sabato 7 gennaio 2012

Dulcis memoria

Nec lingua valet dicere,
nec littera exprimere,
expertus potest credere,
quid sit Jesum diligere.
 

Nel linguaggio nostro parole vi sono, che
dicono tutto di precisi oggetti o situazioni o
fatti, subito evocati alla mente, così, se noi
diciamo: “ci sono rondini a primavera”, le
parole rinviano a particolari graziosi volatili e
li vediamo riempire dei loro voli e talora dei
loro acuti richiami, un aere di sole, fragranze, colori...

Tuttavia per dire di certi avvenimenti,
sensazioni o stati d’animo, non bastano
singole parole, ma per farci capire abbiamo

bisogno talvolta di perifrasi,o di metafore, e
dire: tutto è così, e poi ancora..., o come se,

come quando... e ciò può non bastare, ché
l’interlocutore rimane talora perplesso
e noi incompresi. 

Ma nella frase latina riportata in apertura,
l’orante rinuncia a comunicare ciò che solo
chi lo ha esperito può, del mistero d’amare
Gesù, a stento concepire, quando né le
parole parlate, né le scritte possono
efficacemente descriverlo...

E poi ci sono parole abusate,
e forse la più di tutte è la parola amore.
Questa evoca ad esempio la sublimità del
sentire per una persona cara, o ciò che
accade tra due che hanno intesa di tenerezza
nei cuori loro, e anche si possono con essa
significare le manifestazioni dell’affetto loro,
fino alla fisicità di quelle. E altro ancora.

Ora io parto disarmato in quello che vorrei
dire, poco o nulla so del dio-amore, ché
povero davvero è l’argomentare, dalla
sprovvedutezza mia, sì, povera teologia in
povero retore, anche se proprio tu
confortassi il mio dire...e non lo vuoi! 

Sì, davvero m’hai significato, più volte, che
morta è ora ogni lettera, e non ho io risposto
che solo lo star muto a contemplarti ciba l’anima mia?

Ma questo dirò almeno: il dio, nella sua
essenzialità, parla per una sua persona.

Figlio è la parola che l’uomo Gesù usa per
dire sulla sua provenienza ed è la definitiva
espressione, a mezzo suo, del dio, che
chiama padre, ché questo essere vuole,
come per tutti, nella vicenda, che a lui capita,  rapidamente tragica, tra quelli di noi allora
e di sempre. Ma è la stessa parola
provvisoria per il Gesù della gloria, finché
non torni a dirci il suo nome, chiamandoci col
nostro, solo a lui noto. E dire che è seconda
persona nel dio, è affermarne la
compiutezza, la vita in sé che egli ha, ma
anche che, come manifestazione del dio tra
gli uomini,da lui proviene, lui significa, nel
tempo. Sì, quando tu diventasti madre
ancora e visibilmente, ma questo sei da
sempre, così avendolo distinto, figlio, dal
padre suo, col tuo fiat dall’eternità pronunciato.

Ho detto troppo? Ho detto non chiaro, fuori dell’ortodossia? Iddio non voglia! Ma su una
cosa non si potrà dissentire: semel loquitur deus.

E la prima parola è amore, e Gesù col
sacrificio suo dice che è anche l’ultima, sì,
questo significano creazione e redenzione
delle cose tutte. Lui, tu sei amore, null’altro
conta!
 Allora tacciano tutti, io per primo, ché
c’è il nulla oltre l’amore!
 Ecco quel che
Giovanni intende per verbum, colui che parla
semel e tutti tacciono...

Egli, il dio, non ha altro da aggiungere!
Sì,tu stessa, madre, non sei che amore,
tanto ne sei impregnata dal tuo fiat qui, dal
dio in sé, che come amore si manifesta e
t’inonda di sé da tutta l’eternità. Qui sei
stata, spogliando la dignità tua nell’umile
donna, che all’angelo, il tuo sì di sempre hai
ripetuto, ché quel tuo figlio da tutta
l’eternità, nel tuo caldo seno da te prendesse
carne e con occhi umani vedesse, amasse,
soffrisse. Sì,tu sei la prima e l’ultima parola del dio, tu sei amore, tu sei l’amore!
 Beati quelli che ti
invocano e ti vivono così come sei e i poveri
in spirito, e io tanto lo sono, cui hai dato una
concretezza per capirlo. Ché foemina
circumdavit questo sprovveduto, a
proteggerlo dalla debolezza sua di maschio, a
illuminarlo delle cose del dio, a colmarne le
deficienze, a educarlo all’amore, a ricondurlo
a te. Ché tutto è iniziato per te tutto torna
al dio per te, anch’io. Tu sei il ponte per il
ritorno della creazione tutta, e tu, fattati
porta del cielo, schiere d’uomini ne fai
entrare come stelle: intrent ut astra flebiles,
coeli recludis cardines! dice l’orante di
meraviglia e d’amore per te, la sublimis
tra le stelle tutte! 

E ora già tutto canta all’amore, già tutto è
per l’amore, ché è già la stagione bella! Forse
è questa l’ultima primavera che passeggiar ti
vedrà tra i fiori suoi...e me incantato. Non sei
tu il fiore più bello, che ogni altro significa?

E io ora, in questo incanto, non ho che ricordi
d’amore, sì, dulcis memoria. Ecco la madre
mia, bella e buona di cui ero già innamorato,
bambino, e che or mi sorride e mi tende le
braccia come fossi ancora il suo Ninì, e il mio
ricciuto fratello,invitarmi ancora ai cento
giochi che si inventava, ché non badassi alla
povertà nostra senza giocattoli, e il babbo,
dolce nell’animo suo, che voleva con noi
apparire severo, con poco successo però, ché
onesti crescessimo. E poi gli amici e i tanti
smarriti compagni, e quanti volti or mi dicono
qualcosa per non farsi più scordare!
 E or negli
occhi dolci e belli di quella che qui con te
m’ama, tutte le tue messaggere d’amore,
vedo...ed è qui la piccola della casa di
fronte,che tanto m’attraeva, e non sapevo
perché, e c’è pure il mio primo sogno, la
bambina di quell’estate... e quella del primo
bacio, e quella, che scordare per sempre
avrei voluto... e altre e tutte le altre, incontri,
parole mozzate o smarrite, e tutto si
riaffaccia al mio ricordo, volti cari e meno e
perfino quelli di coloro che inciso han male
nella vita mia, ché soffrire, e talora non poco,
m’hanno fatto... Tutti sembrano chiedere che
non li trascuri e non li spenga ancora nella
memoria, che labile vuol essere nelle mie e
altrui manchevolezze e debolezze. Sì,tutti
sembrano voler forzosamente entrare come
le cose belle che prorompere vogliono in
questi annunci di primavera, in
quest’atmosfera d’attesa! E quante parole,
quante più, le mancate!
 Quanti sbagli ed
equivoci nella corsa fino a te con lena
d’affanno e pena! Un cammino, una vita,
tanto, eppure poco ormai e nulla senza te!

Ma ora che vivo d’amore, che vivo di te, mi
perdono e ho un per-dono, un più, un oltre il dono
che offrire potrei, per tutti, te! E per primo
piango gli errori miei e d’altri e tutti
faccio entrare, tutti accolgo nel cuore, che tu
hai reso grande. E così nel tuo sto e non mi
importa se molto ancora dovrò penare
a raggiungerti, io corro!

 Ad te curro, ad te venio, coram te, gemens
peccator, assisto, noli mater verbi, verba
mea despicere, sed audi propitia, imploro,
come il Bernardo tuo!

 E con me questi compagni, ché la mia
preghiera per te s’è fatta corale, tutti vederti
vogliono, tutti ti sperano, tutti t’implorano!
Ma forse in questa mia visione di prima
primavera le parole sono troppe e davvero
l’amore mio, come ogni umano, troppo
fantastica sull’amata. Sì, tu sei il mio bene, tu sei l’amore! Eppure i sogni vaniscono all’alba
e i miei nelle cose tutte qui, che il sole
indora e carezza il vento...

Ti prego qui rimani con me, fa che t’ascolti
ancora nei mille mormorii, che questa terra
incantata respira! 

 

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