Riprendo
qui, meglio analizzandolo, un argomento accennato nel mio sito di
“facebook”, con considerazioni tentate tacitiane.
Quello
che più sorprende di questo mondo, tanto vario e complesso, se non
semplicistica è l'analisi, è la capacità di capirlo. Tutto è
scritto e noi vi sappiamo leggere! La chiave per le leggi sue è
un'invenzione umana, o una sua scoperta dal momento che è nelle cose
e nel loro divenire, la matematica! Tutto si svolge determinato in
un'apparente varietà di possibilità innumerevoli, ma queste non
escono dalle leggi sue, quelle cui la mente stessa obbedisce. Ma
anche se questa non ne coglie subito lo scopo, constata che tutto
muta e rapidamente, come stia correndo, e a un suo fine! Questo deve
necessariamente essere un esistente che non diviene, ché così
sarebbe immanente nel mondo, allora ne è anche il principio! Noi,
uomini di fede, lo chiamiamo il dio! Ma se gli uomini si vedono
partecipi di una vicenda che ha un suo svolgimento, un divenire
appunto, questo deve presupporre scelte, cioè libertà da una parte
almeno dei protagonisti, gli uomini, anche di quelli che mezzi non
hanno per avvertirlo, ché ne facciano la storia. Ma basta un pur
provvisorio stare e agire, la morte non interrompe per i viventi
tutti la partecipazione al processo, che potremmo chiamare di ritorno
all'origine, al dio? Sicuro è così per il supporto della vita, il
corpo, che permette lo stare ed evolversi di ogni vivente a questo
mondo, ma il suo immancabile cessare obbliga a constatare la
stranezza del continuo rinnovarsi di spettatori attivi o anche
passivi, del destino del tutto, che resta immutato! E allora c'è
chi, avendone fede, pensa che vi sia una sorta di memoria permessa
dal dio, che permetta a un che della mente di conservare anche
postuma la propria storia e, volendolo, di non uscire dal processo, e
questa parte dei fatti ricordati, chiama “anima”. Ma qualcosa,
una “anima mundi”, deve pur esserci per i viventi, e le cose
tutte anche, se da francescani, come a me piace sentirmi, li
pensiamo. Francesco li trattava con amore e io sento, grazie a lui,
il rispetto dovuto a chi o a che, essendo quel che è, vivente o
cosa, mi permette di essere quel che sono, nel mondo a cui tutti
contribuiamo. E il male? Nasce, credo, così. Il dio ha dato a noi la
libertà, stare o per lui o per se stessi. Cioè c'è una priorità
nella libertà, la possibilità del rifiuto di dovere avere un fine
oltre il sé, ed è il negarsi dell'uomo al dio. Perché? Egli, il dio,
suppongo, abbia previsto la tentazione dell'uomo. Infatti penso che,
anche se appena distaccati dall'origine nostra, ci accorgeremmo che
uno può esistere di per sé, cioè come persona indipendente, e
scegliere di diventarlo, è rifiutare ciò che permetterebbe il
riavvicinamento, annullando il distacco, e questo rifiuto è sì
libertà, ma anche male, è no al dio! Ed esso, permesso, dovuto
permettere, concessa la libertà di rifiuto all'uomo, è cresciuto, è
diventato tutto ciò che si oppone, rallenta il processo di ritorno!
E se si è pavidi, allora si tenta di vivere la provvisorietà, illudendosi concessa alla propria rinuncia, accettandola come tregua,
sperata lunga, dal momento che non si ignora il processo, pur sempre
percepito inarrestabile. C'è il male, è nel presente, è nel
domani, che se fruttuoso, la speranza prolungherà, caparbia, quasi
novella fede, nella vaghezza di un futuro benigno. Ma ci sarà sempre
un che contro il proprio atteso, come ben sa chi fidente non è!
Allora noi, che ne abbiamo capacità, scegliere possiamo, altro
aspetto, ma subordinato alla scelta del no, privilegio di libertà
all'uomo dal dio, anche di non aderire alle ritenute mendaci promesse
di tregua della vita nell'irrequieto mare del male, quindi correre o
favorire la corsa, non adagiandoci sul poco o molto che pare
garantito, ignorando gli sciorinati tanti esempi di presunta felicità
duratura. Infatti c'è pure la libertà del voler persistere,
favorendo comunque e partecipare a quello che può essere diventato
solo stentato cammino, e proseguire nonostante gli impedimenti della
presenza soffocante del male! Perché noi, che scegliamo di agire
così, sospettiamo, e credo a ragione, che se rinunciatari, solo ci
illuderemmo di essere tenuti lontani, quasi esentati da quel male cui
avremmo contribuito con la nostra inerzia. Esso può, improvviso,
interrompere, e distruggere il realizzato dalla pusillanimità di chi
si ferma, pago del poco suo, ritenuto bastevole, ma anche la
sicurezza, proditoria dell'anima sua, di chi fonda il suo non poco,
accaparrato, prevaricando, con quello che diviene manco, privazione
per l'altro, lontano che sia, o appena accanto, perché, sempre
avido, preso da inguaribile cupidigia, è vera creatura del male!
Giustizia dal male? No! Ma viene svelato l'inganno di questo vivere del male,
cibarsene, che però non si consuma, anzi più si impingua,
aggravandosi a danno di tutti. Sicché tutti pagano il no al dio,
anche gli impegnati per lui! E al male, per la libertà loro del
potersene stare per sé, i suoi sacrificano tutto di altri uomini e
la vita di altri viventi. E quelli che, loro malgrado, tutti
costringiamo a sostenerci, danno la loro vita per la miseria di
molti e l'opulenza di pochi, quelli della prevaricazione, e certo si
tratta di immolati al male, tra i viventi i più disgraziati! Ma
quando finirà tutto questo? Sì, quest'incubo per chi dalla parte
del dio tenta di stare e la sua libertà decide di spendere tutta per
restar attaccato al cristo suo, quale sia l'iroso vento, che tenti di
strapparglielo? E quando finirà il vento di follia di quelli che
perfino nel nome del dio, torturano, mutilano e uccidono, le nostre
donne anche! Quanto allora questi del male fanno a noi lontana la
meta? Non più, spero, di quanto l'avvicini il sogno, che mai ci
lascia, di vederla, che ci accompagna la vita tutta, travagliata
sempre per mediocre che sia, perché tutti paghiamo un prezzo per la
libertà nostra e dell'altro! Forse più ancora se è nostra la
scelta per il dio, e lottiamo contro il male e la seduzione sua! Sì,
la mia sofferenza forse vero assicura la tua temporanea esenzione,
chiunque tu sia, anche se da te rifiutata, tu avendo coscienza del
costo suo, tu standomi accanto, e da me chiamato fratello, ché emulo
sei della donna mia, che però, amorevole, si ostina a tentare di
distrarre il male da me, interponendosi!
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