lunedì 16 gennaio 2012

Come fa il vento

Tu sai che fa qui il vento da occaso, tutto sconvolge, e la costa tutta di marosi rabbiosi batte e le piante tutte del chinale e gli alberi del bosco qui tormenta, e poi pioggia copiosa ne porta, a far la felicità solo della donna mia, che, paziente, l’ha attesa per il suo campetto a lungo arso, ché preparar lo deve per piante novelle. Ora sai che così il mio cuore è tutto in subbuglio, il fisico e il metaforico anche, e non vuole che stanotte dorma. Tante lamentele ne porta e pensieri bui, che ne escono da una sua latebra, come veder puoi già di primavera da un recesso venir fuori al crepuscolo neri pipistrelli, sciamare nella notte imminente, che solo l’alba fugherà. E così sarà di questi miei pensieri? E questo cuore, che pianger vorrebbe di quel che avverte, si cheterà con l’alba? Bambino, mi dicevo per non cedere, piangerò poi, ma spesso m’accadeva che dal cuore gonfio, giù per gli occhi, improvvise, tante lacrime versassi, per un gatto morto sulla via o un topolino e perfino per una lucertola dalla coda mozzata, anche sapendo che ricresciuta le sarebbe, o una mosca, notando che aluccia perso avesse. Ero fatto così. E ora che un po’ bambino sono ridiventato, a chi almeno dirò le pene d’oggi? Ascolterebbe la donna mia, ma poi si farebbe triste. Invece, bambino, la madre mia, ai miei piccoli o grandi crucci, un po’ mi commiserava, ma poi ne sorrideva invitandomi a fare lo stesso, ché fuori il sole sempre c’era e, seppure contrasto avessi con qualche amichetto, tanti ne rimanevano a condividere le mie iniziative di gioco... Oggi non è così. Ho ascoltato, mi sono spesso intristito alle storie confidate, e ho cercato di dire parole di conforto, sincere. Poi, medico dei corpi e spesso, così, anche delle anime, sempre disposto all’ascolto come proprio erano il buon Esculapio e le figlie sue solerti, tutto ho celato da gonfiarmene il cuore. Ma per me non è stato mai così. Non ho trovato empatia, se non in questa donna che, per amore, tutto di me sempre conoscer vuole, da farlo suo e poi ne diventa assai triste ed è lei che confortar devo, minimizzando il mio, ché lei ne resta in angustie, finché, dopo giorni, di un nonnulla daccapo ridiamo. Ed è bella quando ride, ché tutta rosata ne diventa, abbandonandosi. Siamo una coppia così, un po’ predisposta al triste, un po’, ma sempre più raro accade, indulgiamo al riso, ma mai di persone o lor accidenti, solo ridiamo di noi e anche dei nostri ricordi a due, di fatti bizzarri talora accaduti... Ma intanto, se parlassi ora di ciò che mi capita, giorni di tristezza a due ci sarebbero ancora e non facili da scordare. Meglio sarebbe chiamarla stanotte per voglia di concretezze, ne protesterebbe un po’, assonnata, e dicendosi assai stanca, per arrendersi poi alle mie insistenze, ma così per quello che da dirle ora ho, sol male le farei... Allora meglio, e per tutt’oggi, sarà dissimulare. Ma gli occhi suoi sembran fatti per leggermi il cuore, e dire che tu ben nascosto l’hai, e talvolta vi riesce, ché intuito ha quel che dovrò pur dirle alle sue insistenze, e l’epilogo sarà il solito e talvolta so che ne piange in segreto... E’ come tenera formica che trascinar vuole troppo grande briciola, un po’ vi riesce,ma poi se ne stacca e un po’ intorno va per ritornare a nuovi tentativi, ostinata, ma poi via la vedi corre a cercar chi con essa ne sostenga lo sforzo, ma questa mia non troverebbe e se ne dispera... Allora forse sono proprio solo e forse troppo, ché prima ero uno che aiutar poteva, oggi di attenzioni, di conforto per me vorrei e non trovo... E mi chiedo è lei che ti vicaria, o t’ho ridotta a sua vicaria? Vero tu, afona sempre, ascolti? Sei la mia Igea e la mia Panacea, ché conosci il mio male e ne sei il rimedio, o stanca sei delle lamentele mie? O come accade alla mia donna, delle debolezze mie, ella lo dice di sé, più per esse m’ami? Davvero tu vuoi bene a quest’uomo vecchio e debole da sempre,intristito un po’ per propensione e più dai contrasti e ora da affanni che l’età acuisce?
Perché non lo gridi allora a questo sordo, o dici in qualche modo, comprensibile a sprovveduto, anche senza linguaggio umano? Noi proiettiamo sulle cose tutte il nostro stato, vediamo cose tristi se tristi siamo, giudichiamo belle e amabili talune, se siamo predisposti al sorriso e alla bellezza. Allora se tanto qualcosa mi turba, come confortarmi potrai? Eco, la ninfa rifiutata del mito, da sé ai suoi lai rispondeva..., e se le parole sussurrate dalle cose sono solo le mie stesse, chi di nuove e opportune ne dirà? Dovrai inventarti qualcosa! E forse passa con l’urgenza, l’efficacia della mia preghiera! Ne resterò disperato? Piccola donna sei nei sogni miei, ma come la mia, cuore grande hai , e tante richieste vi faccio di un po’ di tenerezza! Troppo è che voglio?

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