lunedì 16 gennaio 2012

Pena di madre

E’ da qualche tempo che scrivo, prolisso talvolta, dei tentativi vani di avvicinarmi a te, ma tanto complicata è questa psicologia d’amore, che devo dire e ridire nel tentativo di capirmi e capirti, e, con presunzione forse, ad altri un po’ poter servire... Tu a me le braccia tendi, ma che o chi m’allontana? Temo mi respinga da solo e ancora sarà una metafora a dirne il perché. Ma, se flebile sono divenuto, non è forse vero che intrent ut astra flebiles? Voglio sperarlo! Qui, nel bosco in cui vado oggi solitario, gli aspetti di vita non tutti belli sono... Accade di primavera che, dopo una ventata, nidiacei cadano e facili prede siano, e tu vedresti allora madri disperate della sorte dei piccoli loro, ché incapaci sarebbero a riprenderli e riportarli in nidi di necessità nei rami alti, ché non accada che i sempre famelici li raggiungano. Così come qui accade, nel mondo v’è di simile...
Che pena per una madre veder un figlio smarrito, scegliere la morte lenta, la distruzione sicura del proprio sé, e talora completa quella del corpo! Quanto amore e fatica è costato accompagnarlo nella crescita ed educarlo! Quanti sogni quella madre deve aver fatto, con quanta trepidazione deve averlo seguito nei progressi suoi e vederne, soddisfatta, le prime conquiste! Poi è cominciato il malessere dell’adolescenza e il gregge cui si è affidato l’ha fuorviato. Qualcuno l’ha ingannato, l’ha irretito. Ecco il perverso gioco di lasciarsi andare un po’ con l’illusione di poterne venir fuori... E’ una truffa che la vita sia più facile se alle polverine ci si abbandona, e s’apre il baratro e si chiude il cielo. Vita da incubo, sempre più degradata, desolata e sola anche in mezzo a tanti! Chi lo cercherà, chi lo trarrà fuori dalla spirale perversa in cui s’è cacciato, chi, come con passerotto sperduto, lo riporterà al nido? E dire che quel figlio era stato pur buono, docile alla voce cara della madre sua, e anche si piegava ai consigli del padre. Quel figlio era un fiore, ma poi un vento ottuso è venuto a scompigliarlo e forse via a strapparlo! E dire che in questo mondo difficile, che qualcuno ha reso stoltamente più insicuro anche con la difficoltà e la precarietà del lavoro, muoveva bene i suoi primi passi, aveva primi successi. Era l’aurora d’una vita! E poi la follia dell’imitazione e ne è stato travolto. Ed ora chi avrà tanto coraggio a ritrovarlo, a riportalo a casa per guarirlo o farlo guarire? Madre, io ho visto questo dramma, l’ho toccato, ne sono io stesso, medico, rimasto atterrito, pensando che sorte simile potesse toccare i figli miei. E’ struggente questo spasimo di vedere così una figlia in boccio, lei che si pensava destinata a cambiare un po’ del mondo, così un figlio, lui che prima da forte affacciarsi voleva alla vita...
Andare bisogna, ritrovarli, strapparli dalle malie infami, prima che si inabissino di più, che scompaiano nei gorghi e ne muoiano. Ed è lurida la viltà di chi si crede al sicuro dal problema, sicuro sotto al tetto fittizio delle esenzioni presunte. Illusione! Ed è superba, è arrogante questa umanità illusa, ancora non ha imparato che, se l’altro si perde, è un po’ o molto del proprio sé che si inabissa. Oh quanto misera aberrazione è pensarsi sicuri, perché si ha credito, consenso, fortuna , denaro! Viene il male anche tra gli illusi e stupidi. Ma tu anche veder puoi chi ha coraggio, chi s’è impegnato per gli altri,è giovane pur esso, è un prete fin’allora sterile curatore d’anime, un medico prima voglioso solo d’affermazione personale, un generoso volontario del sociale. E’ uno che ha preso coscienza del problema e va. E costui non s’arresta, non ha stanchezza, lo porta l’amore! Oh madre cara, aurora in tutte le pene, proteggi la determinazione di chi vuol spendersi per l’altro! Fa che in tutti i provati, genitori e figli, torni il sereno, il sorriso splendido d’una madre, la gioia intima, l’orgoglio di un padre, la speranza nella vita d’un figlio. E’ questa metafora di quel che m’accade? E’ accaduto che dopo il vento forte di una notte, un uccelletto dal nido suo caduto, abbia trovato di primo mattino, in questo bosco venuto. L’ho raccolto e sicuramente salvato lì lì da predatori, ma poi a mani amorevoli di donna l’ho affidato...Ho pensato di far meglio, ma ho or ora appreso da lei, che nonostante le cure, la storia non ha potuto aver un seguito e me ne sono amareggiato. Ecco, il mio dramma è qui tutto, ho iniziato, poi pensando altri migliore, ho preferito affidargli il bisognoso di attenzioni. Ho sofferto al cadere di tutte le mie illusioni quando l’epilogo non è stato buono, e un torpore nel fare è subentrato. Ho sì avuto lampi di risveglio, ma ora sono desolato delle mie passate rinunce a far di più, e pur è il tramonto degli anni miei... Ma niente, né la severità del giudizio a posteriori, che m’attoschi il ricordo di fatti lontani, né la stupidità di sempre, né l’ostinazione prima ribelle e positiva, né i fangai della viltà in cui mi sono talora cacciato, mi impediranno di gridarti la mia preghiera accorata. Salvami da me stesso! Che m’accade?False forse immagini di bene, suggestione torbida di essermi pur speso al tempo mio, ma pure brividi di sensualità, e forse volgarità laida, nel fondo del mio cuore dimenticati, quelli di quand’ero ragazzo in anni difficili, tra coetanei difficili, mi riappaiono improvvisi e ne ho vergogna...E’ questo l’epilogo della vita mia, il non voler ricordare, ché subirei il passato grigio e triste spesso, anche difficile agli inizi, da emarginato,ché di classe onesta, ma assai modesta ero, e ora il presente misero con pure pruderie tardive di vecchio? Oh quanti doni, quanti richiami da te a una coerenza maggiore, disattesi! Ho fatto davvero poco, nulla forse, e forse di più potevo, sì non ho lottato abbastanza per gli altri e perfino per me stesso! E ora sento spenta la gioia, e distrutta la pace del mio cuore. Ché talora sono rimasto imbelle al caldo focolare dell’amore della donna mia, immeritato, rifugiandomi tra le braccia sue a ogni, forse colpevole, disillusione! Un cuore tranquillo il suo, che ho reso ansioso, depresso perfino, e per l’egoismo mio e l’insicurezza mia! Ero nato perché l’anima mi si invilisse tanto? Vero ho tanto disatteso il tuo sogno e anche il suo? E’ me, madre, che nidiaceo del tuo amore, ora caduto, ché vento ostinato te l’ha strappato, devi far ricercare nei meandri scuri del rimpianto e forse della colpa. Ché mi sono drogato d’autoanalisi e ne sono rimasto intrappolato! Allora chi lo farà? Chi lo potrà? Nessuna donna che ti vicari lo può vero, se non la sostieni! Questa mia, che tutta s’è da sempre spesa per me... e sono state le sue, le tue mani, ha tanto amore, il tuo, ancora per questo indegno! Nessun’altra c’è, e non vorrei altre che voi sole..., ché so che è solo voi che lotterete per me ancora e ancora, e non lascerete che mi perda del tutto! Io o sono l’anima recuperabile di quest’amore, e questa sua volontaria a te mi riporta, o sarò nel nulla! Ma tu sola, supplice la mia preghiera,spezzerai questa voluttà di morte che m’è venuta, nella sensazione sgradevole d’aver sprecata la vita! Oh sbagliassi duro giudizio!  

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