingimenti e veli, che una stima reciproca
ne fa derivare, e fa sentire affini anche nella complementarità e diversità. Così si svelano
doni e virtù naturali, che fanno il tesoro del sé,
che si mette a disposizione dell’altro, ché a
sua volta manifesti, schiettamente l’intimo
suo dischiudendo, il suo dono. Ma un puro
intenderà solo un altro puro. Altrimenti è
l’inganno, in cui è sempre il debole,
soccombente, l’ingenuo, lo sprovveduto dei
fatti di qui, il puro nel cuore suo. E il
rapporto, falso fin dalle premesse, genererà
reazioni di difesa dell’io, che si è esposto alla
pochezza e meschinità di quello che mai per lui,
tu autentico ha potuto diventare. Un confronto autenticamente tentato, ma dolorosamente finito.
Allora è la condizione di purezza reciproca
che fa la rarità dell’incontro paritario, fruttuoso
e ne caratterizza la bellezza e preziosità, che
coagulerà in affetto di amicizia o amore.

Ora io voglio incontrare proprio il cuore tuo
puro, e, nell’eccellenza sua, lo desidero così
come il merlo l’uva matura, come solo per sé
gli occhi belli di chi, di fronte si ha da
bambini,  si vogliono...Ma cos’è che è
umanamente possibile, ché questo desiderio
s’appaghi? Redde purum cor meum, invoco,

ché tu, interessandoti a me, possa sollecitare
che del mio ti doni, e io mi sforzi d’aver
qualcosa di degno, o che tu mi prenda così
come m’hai fatto e conservato per te solo,
con un po’ di qualcosa e un po’ di nulla in
questo vecchio cuore. Ma quanto ancora
questo prologo d’amore durerà? Non ti
stancherai delle titubanze mie, della
timidezza con te, come se tu donna di qui
fossi? Ma l’innamoramento mio, presuppone
che tu ti sia svelata, dischiusa, fatta
conoscere, avendo per prima conosciuto e
letto il cuore mio e lo abbia stimato per te
sola, prezioso...

Ma quando è accaduto? Bambino, eri nella
bambina dei sogni d’allora? Eri in quelle che
han disputato del cuore mio, sconvolgendolo?
O in questa, così amabile e unica, sempre
attenta a me, sempre disponibile, e che
soffre alla minima parola dura che mi
sfugga? Ma a volte nella disperazione mia di
non saper raggiungerti, a me sembri come
un postulato della mente mia, una meta
fittizia che ho stabilito, perché sentendomi
semplice e buono, potessi avere

oltre le cose di qui, effimere e deludenti, un
ideale da fingere di voler, per occuparmi,
presunto incompreso di qui, in una cosa
grande e bella, che di qui non sia...Iddio non
voglia! Corsa vana la mia, allora! Sì, potrei
amaramente scoprire dalla mia pochezza e incompletezza,  che io stesso sono
quell’ideale, quella meta, non l’io comune, lo
sconfitto di sempre, ma quello agognato, 
nascosto nella latebra della mente mia, che,
come rivalsa alle amarezze tante, vinca
finalmente un mondo di distratti e ottusi, che
mai lo meritano. Oh quanto beffato mi sarei!
Tu ridotta ad appena quel po’ di buono e di
bello, che pur serrato ho nel cuore, io
l’aspirante alla bontà e bellezza, scoprirle
ridotte a quel poco che ho dentro e a quell’io
fittizio delle aspirazioni frustrate, che ho
rinchiuso nell’inconscio... Una meta, che mi
sta dentro senza oggettività nella realtà
esteriore, senza possibilità di incontro,
perciò. Ed è l’incontro che sollecito e prego.

Sarei nell’assurdo, solo un po’ buono eppure
aspirante alla bontà completa, ma solo
postulata, o fittizia se è da cercare in un
futuro indeterminato o in un presente
inaccessibile, quindi comunque vana. Poco
ero, poco son rimasto, e se indegno,
indegno, se ingenuo, manco, scemo ancor
più, illuso che t’abbia vista almeno in sogno
e che lì,m’abbia parlato. Forse vero dev’essere,
solo hai la consistenza dei sogni e rimasta sei
nella favola bella d’un uomo dal linguaggio
iperbolico, da orientale, che di un regno
lontano ha raccontato ad astanti increduli,

e sei morta nella morte sua tragica...E’
questo tutto quello che c’è per me? O invece
è proprio vero che mi sorreggi nelle
incertezze, nei ripensamenti e titubanze e qui
qualcuno vicaria il tuo amore promesso e qui
proprio ti trattiene? Sì,questo anche deve
essere ..., e come talvolta accade che cosa
tanto assorba l’attenzione nostra, che tutto
l’altro sbiadisce e resta come non inteso, così
proprio è stato per la mente mia, che s’è
vista vanificare ogni altra cura, come in
un’ebbrezza, un’esaltazione, che assorba
nel suo eccesso ogni altra facoltà,

facendo scomparire ogni oggetto sensibile,
ogni altro pensiero, ogni parola, come in una
visio extra somnium, questo m’ha fatto
l’amore per te e lì tu sei stata, avvertita
anche se non vista... E’ stato un attimo o più,
non so, ma un sentire c’è stato di sicura
presenza...Poi ancora il solito di sempre, lo
smarrito, l’inadeguato, con i problemi dell’età
che ho, come nulla fosse stato e come non
t’avessi urlato mai la mia sofferenza.

L’inutilità della vita mia è di nuovo evidente
e vivo di parole, ricordi, attimi, volti, sì, tutto
riaffiora e tutto torna nel nulla... e come
l’onda frange sulla riva e poi si ritrae in
risacca, così fluttuano i miei pensieri e forse
già confabulo nelle lacune mie...Ma come la
luce che traversando gli spazi intersiderali,
nel vuoto fa di sé sostegno alla sua natura
ondulatoria, così la speranza di te da nulla
sostentata, fa. Dove? Perché?

Penetra il vuoto di consigli, di partecipazione
di analoghe esperienze, ché fortuna prodiga
non è di incontri con santi, che pur ci sono,
ed essa solo su se stessa deve puntare
le forze sue, ché non soccomba tanto d’aridità
ha intorno, e di motteggi, tanto
lo scetticismo di chi qui ha l’ubi consistam,
tanto pressanti ancora gli inviti agli
allettamenti dell’oggi, che ora più di sempre
si avverte sfuggire...

Pur  nel venirti incontro, te veniente, non è
bene procedere solitari e anch’io ripeto con Gesù, venite... Lo faccio per invitare alla sequela
sua verso te, che l’amore sei promesso,
ché ad esso, guadagnare ad ogni costo devo,
questi compagni attardati, distratti, erranti,
senza un dove e un perché.

Così per quella che è lo specchio di te, idolum tuum,
che donato m’hai, ho l’ invito e con lei corro, ché lei almeno non lo disattende. Sì, una currere, una te invenire, e, se questo vecchio cuore falla,
suscipe spem nostram! Sì,

trahe nos, virgo immaculata, post te curremus
in odorem unguentorum tuorum.

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