venerdì 13 gennaio 2012

Bambino tra le stelle

Medico, ho visto corpi devastati
e tentato di parlare a menti sconvolte e ho creduto d’essermi affacciato all’inferno. Ma v’era stato di più e fu come ritrovarsi in orrore già visto, come quello che terrore induce in sogni antelucani da cui è impossibile uscire, ma certi s’è che la luce fuori sta venendo a rasserenarci del buio della notte e ci è impossibile vederla, impegnati gli occhi nostri altrove, a ciò che ci sconvolge. Era, mi chiedo senza ancora capacitarmi, necessario quello che vidi e subii, non avevo sofferto abbastanza la perdita del fratello amato, non avevo diritto a crescere come gli altri, con piccoli crucci e sogni tanti che l’infanzia di tutti colorano? Perché tutte quelle bagatelle provocate dai falsi amici dei miei, a far piangere ancora mia madre e a dipingere sul volto di mio padre l’insicurezza e la paura perfino per la malvagità ferina di quelle persone, a tutto pronte pur di nuocerci? E come dovevo sentirmi io, bambino, quando già a un adulto cento mani non sembravano bastevoli a difendersi? Non era più tempo del pianto che gridi scampo dall’angoscia, ma dei rassegnati pigolii... Poi passò, altrove andammo a vivere e fummo tutti più sereni. La mamma perfino un po’ sorrise e il babbo si ricompose e un po’ severo, un po’ indulgente riprese, nella serenità riacquistata, a essere.
E fu allora che, come in sogno, la piccola sulla spiaggia venirmi incontro vidi, tutta impettita a mostrami le piccole poppe e sorridere a me proprio con occhi belli e capelli come neri, ché forse solo bagnati aveva. E io ammirato, no, stregato ne fui. M’ero accorto delle bambine! E quella con la bellezza sua immatura a ricompormi l’io frammentato inconsapevole contribuì, e così fu che l’unità di persona tra immagini, emozioni, impulsi, desideri, quelli d’una esistenza normale d’adolescente, di nuovo avessi. Cara quella sempre mi rimase e l’ho nel cuore bambina, e noi due soli sappiamo il perché...
Io avevo visto l’inferno, avevo camminato, avendo terrore del vuoto, sull’orlo del nulla. Poi ho avuto consapevolezza di te, e fiducia del tuo stare per me, venuta dalle stelle, non da quelle flebili d’oggi, ma da quelle del tempo mio primo, grandi a sfavillare nel cielo di miriadi di lumi. E consapevole anche dell’aiuto prezioso tuo,come e quanto provvido nella miseria e angoscia nostre fosse e da riporre nello scrigno dei ricordi più cari. Sì, quelle stelle della dimora tua, vedute ho solo nella serenità della prima infanzia, quando col fratello stavo a lungo ad ammirarle nelle notti d’estate, non soffuse delle luci della città che allora piccola era, dal nostro terrazzo della piccola casa in soffitta. Molte grandi erano e assai brillanti e ingenui ci chiedevamo chi vivesse tra le stelle. Ne ho riviste di simili solo molto più tardi, quando per mare andai in una notte incantata a far conoscere la dolce compagna ai parenti e amici della nostra amena Sardegna. Poi non più se non in un breve squarcio sui nostri monti, ché il sito del nostro pernottamento tutto d’alberi frondosi era. Ma le vedo nel mio addormentamento, quando la piccola mano della compagna cerco per sentirmene sicuro, piano piano ché non si svegli e spero di sognarla con te tra quelle luminose presenze. Sono il suo, il tuo inconfessato bambino? Così stanotte proprio faccio e per noi cantare nenia vorrei sentirti, quella della madre mia che bella un po’ come te era e voce di melodia aveva. Sì,io non sono affatto cresciuto, vecchio, adulto non ho voluto diventare, come da progeria affetto. Almeno adulto non mi sento quando, indifeso, m’abbandono alla notte delle illusioni e dei fantasmi, ché portarmi potrebbe al passato doloroso. So allora d’essere bambino, il tuo bambino!

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