martedì 10 gennaio 2012

Pascal diceva

Per Pascal come canne fragili siamo,
esposte al vento della vita, che ci piega e
spezza talvolta, ma ben siamo canne
pensanti!Ma non ci opprime talvolta
proprio il dover pensare, l’esprimerci per
concetti di tante parole? E poi questa
realtà che ci ospita e risposte non dà, ma
solo alla certezza della morte avvia...Così
dalla nostra finitezza e precarietà
proiettiamo i nostri desideri fuori, in un
indeterminato spazio e tempo, o fuori da
entrambi, e l’amore incompreso o
spezzato, il dio del conforto e del
compenso, la bellezza e la bontà,        
qui tanto precari. E vogliamo
affaccendarci, impegnarci per distoglierci
e non dover pensare ché tutto è ambiguo
e tenta alla disperazione. Ma poi ancora
occorrerà vagliare, ponderare, scegliere,
una cosa o la contraria o pronunciarsi su
un fatto o meglio sulle parole di un fatto,
che si dimostrerà inconsistente, un
luccichio, un’apparenza cui fingeremo di
credere. E pur esposti a continui errori,
che si dice facciano l’umano, a qualcosa
pur ancorarci vogliamo, ecco l’impegno
nel lavoro, l’apertura e la solidarietà per
gli altri,ma nuove illusioni sono in agguato
e ce ne ritroviamo malconci e delusi. E
amaramente la vita giudichiamo inutile,
sempre nella fugacità e precarietà
dell’attimo, ci accorgiamo che essa ci
lascia e questa sensazione non libera,
opprime di più. E le cose mie, tutte vanite
sono, un sorriso forse, occhi belli di
donna, parole dolci di madre...Attimi
fuggiti, sfuggiti e a nessuno interessa di
me...e il gelo e le lacrime. E i ricordi
affastellati, dolci, amari, tutti vogliono
rituffarsi nell’oblio per non essere più,
stanchi d’essere evocati, d’essere
occasione di pena, ché le cose tutte
trascorse vogliono che le consideri, foglie
cadute d’autunno! E la mia speranza
morir vuole se le braccia tue non sono il
mio destino. T’ho conosciuta bambina, nel
cuore mio piccolo t’ho serbata e donna sei
venuta, ma la stessa per me sei rimasta e
il vento del tempo via non t’ha portata. E
il tuo dolce nome sia l’ultima mia parola e
la tua immagine l’ultimo bagliore. Ma chi
se non la dolce compagna è figura di te?
E del suo bene immeritevole mi sento e
del calor suo, e del sorriso, e della
tenerezza, e anche dei rimbrotti suoi
quasi di novella madre. E se cerco le
braccia tue di madre per sentire il calor
tuo, è le sue che pronte ad accogliermi
trovo, come bambino ridiventato. E canta
nel ricordo la madre mia e dice che cade
lenta la bianca neve e nel calduccio del
cuore suo m’addormento...

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