giovedì 5 gennaio 2012

Frenesia

Come quando in un’erta di montagna,
la nebbia ci coglie, e ansiosi cerchiamo
riferimenti al diradarsi di quella, e ci crediamo
smarriti, sicché se non fosse per la notte
incipiente, meglio sarebbe fermarsi,
e allora gridiamo... e gioiamo se una voce
amica, e non l’eco, ai nostri richiami risponde,
così tu, smarrito, prima che la notte,
che temo mi privi di te con la vita, soccorrermi
vuoi, benevola, e le tue parole vere udir mi fai, 
trasmesse da questa donna pietosa, e d’amore.
E so che se mi dice di sé, del suo amore,
è del tuo per noi, che dir vuole.
Ma oggi credo che una frenesia m’abbia preso,
il suo mi pare un linguaggio troppo umano,
e se prima prezioso, passata la paura 
di perdermi del tutto, ne sono un po’ deluso.
E come fa un’onda lunga, che, rara, segue
le molte brevi, e prima si frange e poi va
a spandersi sulla rena fin dove prima
acqua mai giunta era, e poi se ne ritrae,
lasciandola, così tu mi lasci desolato,
prima della confidenza tua, solo illuso.
Sì, come quella rena abbandonata, che non più,
forse, le onde seguenti raggiungeranno...
E come or stridule or roche, note lontane,
forse d’una pianola, mi giungono, e io cerco 
nella memoria e non trovo, eppur di nota
melodia mi sembrano, così le parole
della compagna, che pure so tue,
non chiaramente intendo, e di te quello
che vuoi ascolti, frammentato mi giunge,
che io non riesco a ricomporre in una tua frase 
di senso, e resto interdetto e dubbioso...
Oh quanto difficile è intendere voi donne!
Tu, che così solo vuoi parlarmi, mi ricordi 
una ragazza, scontrosa un po’, e leziosa,
ma bella nel mio innamoramento, che pur
di non darmi occasione troppo facile,
tutto si inventava ché sola non la trovassi 
e talora le parlassi. Ma sbagliarsi doveva,
ché più timido ne restavo...e mi stancai.
Ed ella ad altro amore quella primavera
parve volgersi o questo voleva credessi,
ma gioco troppo scaltro era per me, ingenuo...
La metafora un po’ regge, ma di te stancarmi
non potrei, contraddirei quello che vero sento,
ma anche perché quella lezione amara,
per la vita mi bastò... e con te, proprio 
l’innamorato tenace voglio essere,
quello che non fui quella primavera di sogni, 
quando quella ubbiosa e capricciosa giudicai
e pensare che, forse, solo suo prologo d’amore era!
E questo tuo silenzio, per quanto male mi faccia,
voglio pensare tuo prologo d’amore.
Quanto durerà? un poco, più?
Dovrà bastarmi la sola voce innamorata,
trasmessa dall’attenzione, immeritata, credo,
della mia donna. Forse secoli passeranno...
e la polvere mia la tua voce vera udire
non potrà, ma non l’anima mia sopita, 
essa se ne desterà, uditala appena.
E non mi importa con quale lingua, 
se degli angeli o delle stelle, mi parlerai,
ché mi dirai tutto il tuo amore, ma forse 
solo la intenderò se quello, donatomi 
nella vita mortale nella piccola donna del mio cuore,
avrò apprezzato e custodito geloso! 

 

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