venerdì 13 gennaio 2012

Le monachine

Bambino, lunghe erano le serate d’inverno. La mamma cucinava a legna e quando il fuoco faceva, me ne stavo un po’ a osservare le faville che ne sprigionavano e che rapide per la cappa salivano a dissolversi...Sì, le monachine! Non so perché così le chiami la fantasia, dev’essere perché par celino il loro splendore, come facevano le ragazze, che, innamorate del dio, velavano la bellezza loro al mondo. E tante se ne sprigionano da legno vecchio scoppiettante e più ancora se il ceppo che arde battuto sia, liberato della carbonella che lo ricopre in superficie, ché allora meglio brucia. Sì, attizzare così il fuoco talvolta occorre...Così a breve farà questa donna, che, previdente, tutta l’estate ha fatto nuova legna, cura avendo sapiente degli alberi suoi, per bruciarla, a freddo venuto, nel nostro focolare. Vuole così, le piace far caldo alla maniera antica, e io presto sarò alla sua fiamma, appisolato un po’, a sentirla dire i fatti del giorno o assorto nei pensieri miei, quand’ella abbia altre cure. Sì, il freddo già s’annuncia e qui dove viviamo nella casetta di campagna, arriverà improvviso e male sarebbe non avervi provveduto. Ma, ti chiedo, non ti par questa del ceppo che arde in provvido fuoco, metafora di quello che per te esser vorrei? Io son ciò che brucia e d’amore, che è come fuoco che illumini e riscaldi. Tu di quella fiamma sei l’aria tutt’intorno, che viver la fa. Sì, senza te niente c’è nell’uomo e di innocente, niente tanto puro da manifestarsi amore, niente capace di mantenerne la fiamma. Ecco se tu per un po’, il fuoco che sogno, mantieni con l’attenzione a quel che dico, un uomo vecchio un po’ e stanco, appisolarsi gli si potrà vicino, nell’io suo sdoppiato, a far la fiamma e a goderne. E come un ceppo arde, così quello del sogno in fiamma, ma d’amore, si dissolve, e le faville, le monachine che ne nascono, son le briciole sue e significano il frammentarsi, il ripartirsi di quest’amore, il suo struggersi ché altri segua il fuoco là dove andar vuole, verso le stelle. Sì, sono le monachine, pensieri, desideri, e dicono della fuga alle stelle e vogliono che altri segua questo destino d’amore. E occorre celarli gelosi tanto che effimero ne paia lo splendore agli occhi del mondo, ma che in altra forma, in altra realtà rinascerà più fulgido in un sogno tutto nuovo, il tuo sogno, che il mio povero continuerà e magnificherà. E se ardo d’amore in questo sogno più bello, chi portarvi vorrò? Di sicuro quelle che interpretato t’hanno sulla scena del mio mondo, sguardi per me palesi o accennati, dolci nelle parole loro. Sono state tante e sussurrate? Non so, sono state! E quelle delle parole amare o negate anche, tutte coinvolte in questo tuo sogno, mio nuovo. E nella realtà tua ritrovarle, una sola per tenermela ben stretta, altre solo per saperle nell’amor tuo, felici...E poi gli altri tutti, i protagonisti della mia vita. Buoni taluni e pochi altri di parole solo cattive per me. Nemici questi hanno voluto essermi, non richiesti certo, non immaginati, sperati altrimenti...Solo nel tuo amore completerò il comando di amarli tutti. Più che perdonarli, li cercherò per averne perdono. Sicuro ho avuto colpa nel comportamento loro ostile. L’ho cercato inconsapevole? Non so, di certo l’ho meritato. Forse solo con parole suonate sgradevoli, inopportune, senza cautela, o atteggiamenti pur fastidiosi e incauti, forse sol mal interpretati, comunque colpevoli. Tal male quasi mai viene senza colpa alcuna di chi lo subisce. Appunto per la natura sua è sproporzionato, si prende tutto del malcapitato, eccessivo. Poi c’è più duro il male per l’innocente, più incomprensibile, ma io lo sono stato solo bambino e lì ne ho dovuto gustare l’amaro. Ma quello da adulto avrei dovuto e forse potuto evitare, se veicolato mi veniva da persone, delle quali ho certo sventatamente suscitato invidia e rancore, inducendo in loro una rivalsa sproporzionata e peccaminosa. Forse prima dell’incontro con te, prima che m’entrassi nel cuore, nulla v’era di innocente in me. Nemmeno il rumore dei miei passi, nemmeno il respiro! La mia fisicità è stata ingombrante e la mia presenza ha forse disturbato l’armonia di altre vite. E or nel progetto dell’amor tuo, tutte le vorrei coinvolte. E questa fiamma d’amore consuma la mia fisicità, come ceppo che arda e che qualcuno batta ché meglio bruci e le faville sue mandi per la cappa, porta al cielo. Sì, mi consumi l’amor tuo e i colpi della sorte accelerino il dissolvermi tutto anche in monachine. Pensieri casti sono esse per le donne della mia vita, propositi buoni per tutti, i malvagi anche. Sì, venga l’avversa fortuna, mi disperda in te, annientandomi, fuoco d’amore avrò dato e tante monachine. Sono ora, in questo sogno, esse stesse persone, quelle di tutte le mie parole. Verso l’alto corrono, anticipano perfino la fiamma in cui ardo, la precedono, la vogliono portare lassù dove sei. Ma ora tutta cenere vuol farsi la legna di questo focolare e tutto questo vecchio infreddolito s’è, assorto nei sogni suoi. Chi mi riscalderà? Ma già la donna mia mi chiama... è lei il mio calore, è lei il tuo amore qui, e ora scaldarmi vuole, ché con lei m’addormenti. Ci aiuterai ché questo tenero amore s’eterni? Oh quanto vorrei sapertelo dire!

Nessun commento:

Posta un commento