venerdì 13 gennaio 2012

Luogo v'è

Luogo v’è nel cuore in cui sito hanno le favole. Grande è nell’infanzia, poi si riduce, per esser quel che si vuole all’età mia. Molte esso ne recepisce, altre vi nascono, per esser subito scordate, incomplete qual sono o accennate appena, ma per riemergere talora, come a me accade nell’addormentamento, ed essere completate dolci o amare, proprio come le esperienze di quel giorno suggeriscono. Questa natura stessa, che ora visito, con la variabilità sua par pretendere di influenzarmi nel contagio che sempre subisco del fascino suo arcano. Che ne nascerà oggi che il cielo par voler piangere sulle cose tutte intristite? Ma non è a cose tanto tristi che penso oggi, nonostante queste apparenze. Ché ben diverso accade qui di primavera e ricordarlo è sognare. Il chinale allora è tutto d’erbe novelle e di fiori, e brezza dolce dal mare vi fa carezza. Tra le essenze tante prevalgono i gialli nelle tonalità loro. E questi fiori le lor corolle al tiepido sole distendono per attendere pazienti dei bombi rumorosi le visite assidue o delle farfalle leggiadre quelle più incerte, ché vaghe quelle son di fare, come da noi, femmine belle coi fiori loro. E così tra similiari presenze aulenti, ecco la mia favola, accadde un giorno di mezza primavera che si diffondesse la nuova che la fata dei campi volentieri avrebbe visitato il loro, per accertar della sua provvida ancella, la natura, il ben riuscito lavoro. Nessuno ne conosceva l’aspetto, ma i fiori tutti convennero che di assai bella e dalle grandi ali farfalla dovesse trattarsi. E fu allora che in un piccolo fiore, dalla fantasia più accesa di chi appena affacciato s’era a quel mondo variopinto d’incanti, fece capolino la speranza che la bella su lui un po’ avrebbe sostato, frugato tra i petali suoi imbrattandosi alle antere le zampette di polline, e al nettario gustato un po’ del suo dolce contenuto. E avvenne che un oh oh lungo di meraviglia presto si diffondesse, ché la più bella farfalla mai vista quell’anno, vaga ondeggiò per il chinale tutto, qui o lì sostando ai dolci suoi fiori. Ma il piccolo fiore escluse. Ne rimase deluso e dispetto. Ma poi pensò che pur bello era stato il sogno suo d’aprirsi alla speranza dell’amore della fata, e proprio un suo dono forse era il poter sognare e, a guardar bene, grande era la fortuna di esser fiore a questo mondo, e disponibile perciò al tocco dell’amore. Così ancora al sole, generoso con tutti, sorrise riconoscente... Così proprio dirò di me. Io ancora ero nel nulla e già qui qualcuno sognava di me. Poi venni a sentir amore della bellezza delle cose tutte, fiori di primavera, alberi d’autunno, nuvole e pioggia d’inverno, lucciole e stelle d’estate e canti, canti d’uccelli innamorati. E venne anche una bella, creduta fata, a interessarsi a me proprio, ma le mie richieste d’amore tutte deluse restarono, ché oltre quella passò. Ma se quella ti significava un po’, capii che già fortuna era stata di te poter sognare anche solo un po’. Tanto difficile è qui l’amor tuo trovare, che pur dispensi a mani d’oro! Tutte le cose occhieggiano della presenza tua, ma non sono le belle apparenze, che più ti significano, anche se indubbio di te recano, ma le buone più rare, che imparare occorre a riconoscere. E così quando una piccola leggiadra farfalla proprio per me arrestò i voli suoi, tu dovesti dirmi che era proprio lei la giusta per me, tanto instupidito ero da più appariscenti presenze, e che se io amore le davo, era in fondo te che amavo.
E’ questa la mia illusione? Ma se è questo il solo modo per darmi dell’amor tuo io ne sono ben fortunato! Qual sogno più dolce viver potrei? E non è già il sognare un tuo dono e grande?
E l’amore che è, se non sogno? E partecipare al tuo sogno è essere amore nell’amore! Sì, ché tutto quel che sogni è amore. Tu proprio nel desiderio della madre mi sognavi, quando ancor nel nulla ero, e mi volesti amore nel suo e tuo amore e ora in quello della mia piccola donna. Sono le stelle più fortunate?

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