sabato 7 gennaio 2012

La mia pace

Se dico: l’umanità è decaduta in una realtà
ostile, che il suo fattore esclude, questo è
un linguaggio che sa di incipit di una favola.
Ma posso giustificarlo dicendolo consono col
mito, essendo proprio questo il mondo
conseguenza del peccato, che vi entrò per
colpa dei primi, che, ignorando il divieto
divino, incauti, pretesero discernere le
ragioni del bene e del male. Ma il male è un
mistero, quanto il bene stesso, e questo ne
viene sempre ostacolato e nientificato, e
resta agognato dall’umanità, che assetata
sempre ne è. Questa non è favola...

Ma qui vero, una favola dirò, cercando i
tratti salienti del pensiero di Ugo da San
Vittore, che spiegarci vuole il perché della
venuta tua e del figlio tuo tra noi.

Egli pensa l’uomo dotato di tre possibilità di
visione, come se tre occhi abbia avuto dal
creatore suo. Quello che gli permette di
interagire con le cose tutte della realtà in
cui vive, il materiale, cioè fatto della carne
sua stessa, quello della ragione che fa la
preziosità della mente sua di sicuro
superiore a quella delle altre creature, e
quello che gli permette di guardarsi dentro,
alle ragioni del cuore suo, in cui il dio ha
voluto rimanere. Di tutte le sue potenzialità,
il peccato ha senz’altro annientato l’ultima,
la capacità più preziosa, di guardare e
badare alle cose spirituali e mettere il dio al
vertice delle aspirazioni sue. Inoltre ne è
restata come ottenebrata la seconda e ora
egli giudica imperfettamente, attraverso
una vista fattasi crepuscolare, e così
vivendo, procede, sceglie, sbaglia, si
corregge, qui nella libertà del suo sé, posto
tra quelle degli altri che gli vivono
accanto...Ma ha intatta la vista per le cose e
queste lo distraggono, lo abbagliano, lo
seducono  ed egli del dio perduto non si
cura, tanto che il suo fattore ne dispera il
recupero all’affetto suo. Sì, l’umanità si
comporta con il dio come la bella sposa
infedele, ché fuori dell’abbraccio suo
fecondo, si lascia attrarre e sedurre dalle
bellezze effimere del mondo.

A questo gli occhi ha inclini, a null’altro
badano!
 Allora il dio nel desiderio di riaverla,
sposa attenta e paga delle attenzioni sue,
decide di venire e competere con le cose
tutte, con i mille sfarfallii e lusinghe, che
tanto distratta l’hanno. Farlo
deve rendendosi visibile, autolimitandosi e
venendo qui come uno dei suoi, nascendo
da te; e lo fa, onesto e giusto, non
attribuendosi particolari doti naturali, che
attraggano, seducano e in fondo ingannino,

se non quelle necessarie a esprimere l’amor
suo, tenacia e pazienza. E quando pietà lo
prende delle tante miserie che incontra,
agisce discreto e ne vorrebbe il segreto...

Mai è dimentico di quel che deve alla sposa,
dimostrarle fin dove può spingersi l’amor
suo, ché vuole quella grazia, quell’amicizia
ritrovata,  da non smarrire più. Ma lo fa nell’incomprensione dei più e  spinge l’amor
suo fino al sacrificio della vita umana da te
donata,  nel disperato tentativo di attrarla,
e riaverla innamorata com’era nel sogno
suo, ai primordi... Tanto può la malvagità
del rifiuto che egli non può che morirne, ché
la sposa tanto ha la vista appannata che la
bellezza di quell’amore appassionato capir
appieno non può e lo lascia andare e ne
permette l’insulto e lo lascia uccidere! 

Oh quanto immeritevole è la sposa, tanto tu
continui a riproporle il frutto mellifero del
grembo tuo! 

Ed egli è ancora l’umile innamorato di
questa sposa bella e ingrata,ché per quanto
qui viva, si ravvede sì un po’,ma poi di
nuovo è distratta, tutta presa dagli idoli di
qui, lasciandosene sedurre e ridurre a
concubina da regina del re suo. E questo
continua a bramarla e a morirne d’amore...

Ma questo processo sì si rinnova apparente,
ma è già concluso nella mente del dio. E noi
cuori duri, che facciamo la durezza di quello
della sposa sua, forse non ci avvediamo che
egli tutti ci sospinge a te, a guarirci dal male
degli occhi cisposi e appannati negli umori
loro. Sì, vera Panacea dacci dell’unguento
per gli occhi, renditi col figlio diletto di
nuovo visibile, non continuare a privarci
della bellezza vostra irrinunciabile! 

Sì, vita es tu, sine te mors! 
E così voglio terminare questa favola, che
nata è dallo sforzo della mia mente povera
di comprensione del pensiero d’amore di un
grande. E perché favola? C’è invero una
certezza sola per noi, l’anelito innegabile a
chi si chiami bellezza, si chiami amore, ma
che sicuro pace è. E tu sei la mia! 

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