martedì 3 gennaio 2012

Cuore d'uomo

Quante stelle stasera sgorgate sono
dalle polle dell’universo!
Già miriadi, godimento
esser vogliono, e d’amore,
per anime come loro, belle.
Ma dimmi se tra questi lumi, 
occhieggianti dall’azzurro del creato,
che qui guardar vogliono, indiscreti,
gli occhi tuoi trepidi ci sono.
Pupille di sicuro le più belle e lucenti,
che guardar sanno ove
quelle tutte non vedono…
Sì, penetrare e terra e inferno!
Così l’anima scrutare vogliono
e soppesarne il cuore.
Sì, guarda nel cuore del mio cuore!
L’anima mia qui sta timida,
smarrita tra tante effusioni di luce fuori
e troppo buio dentro…
e supplice, imperlata di lagrime,
chiede che tu illumini il buio suo.
Sì,  guariscila finalmente e stasera,
ché questa, l’ultima le sembra,
tanto oppressa è, sola.
Sì il nulla la vuole
e vuol prenderla così com’è, malata.
Ed essa è in quello vogliosa di vanire,
tanto l’abisso suo l’attrae.
Ma smetterò mai di commiserarmi?
Che sia questa la malattia mia da ultimo?
Ma malata è davvero quest’anima…
perché e di che? Saperlo vuoi?
Essa proprio teme che il male,
in che è immersa, le soffochi la speranza.
E, credo, se la speranza muore,
muore la vita che quella sostiene…
Ben strano è questo tuo dio,
che qui il male permette, e questo, inferno
fa la terra tutta. Questo il mistero suo,
e mistero è l’amore che liberar 
ci vuole da questa schiavitù.
Sempre qui il male rinnova la tenacia sua
e delle sue vittime par s’accresca.
Dove arriverà, ché è quasi incontrastato?
Ma com’è, dimmelo, che nella creazione
s’è sì tenacemente annidato e dov’è
l’origine sua, lontana?
I miti dicono che la prima donna
si lasciasse fascinare dalla possibilità
di saperlo, ma che non di conoscenza
ontologica si trattasse, ma amaramente concreta. 
Toccò il male e se ne contaminò!
Sì, il dio tuo, irato, permise dilagasse
nella vita sua, ciò dal quale fin lì,
esentata l’aveva con l’uomo suo.
Sì, favole simili vogliono persuaderci
del dio buono nonostante, e noi cullarci suadenti
vi vogliamo. Nessuna evidenza contraria
par scuoterci dal torpore, se non daccapo il male,
che assai vicino colpisca…
Ma oggi quel libro di favole ho chiuso
e attingervi non vi posso, né voglio.
E poi c’è chi crede, improbabile teodicea,
che il male sia una conseguenza della creazione.
Amara scoperta questa per la coscienza dell’uomo,
l’unico, tra le creature, che pensi alla morte sua.
Insito era, necessario, nella distinzione,
tra creatore e creatura. Anzi c’è chi dice di più, 
che come questa degrada, per la  presenza
del male, esso sempre più s’accresca e vanno
così rincorrendosi, l’una scemando
e l’atro accrescendosene, verso l’abisso.
Ma tutto questo di tautologia stride…
Però il figlio tuo è venuto
a garantirci con la resurrezione dalla morte sua,
che tanta infamia finirà nel regno
del dio buono, finalmente svelatosi.
Favola anche questa?
Fino ad oggi m’è bastata!
Ma stasera di tutto dubito…
e ho l’anima tanto arida e gelata
che se tu non mi guardi provvida,
temo si spenga…
E allora i tuoi, tra mille e mille occhi, cerco.
Ma tutti di morti mi sembrano…
i soli a guardarmi in questa notte,
che pur è di miracolo, che questo sono
le tue stelle, ché sei sublimis inter sidera!
Rassicurami che gli occhi tuoi ci sono
vivi e parlanti, anzi che, attraverso tutti questi,
mi guardi e gridi afona l’amor tuo
a questo mio lume, che sfarfalla come spegnersi voglia.
Il dio ha nascosto il cuore dell’uomo
perché nessuno vi guardi!
Ma tu incontra gli occhi miei,
guardami dentro!

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