giovedì 12 gennaio 2012

Il passaporto

Quanto più a lungo dubiterò di te?
Vorrei saperti dire parole nuove, semplici, dall'immediatezza del cuore, ma temo che ridondanti t'appariranno comunque, perché non so ben esprimere quello che al cuore mi nasce, lì restando schietto. E ora nuova metafora userò per tentare di dirti o di non dirti, ma tu leggermi dentro comunque potrai...
Come quando dopo notte buia, manca di stelle, appena trasalimenti di luce ad oriente l'alba annunciano, ché l'orizzonte è tutto greve di nubi, così l'umanità tua mi balenava schermata, lontanata dalla sacralità a cui, nella nicchia dell'ossequio riverente, non osavo guardare con occhi d'impenitente. Ma se un poeta ha detto d'esser stato solo come galleria, fuggita dagli uccelli perfino, io, misero di questo mondo vacuo e buio, dir non posso di meno, nullo da te ausilio venendo. Non v'ho forse trovato gelo d'indifferenza e lupo di grettezza ad ostacolarmi cammino già incerto? E poi non m'ha soma di autocommiserazione, peccaminosa d'egoismo, più e più affannato, schiacciandomi? Poi rompesti ogni indugio, prima che vero tardi fosse, e donna vicaria a renderti prossima e tangibile a me, perso sulla via distorta, mandasti provvida a liberarmi dalle paure mie. Venuta è a porgermi mani premurose, a ravvivarmi forze sceme di corpo fiaccato, ad addolcirmi il dolore di tante delusioni e ad asciugarne le lacrime e dirmi parole calde, facili, dal cuore suo, che pure dall'ottusità del mio comprendessi. E gesti d'umanità generosa le coronano tutt'oggi e fiori asfodeli ne nascono nel cuore mio, di sterpi prima languido, come vissuto abbia sì ambiguità di dolori e gioie a un tempo, ma divenute queste speranza che eternate le vuole, e quelli, fatti da relegare nell'inconscio delle brutture e delle paure, che eternarsi non potranno. Ma tra gente triste e irosa viviamo e l'invidia della felicità nostra, che l'insidia, temo l'uccida, se vigili non ne saremo. Ma quest'amore di donna difenderò fino a morirne anche se la creduta tangibilità del tuo, vera non fosse. Ché io vedo troppo dolore non soccorso e ho vergogna d'essere stato fortunato tanto. Tutto sembra apparenza, illusione, falsa interpretazione e la suggestione del male m'accalappia di sgomento e dubito che solo illusi ci siamo d'esenzione, difesi dall'amor nostro, che tuo, creduli, per noi pensiamo. Ma io dico a questa piccola donna: rimaniamo in questo sogno! Per piccolo che sia stato, quando la realtà d'incubo si spegnerà per noi, allora o il nulla o tra le braccia tue saremo. Abbiamo un avallo, un passaporto per il cielo al quale solo s'accede essendo qui stati amanti, per poco, per più di un poco, ma in tale unione che distinguere amante da amato facile non sia. Oppure, e forse più ancora, se abbiamo amato tutti, mai forse riamati. E ora una bella favola dirò di quando il dio era troppo grande e lontano, chissà dove tra le stelle, assorto nella sua solitudine. Era assente da sempre, ché sempre altrove sembrava guardare di fronte al dolore del mondo e  solo lampeggiar pareva, presenza misteriosa, nelle cose tutte, un dio costretto, fatto fatuo dai salmodianti di qui, a vivere solo nel rito e nel mito. Ma stanco ne fu e te mandò col figlio tuo , qual dio della semplicità e del perdono. Così vero con voi prossimo a noi si fece e tal restar vuole, a scorno di chi pretende di gestirne la vicinanza all'uomo. E quando tu con lui tornerai, allora ogni sogno, ogni aspettativa appagherai, purché l'amore umano qui sia stato, piccolo o grande, ma presente. Sì. Guadagneremo una dimensione nuova, quella del tuo amore, se dolcezza abbiamo scambiato o solo dato, reprobo perfino abbiamo soccorso nella disperazione sua, del nostro bene sempre rischiando e donandolo nel cairos dell'opportunità, che, transeunte, rimandata non abbiamo. E che così non sarà mi dica ora qualcuno, che di saper crede, io gli chiederò: da dove viene il bene per piccolo e meschino che apparir possa, da dove il calore di donna per tiepido che ne giunga, ma che nell'unione all'uomo suo avvampa, mentre le cose tutte e gli astanti freddi rimangono? No, tu verrai a prenderci, fedeli rimasti a piccolo o grande amore, sotto queste stelle che di te parlare ci vogliono stasera e che ora per noi cantare sembrano coi tremuli luccichii loro, anticipandoci celestiali armonie... 

Nessun commento:

Posta un commento