lunedì 10 ottobre 2016

Raggiungere il cuore del dio

               
          Quando nella vita di quaggiù per il bene agisco, attenuando o risolvendo le difficoltà che incontra con me in questo cammino incerto chi posso considerare prossimo, o quando perdono chi insidia i miei passi pur lenti verso il bene e le mie intenzioni buone distorce, certo, mi ripeto, così vuole quella briciola del dio che è già in me. Ecco, mi dico, se questo vuole, se così è il dio, mi è tanto vicino, o lo ho proprio dentro, da infondermi la volontà e la capacità di operare nella sua giustizia, che vuole tutti partecipi di uno stesso destino di bene. Ma quando il male mi contamina e sminuisce gli sforzi miei o li rende vani, dov'è il dio? E’ forse il dio dell’abbandono? Ecco, nero è questo cielo o se stelle vi sono, questi miei occhi fanno lor fiammelle confuse, ché umidi diventano. Sì, la mia preghiera s’è fatta supplica, Ridai forza a queste mani, gli dico, non permettere che si smorzi in me il coraggio, già poco, di lottare questo male! Sì, gli occhi miei umidi, simili si son fatti a quelli di chi s’aspetta da me aiuto, conforto e io non ne ho più, nemmeno pietà per me stesso! Io cerco e non trovo, io domando insistente e non ottengo! Sterile la preghiera mia quanto il poco che ancora posso, che nulla risolve e davvero più non conforta! Perché? Io, uomo di fede, mi sento davvero abbandonato quanto chi tento di soccorrere…
          Medico, ho vissuto proprio così più di una angoscia, che rivivo come se fosse d’oggi e la preghiera prima che sulle labbra, ancora mi muore dentro! Ma perché ho conservato la fede, pur tante le smentite? La mia vita è stata tutta una lotta per essa e, guadagnata, non voglio perderla, mi costi pur affanno dietro alle contraddizioni che in sé reca! Fin da bambino dentro m’è entrata l’amarezza dell’abbandono apparente del dio, la sua assenza, il cercarlo inutile, il parlargli senza alcun cenno di risposta. A lungo sono stato chi un tal dio nega, tentazione che tornata m’è nei momenti più bui. Il male da sempre spadroneggia  invitto nella mia anima e la vita par sempre l’occasione di lamenti solitari, oggi stemperati, forse per residua dignità, nell'appena  pronunciato, parole morte già in gola, o delle poche lacrime a stento trattenute, che fan corona, gli occhi stringendo, delle fiammelle del cielo, che pur ci sono da sempre! Sì, di questo male tanto diffuso son succubo ed esso avvertire mi fa il cuore ferito, come avvertivo deluso quello di chi da me invano attendeva qualcosa nella pena condivisa, che il mio ricordo attualizza. Cosa mi aiuta?  Accettare ogni accaduto, oggi rivissuto, ogni personale fallimento, come chi vede nell'altro il proprio dio soffrire e morire su una croce ripiantata e nulla potere per lui. Egli è chi soffre anche del mio non sapere e potere! Sì, proprio uno che soffre di ogni dolore e muore di ogni morte! Credere non potrei altrimenti, senza pensarlo così! E ora che tanto è il tempo vissuto e più s’è fatta pena palese la sollecitudine per me di chi ho accanto, sempre amorevole, una piccola donna, prego che nulla le accada di quello che il mio cuore teme nell'ansia sua, ché ora più ancora non sa questa mente, né possono queste mani! Allora m’appello alle persone buone che benedetto hanno l’unione nostra, e che pia metafora vuole ci attendano in cielo, affinché trovino loro le parole per noi, per questo nostro povero amore minacciato. Sì, quelle che sicure raggiungono il cuore di chi chiaro vedono con gli occhi del cuore loro, inadatti, cisposi da sempre i miei!


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