venerdì 13 gennaio 2012

Dacci le ali

Come quando una fiumana scende, tutto del bosco sconvolgendo, ché da mille rivoli è sostenuta per pioggia copiosa, e pietre ne rotolano al fondo e rami e foglie galleggiano alla superficie di quella mota, così la subitanea fama si diffonde irrompendo nel pigro giudizio delle folle. Vanesi gonfi e tronfi vi galleggiano, esentati dall’accomunare che quelle fanno per i più alla loro normalità meschina, quando persone di pregio, che non accalorano la fantasia, relegate sono al fondo da quella ottusità dilagante, che affatto pensa, avendo superficialità d’opinioni su tutto. E’ così proprio, per iniziale simpatia, superficialità talora o acriticità talaltra, che nascono gli uomini del mito, i capi, i leader, per la gioia fidente di quelli che volentieri vi si affidano, ma che tutti coinvolgeranno, sottomessi, in un destino tragico spesso o infame. E’ piena la storia, la cronaca perfino, di simili istrioni, che incantatori si fanno di popoli. Questo è il comportamento che in ogni epoca permette all’occhiuta furbizia di dominare genti ammansite, perché sciocche, e condurle dove non vorrebbero. E così tu vedi qualcuno appropriarsi dei beni fatti per la disponibilità di tutti, a far la ricchezza di pochi, soffocando le legittime aspettative delle masse rimaste grame...
E così è accaduto nella storia della religione. La chiesa , comunità dei credenti, è stata sempre in fermento,una fiumana di idee, ma novità interpretative sulla storia del dio, sempre tacciate sono state di blasfemia. E l’istituzione chiesa macchiata s’è d’orrori nel reprimerle. Ma la blasfemia vera c’è in ogni epoca, se si pretende di gestire il dio, piegandolo alla propria pochezza, che capace si fa di distinguere il bene dal male, e mai si è trattato di santi. E anche sempre sono emersi coloro ché in realtà solo dominar vogliono, nulla o poco e male sapendo del dio, su masse succubi della miseria, della malattia e della morte, mantenute apposta nell’ignoranza, ché terrore abbiamo della vendetta del dio dei falli loro. Ma un dio così non c’è. Io nulla so, ma ti avverto come il dio a me vicino e so che sei un dio d’amore. Credo che il dio come causa della realtà in cui immersi si è e che negar non si può, sia semplice, luce del tutto, amore per esso, null’altro. S’è manifestato a noi insipienti, ché come padre provvido lo pensassimo e figlio generoso fino al sacrificio, e te, umile ancella, che glielo hai generato da prima che il mondo fosse. Rimane però l’inconoscibile, il dio in sé, lo spirito. Ché, quando ci permetterai di vederlo, sarà solo attraverso la tua umanità sublimata e quella del figlio tuo che capiremo del padre, mentre il sé suo ne rimarrà oltre.
Non sarà altrimenti, ché voi soli mostrato ci avete là dove l’amore del dio può giungere. E il figlio tuo rimase annientato e tu ne avesti spezzato il cuore dalla protervia dei saccenti, quelli che sempre ricompaiono tronfi in ogni epoca, e non richiesti intermediari alla divinità si fanno e perfino pretendono di gestire il suo perdono. Ma sarà la dolcezza tua a introdurci alla sua dolcezza, ché madre t’ha voluta degli uomini tutti. E’ tutto quel che so e al sorriso che le mie povere considerazioni ti suscitano certo, m’arrendo e lo faccio alla benevolenza di amica di uno sprovveduto... Io so di non essere nell’errore, mi conforta san Pier Damiani, tu sei il dio qui e ora. E io ho raccolto le miserie mie e le angustie a te ho affidate. Qui donna sei stata e certo buona e ora anche bella, la più bella, sei e nati beati sono i mistici di ogni epoca, ché contemplata già qui t’hanno qual sei! Noi siamo così come siamo, manchevoli di saggezza, di bontà, di bellezza e occhi cisposi abbiamo che ci velano la vista delle celesti cose. Ma finiremo per somigliarti nella peculiarità tua quando raggiungerti, anime libere, potremo e vederti, fatti capaci, con occhi limpidi. Ora non voglio che questi occhi peccaminosi ti vedano, ché soffermati si sono anche su donne indegne, ma qui ritenute belle e desiderate. Ma se tu, pietosa, vorrai anticiparmi di te, fallo dagli occhi del mio cuore, che ti anela, diventato quello che avevo puro, bambino, a cui le brutture e angherie del mondo hanno i palpiti tentato di soffocare e distorto ché cacofonici ne restassero. Vedi quanto questa donna dolce mi conforta e fa con l’amor suo la mia preghiera ardente. Dacci le ali per raggiungerti, lasciaci rinascere uccelli o farfalle. Non lasciarci in questa forma meschina, essa non coglie l’essenza tua. Stanotte dormiremo abbracciati. Quello che l’uno spera l’altra vuole. Prendici così, siamo proprio un cuore solo, un cuore per te!
Mane, regina, sine tuo numine, nihil est in homine, nihil est innoxium!

Nessun commento:

Posta un commento