giovedì 12 gennaio 2012

So dove sei

Quando d'autunno molti sono i migratori a radunarsi qui, agli stagni del nostro basso Lazio, per poi il volo numerosi spiccare per più miti paesi, uno li condurrà in una lunga teoria.
Forse il più esperto che più volte il viaggio fece. E di giorno potresti vederlo cercare lungo la costa nostra, punti che la memoria ha ben noti, di notte a stelle amiche affidarsi, e di nuvolo, sicuro della bussola sua, pur spedito procedere. Così puoi vederli ritornare di prima primavera, fitti in simili schiere, forse speranzosi d'accoglienza, amore recando e cercando. O verso più settentrionali oasi procedere, qui i cieli riempiendo, d'ali e di richiami. Ma ancora guidati da un solo esperto. E' questa l'eterna altalena della vita loro, finché la natura, a questo mondo attoscato, resistere potrà. Qui, nel viaggio nostro a te, non siamo così fortunati, tutti vi son nuovi, estranei, né punti fidenti abbiamo nel cammino, né bussola per le vie del cielo e queste stelle da nessuna parte condurci vogliono. E qualcuno dice che è di là che occorre procedere, altri che in su o in giù, a destra piuttosto o a sinistra. Ma poi singolarmente chiamati siamo, per nulla poterne riferire, come soli venuti al mondo, soli l'abbiamo traversato, così soli lo lasciamo. E tutti paiono in buona fede, basano le congetture sull'istinto o sul buon senso, che dice loro di continuare la vita consueta fin dove porta, fin che dura, per mediocre e senza senso che sia, altri se ne fanno un problema o cruccio e preferiscono tradizioni antiche e i detti dei maestri loro.
Il maestro nostro è il figlio tuo. Ha parlato, molte cose ha detto, altre incomprensibili ha taciute, una l'essenziale: amate i vostri nemici.
E' il superamento delle legge antica. C'è stato un prima e quella bastava e ora c'è il dopo. Nessuno si illuda, occorre molto di più. Ma allora è proprio vero? Il dio è non solo nei derelitti, nei tribolati, nei vinti, tanti a questo mondo, ma anche e forse più ancora , o almeno con più pressante richiesta d'attenzione, in quelli che col loro comportamento sventato, o di perverso proposito, contribuiscono all'infelicità di pochi o molti. E' un suo paradosso, sapersi nelle vittime e ritrovarsi nei persecutori loro. Io, lo sprovveduto, difficoltà non ho alcuna se mi si dice che la piccola Bernadette è tua icona. E che le donne, da cui ho avuto bene, prima la madre cara, un tuo soffio abbiano tutte o avuto. Ma incerto son delle altre, che aumentato m'hanno il disordine nella vita e nella mente. Eppure è così proprio, in tutte sei! Occorre, senza malumore da riottosità indotto o esser tentati a parole che offendono cattive, senza sgarbi sfuggiti nei contatti, con pazienza e umiltà, recuperare tutte e tutti all'affetto nostro. E' un compito ingrato, per la natura nostra che chiederebbe rivalsa, e la loro diffidente che la temono giusta, e non sinceri, subdoli interpretano gli approcci nostri e i cenni e le parole pur cauti. Ma va onesto tentato. Tutti occorre aiutare per la guarigione completa, ché se ferito hanno, è loro e inconsapevoli, che leso sopra tutto hanno. Ma vedi quante aporie! Non solo siete in attori di opposte parti nella scena di questo mondo, ma tu e il figlio tuo, che sollecitate aiuto, siete voi proprio a completare gesti sinceri d'amore appena tentati. Voi, rintracciata la parte migliore rimasta, nonostante avvilimenti tanti e soprusi patiti, in una latebra dell'anima nostra, la sollecitate ad aiutarvi nella presenza che pur avete nei detrattori nostri e l'aiutate a risultare efficace. Siete medici per la malattia nostra e malati da soccorrere a un tempo e la panacea per chi, sebbene immeritevole, soccorriamo. E così noi stessi ne risultiamo mitigati o guariti negli affanni nostri. E' questo un mistero che ci fa piccoli piccoli, tanto profondo e poco comprensibile è. L'aria ne trema e ne sbianca il cielo e ammutoliscono i blateranti vostri di qui. E' d'amore divino questo mistero. E coinvolge tutti, quelli che si sentono chiamati alla sequela vostra e i neghittosi, e se dubbi, pene, dolori ci anchilosano, pure mai appello abbiamo avvertito sì pressante. E noi dalla pochezza nostra, dall'ottusità che pur anche in noi c'è e che la vita tutta ha perseguitato, dalla malattia di oggi che ci lega o di sempre pur vi rispondiamo. E vedi, le forze provate si rinfrancano, noi saniamo altri e ne veniamo sanati e abili resi siamo per questa via, la giusta appena intravista, che a voi sicura mena. Ecco, vedi, è qui la tristezza, è più là il pianto, più nel buio l'ottusità che li ha provocati. E' il vostro ormai un stare appena, occhi che mai s'aprono alla luce, orecchie sorde alla gentilezza, bocche aride che mai parole han proferito d'amore, qui proprio nei sentieri lividi del male. Ma è da lì che afoni gridate disperati. Hanno fame questi bimbi, e voi con loro, gridano madri dalle occhiaie quasi vuote, e voi per loro gridate. Ma questi ottusi ne imbrattano la dignità stremata...E s'accendono fuochi d'artificio e fanno botti i gaudenti di qui, nelle notti dell'estate che pur muore. E voi da lì ci implorate compagni, benefattori vostri, in chi sta soffrendo, ma anche lo fate pressanti dal fondo di noi, anime perdute...
E' la carità che deve agire e la nostra proprio. Ubi caritas, veritas dei! Il tempo s'è fatto poco, il male accespa, mette fronda e si farà bosco, ma se appena facciamo, tu ci aiuti ad aiutarti! Ecco, ho cercato di capire e di trasmettere il poco che so, la mente vacilla e il cuore ho in disordine.
Ho il male che m'ucciderà già dentro.
Devo scuotermi. Devo fare. Ma che? Dove? Quando? Il possibile, qui e subito e là anche e su e giù e a destra e a sinistra. E dalla mia debolezza e insicurezza. Dono ex indigentia! Non sono solo, mi conforta una donna amabile. E tu stai qui tra noi proprio. Sempre modesta, umile, mite, un velo di candore tutta avvolge la bellezza tua, tenera sospiri per noi che t'amiamo e rosata ne sei di pudore, e lasci mi fiorisca d'incanto la voce ineffabile della preghiera... e ne ho conforto. Ora so dove sei... e se mi chiedo: quid est veritas?
Devo col santo tuo rispondermi: quis vir adest!

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