lunedì 9 gennaio 2012

Mescolare il sangue

Nell’ultima sua cena il signore, avendolo
benedetto, prima il pane spezzò e ne diede
ai suoi,  quali particole di un simbolo, ché
quei commensali, assimilandolo,
riconoscersi potessero da allora in poi,
frammenti dell’unico suo corpo, ovunque
pellegrini fossero. Poi di simile fece, ché a
quel calice di vino, cangiato nel sangue
suo, tutti bevessero.Questi due momenti
volle distinti, il secondo al termine della
cena, e li volle memoriale di sé
entrambi,ché i credenti, rinnovando quei
gesti, stessero in ogni epoca sicuri d’essere
suoi, per quanto tardare potesse nel
ritorno suo. Volle forse significarci che,
come il sangue suo vivifica il proprio corpo,
ché in forma d’uomo sempre vuole esso lo
conservi, così, passato un tempo, non
importa quanto, quello stesso sangue, che
sparso fu per questo, ogni corpo
vivificherà. Ben può dirsi del sangue suo:
sanguis vita vitae, ché quel sangue,nuova
vita infonderà nei corpi spenti, quando
sarà che egli ritorni. Ora di strano c’è nel
richiamo del culto nostro a quel fatti
lontani, che il secondo momento è del solo
celebrante, quando egli, praesul in cena
domini, in persona christi agisce per il
beneficio dei convenuti tutti. Più fedele
proprio sembra il memoriale di altre
confessioni che il cristo nelle sue due
specie ministrano agli adepti loro. Forse è
altrimenti negato un senso importante
dell’ultima cena rinnovata, che nel
credente sia trasfuso quel principio
vivificante, dopo un tempo anche breve,ma
distinto dall’assunzione del pane, corpo
divino, a rassicurarlo sul destino suo e
della realtà tutta. Così che quando, quel
prezioso dono avendo ricevuto e così avuto
il sangue del signore mescolato al suo, egli
sarebbe stato mortis in examine,
nell’amarezza, venendogli tutto sottratto,
avesse piena la speranza, rafforzata da la consapevolezza d’aver nel sangue suo
quello del signore, di poter vincer
quell’amaro vissuto e consegnarsi alle
braccia tue accoglienti di madre.

Ma ora qui al tramonto, le cose tutte
sfumano nella penombra che prevalere
vuole e, soffuse d’un ultimo tenue
chiarore, paiono perder i contorni loro e
farsi indistinte. E mi muoiono alla mente le
parole d’una canzone della madre mia, che
dirmi della nostalgia del suo amore
vorrebbero, richiamate dall’analogia di
qualcosa che ora m’attrae, ché quest’aria
già greve di prima primavera perde i
rintocchi della compieta delle monachine e
riandare mi fa ad altre pasque liete di
presenze e d’affetti e poi amare, fatte di
mancanze e solitudine. Sicché io allo
spegnersi della luce in tanto incanto, non
più polemizzo, tutto ricompongo e
riconcilio nel cuore mio, che di tenerezza
solo bisogno ha. E spero che questa
compagna, dei tanti crucci che procurar
sembra fatale le debba, dimentica, lasci
che le effusioni mie il cuore suo consolino.
Tardive sono ma appassionate, ché la vita
nostra tutta è volata! Poi  che sarà, a
prenderci verrai? Ma l’altro di noi, ormai

di tutto ignaro, da una negletta zolla della
luce privo e del calore suo, starà fino alla
polvere ridotto, ad attendere del figlio tuo
la forte voce, sangue vivificante, quando
tanta umanità le illusioni cadute e i dolori
di sempre ad analoga tristezza avranno
condotto. E da questa polvere tanto
dispersa, che la natura, che tutto riutilizza,
anche in parti di altre innumerevoli vite
avrà composto, non forme di soli uomini
recuperate saranno da vivificare, ma ogni
altra forma di vita trascorsa quale che sia
la specie sua, dovrà riceverne di nuova...
e la materia bruta pur verrà chiamata, ché
ad essa, quando polvere, gli uomini
frammisti sono stati. Sì proprio tutto ciò
che è stato, vita diverrà e santo, destinato
a te, e garanzia ne è l’aver potuto
mescolare del divino al sangue umano,
disperso col corpo di cui era la vita
nell’apparente oblio di mille trasformazioni,
ché la morte consentirà di ritentare ancora
la vita in mille e mille forme. Ma allora
fondata è la speranza che noi risaremo
nella completezza col corpo ancora, ché
alla vita nuova  riassunti, con te saremo,
dalla stessa voce vocati, che anche chiamò
parte del tutto primordiale alla vita in
forme tante variate e belle. Tutto l’altro
restando della multiforme vita il supporto interscambiabile, non escluso dal
partecipare ad essa, cangiante nei mille e
mille suoi passi da percorrere a questo
mondo. A questo punto però la mia
fantasia s’arrende. Al  tutto ridiventato tuo
darai del dio la vita, e come e quale è un
più che non so, né potrei dalla finitudine
mia. Sicché taccio, ma consolato, ché tutto
vivrà e io e la donna mia e gli altri tutti e le
cose tutte. Il dio,la vita, sarà tutto in tutto.
E tuttavia ne rimango sconcertato, come in
una vertigine confuso...

 E se vero è che questa donna ha di te, io
che lo credo e lo spero, lascio me ne
distragga la voce sua dolce, ché ora
proprio me cercar vuole, e  che de lo
smarrimento mio, che gelo d’anima divenir
vuole, il calor suo addolcisca la pena.

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