giovedì 5 gennaio 2012

Possem in te absumere

Credo che, in quello che qui accade nell’innamoramento, e parlo del solo che so,di cui ricordo gioie e pene, 
quanto di sublime un cuore concepisce in sogni e aspettative, si conservi come dono per l’amato. Questo, nella fortunata reciprocità della condizione, accorgendosi d’essere nell’attenzione dell’altro, credo vi indulga, mostrando tutta l’amabilità posseduta, 
che trabocchi dal cuore, nell’atteggiamento 
e nel comportamento, che sono i desiderati.
E che quest’intesa provochi un dolce smarrimento,
misto di gioia e apprensione, ché in quel prologo d’amore si scopre che distinzione più non v’è 
tra il bene, che si è pronti a donare, e quello che l’altro sembra voglia dare in risposta, ma allo stesso tempo se ne teme la precarietà o l’illusione. Ma se la bellissima, che tutti 
ammirano e forse motteggiano, temendone
per sé il rifiuto, è il segreto amore dello 
sprovveduto, questo, che non osa avvicinarla 
e solo accarezza con lo sguardo la sua figura 
che va,  ne ha una pena, che s’estinguerà solo 
se quella, per prima, scenderà fino ai suoi sogni. 
E come quel bambino, che la timidezza sente 
svanita d’incanto, se la piccola amata, audace, 
per prima gli parla, così è stato per noi, tu la più amabile delle donne, io il timido, che s’accorge 
che può osare amarti, scoprendo che da sempre 
lo ami, da sempre lo vuoi tuo, tu la più buona, 
la più bella,la più vera tra le donne tutte! 
E mai t’ho veduta se non nel sogno, lì hai 
permesso  ti contemplassi, lì m’hai parlato, 
lì, per prima, m’hai detto dell’amor tuo e m’hai insegnato a ricambiartelo, nell’amore dovuto 
a chi qui m’ama. E io mi sono arreso 
a quest’amore, con fiducia per la donna, 
ché perduta l’avevo,  e felice ne sono, 
ché rugiada è sull’aridità, che il mio cuore 
sempre minaccia.E' come questo proprio fosse l’amore vagheggiato bambino, anzi per me 
il suo è come il volto dolcissimo, che 
il piccolo nota, per la prima volta, in chi cura ne ha...
E proprio se così, ingenuo, la guardo, che 
ti posso immaginare cantare il tuo soave
magnificat e pensarti nello stato di innamorata, 
che poco più che bambina, te lo suggerisca...
E poi ti vedo piccola e impreparata a quanto 
di sublime ti capita e, come la vergine, ignara, 
s’è abbandonata a chi l’ama, ne è felice, eppur già vaga teme la riprovazione di quelli tra cui tornar dovrà, così tu dopo il tuo fiat, avverti già in te 
la vita promessa, ne esulti, eppure vagamente,
pur nella fiducia illimitata nel dio, già senti 
il disappunto di chi pretenderà di giudicarti 
e un po’ te ne rattristi...
E poi ancora, mia è la 
visione del beato poeta, tu, più splendida di fulgida stella, circondata dal lume angelico, avvolgerti 
tutta dal capo ai piedi...
 Ma solo donna che si sia incinta dell’amor suo, 
può capire le sensazioni tue al primo contatto della nuova vita in te e immaginarti col cuore traboccante di grazia, gioia, santità, per quella dolce presenza in te, rivestita di te, vivente del tuo solo amore, e, sebbene  attendere dovevi a vederla, avvertivi l’afflato dell’amor suo riconoscente, che ti carezzava 
il cuore, e già dolce e bello te lo fingevi piccolo bambino tra le braccia a dargli latte e cullarlo...e da allora, parvulum lactente nutris ubere...
Io oltre, maschio, non so andare, ma le devote donne, che si cibano del figlio tuo e perciò 
della carne tua, sanno in loro che tu, il divino figlio, continui a concepire, ché il sangue vostro trabocca nel loro per raggiungerne il cuore
e da lì tutti gli organi e il grembo loro, 
a santificare la vita novella che racchiuderà...
E questo amore di cui io già idea poco precisa 
ho, non si può mettere in parole...E’ la mia 
intuizione da uomo pio, che come viene, va, 
per lasciarmi sconcertato e ansioso...
Tutte le mie parole sono diventate un inutile fardello, potessi decidermi a tacere come san Tommaso, che 
a chi lo incitava a scrivere, diceva, ormai soprafatto 

d’amore, non possum! Il vento porta via tutte le parole, 
le sublimi del santo, e le mie povere, e niente 
più significare può quello che dentro abbiamo 
come tuo geloso dono... 
Come la Sibilla vaticinava, scrivendo su foglie, 

che la brezza dal mare della bella Cuma, via portava, 
così la lingua dice il suo inutile balbettio da bambino...
Ma tanto grande il tuo cuore, dacché il figlio morente 

vi ha affidato la vita sua, che s’è fatto lo scrigno del bene!
E io attingervi ora vorrei e darne a mani d’oro 
a chi m’ama o m’ha amato, e a chi indifferente 
è stato all’amor mio od odiato m’ha. 

Chiedo perdono a tutti di aver operato, 
di aver omesso, di aver detto, di aver taciuto,per aver amato, per aver trascurato, per aver sorriso, 
per aver pianto, e forse d’aver rubato cibo 
e acqua in cambio di assai poco, e poi 
della fortuna d’una donna meravigliosa, 
ché ora un solo desidero, estinguermi in te,
 mi stringe, madre carissima!
Possem in te absumere!
Vita es tu, sine te mors!                                 

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