sabato 7 gennaio 2012

Veglia tu!

Se di questa donna dir posso di averle
voluto bene, e tutt’ora c’è quest’amore,

ché nella storia nostra vissuto l’abbiamo
protagonisti,di altra forse meglio direi di
averle voluto il bene. Ché altri lo ha
realizzato e io, augurandolo e pregando che
le accadesse, l’ho promosso, l’ho sollecitato
da te, così che tutto le è accaduto come se
da me le fosse venuto!  Non è questo il
miracolo più bello dell’amore umano? Sì,
vedersi comunque partecipi d’un amore, di
quello attuato, che ci abbia avuto interpreti
e di quello che acerbo è rimasto, ché
l’accaduto o il vissuto negato l’hanno e che
solo auspici ci ha visto... Ma non è, credo,la
sola peculiarità che fa il nostro, simile al tuo
amore. Chi se non il dio potrà dire: tutto
quanto c’è stato di bello e buono nella vita
tua, io l’ho desiderato per te, e da me è
venuto ciò che altri solo t’ha trasmesso? Sì,
altre ancora sono le somiglianze con l’amor
tuo. Ecco la “condiscendenza”, cioè il porsi
non solo nella prospettiva di quel tu che si
ama, ma anche, e solo per amore, adattarsi
alla sua volontà e alle sue capacità
recettive, ché ben ne restino apprezzate
quelle qualità che fanno la personalità
dell’amato, solo intuite nell’innamoramento,
ché solo basarsi non può su ciò che la vista
appaga. E poi l’amore non è solo guardarsi
negli occhi che attraggono, ma anche
guardare avanti in una stessa direzione. Il
che vorrà pur dire che vi sono intenti,
interessi,desideri, sogni comuni. Questi,
nell’onestà che anche fa amore, vanno
espressi nella giusta luce, senza infingimenti
e abbellimenti, ma nella semplicità e
immediatezza con cui nascono dentro e che
l’altro deve percepire ancor prima che
espressi siano, sintonizzato al suo pensare e
dire. E questo se l’animo, il cuore, il
complesso dei pensieri intimi, è dischiuso,
svelato dal proprio stare al mondo col
proprio sentire, porgere, condividere,
soffrire...Così che tutto possa diventare
partecipazione di realizzazioni e speranze,
tutto “comunione” di cose temporali e
spirituali, facoltà, possibilità di vita che
l’altro sempre come scopo abbia, da poter
dire: tutto faccio,  tutto vivo, tutto spero
per te solo! In fine anche c’è il “sacrificio”.
Non alludo alle rinunce, limitazioni imposte
dalla vita a due, ma al far dipendere il proprio sé dall’altro. Come se la vita non fosse più personale,
ma vissuta per l’altro, avendo posto nelle mani
sue le aspirazioni tutte e il desiderio di
serenità e felicità, anche. E questo non  è
un volersi sacrificare, immolare in uno
strano rito sull’altare del creduto sublime? E
questo accade se all’altro tutto s’è donato:
pensieri, sentimenti, aspirazioni, tendenze,
che lui solo potrà realizzare o negligere, ché
vivendo per l’altro e dell’altro in tutto si
accetta di dipendere da lui , da poter dire:
io più non mi appartengo dacché io vivo di
quel che vuoi e a te piace, ché a me stesso ho
rinunciato!

E l’amore divino per noi, rispettò queste tre
condizioni, questi tre momenti, ché
condiscese fino a noi, condivise tutto di noi,
si sacrificò per noi. Ché tu e il figlio tuo qui
di carne nostra rivestiti, assumeste i
pensieri, i sentimenti, le aspirazioni umane,
che amabili ai nostri occhi vi resero e
condivideste ogni lamento, ogni dolore, ogni
male che affliggesse  l’umanità del tempo
vostro e di sempre. E ancora il figlio tuo
immolò se stesso e tu l’immensa generosità
sua condividesti, ché il destino vostro, le
vite stesse, metteste nelle mani degli
uomini, che però, ingrati e incapaci di
capire, di annientarle si studiarono, lui sulla
croce, tu, immolata all’altar del cuore tuo,
straziato nel dolore  d’assistere all’olocausto
della vittima, greve della soma d’ogni
peccato, e di quello degli aguzzini e di
quello di ogni uomo nelle epoche tutte, ché
quel fatto orribile sempre qui rinnovano
nella perfidia loro...

Ora, dopo quel che dico, che dirò dell’amor
nostro se mai t’ho vista, mai t’ho udita,
sempre solo t’ho sognata bella e amabile
nella generosa condiscendenza tua? E a te e
in te dono e riverso ogni sospiro, ogni
dolore, ogni male che tentar mi voglia al
nulla. E tu li fai sì tuoi, ma io qui rimango...,
sicché sono tuo e non ancora, in una
perenne ambiguità, altalena di prospettive
cangianti, luci poche, ombre tante e
solitudine, gelo anche e nonostante sole e
calore della donna mia. E dire che questa
piccola donna di cui e in cui vivo, tanto fa
ché non mi perda, ed esprime così, certo nel
dolore che le provoco, il sacrificio che l’amor
tuo pronto, mi dona...

 Veglia tu su quest’amore!

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