lunedì 9 gennaio 2012

Acqua

Come l’apparente timida ed esitante
formica esplora tutt’intorno al nido, 
indugiando or qui or là da parer pigra,

ma poi che scopre seme od altro cibo, lo
tasta con le antenne sue e un po’ lo
mordicchia talora, e poi convinta lo afferra
a trascinarselo via, così la mente mia vaga
spesso tra antiche cose, parole, frasi,
preghiere, di chi amato t’ha. Pur sapendo
che la parola scritta, come l’espressa, mai
appieno dice l’interna, che ormai solo tu
conosci, noto quelle cose degli antichi, che
degne sono di te. E mi conforta per la
lingua latina la dolce compagna, mentre
poco o nulla noi due intendiamo la greca. E
me ne rammarico, ché dei padri orientali
solo indiretto il pensiero conoscere posso.

Ma più ancora cerco nel groviglio dei miei
pensieri, tanti per te, e come c’è un abisso
d’amore nei mistici d’ogni epoca, così nella
latebra del cuore mio..., ma sempre
m’accade che quel che sento, poi non so
ridire appieno. Ma tu sei come la bambina
dolce dei primi sogni miei, che di assai
poco pareva contenta e più ancora come la
timida innamorata di poi, cui una parola,
uno sguardo, un cenno pur bastava del
tanto che dentro pur celavo temendo,
come sempre accade ai timidi, non
piaciuto, e mi sbagliavo...

Così il mio non può essere che invito a tutti
a esplorare nel cuore loro, dove c’è tanto
per te. Ché tu dalla polla di acqua viva, che
è il figlio tuo, in mille e mille rivi a molti ne
rechi la frescura in tanta aridità che ne
circonda la vita e noi tutti, colmi  ne
trabocchiamo per altri ancora. E m’è cara
l’immagine della leggiadra Rebecca, che
così t’annuncia: acqua dalla fonte reca e
dalla ampolla delle braccia sue uomini
disseta e bestie anche. E io vedo te in
questa vergine amabile e in sogno, come
nel ricordo ho una donna bella e giovane
alla fonte comune venire nelle miserie
seguite all’ultima tragica guerra, per
attingere acqua e poi per una brocca
tenuta sul capo portarne agli uomini suoi.

Così fai tu che ai santi tuoi acqua rechi,
ché si dissetino con le bestie loro. E così mi
sento, ché buono non sono, ma che pur
spero l’umanità mia conservare e non
perderla in rivalse improbabili per chi qui
prevarica con atti e con parole dalla
miseria sua... Fossi almeno l’umile
cagnolino che pur si nutre delle briciole che
tu sfuggir permetti ai buoni e dissetarmi
dell’acqua loro che tu recato hai! Tutte le
mie belle favole sono vanite e le stelle
dell’infanzia mia, cadute come foglie
nell’autunno mio. Che mi resta? Questa
compagna dolce è come la piccola desiderosa delle parole mie e degli sguardi.

Sì, forse sono stato amato e lo sono ora e
per questa certo da te lo sono.

Tu non lasciare che ella rimpianga della
primavera nostra le promesse tante e
l’incanto di quegli anni verdi, fa che questo
sia il nostro momento migliore e che simili
a questi attimi ancora ci siano. Oh quante
ginestre fiorite sono, dopo l’acqua
generosa di questa prima primavera! Ma
l’acqua sempre vita non è, e ce n’è tanta
salata tra noi e quelli che una vita da noi
migliore sperano. E anche donne con i
piccoli loro, e quelli nel grembo loro
ancora, che mai vedranno se non la tua
luce, ne ingoia questo mare immane.
Quello che or qui da quest’erta che piano,
come me lo consente il cuore, salgo, tanto
tranquillo appare, sotto sereno cielo. Ma
non così, spesso è quello dei migranti, che
le loro vite prendere vuole dalle loro
barche troppo cariche e vecchie. Perché è
accaduto? Perché accadrà ancora?E io che
faccio? Che farò?Dammi almeno il coraggio
di gridare con chi grida, ché s’annega qui
in questo mare d’egoismo e indifferenza, e
la nostra meta è lontana, l’isoletta che più
vicina speravamo, come quella che mai
raggiunta hanno quei migranti dalla barca
spezzata sotto al carico loro, che solo pane
speravano dall’indigenza loro. E noi tuoi
piccoli come loro siamo, solo più fortunati,
ma inani senza te e mendichi se non di
pane, certo d’amore, il tuo. E tu lascia
incontri in quest’erta aulente,  solitaria, ma
canora, di te dolce immagine amica. Di
parole tue bisogno avrei, ma se solo
umane le penserò da te trasmesse!

Timeo foeminam transeuntem, che di te
rechi e non saperlo vedere, ogni uomo dire
a sé dovrebbe! E io l’ho cercata, t’ho
cercata, e non ho trovato, ma poi
finalmente questa compagna dolce è venuta!

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