mercoledì 24 agosto 2016

Vita di quaggiù

Talvolta immani calamità naturali ricordano la nostra condizione, insicura e fragile, soccorsa, meraviglia!, dalla solidarietà di chi ne è risparmiato, che improvvisa coscienza ha della sua migliore fortuna, altrimenti volto all'indifferenza per la diffusa fame d'attenzione degli altri tutti. Ma l'uomo ne resta diverso? Seppelliti i propri morti, curate le ferite di chi è rimasto, spento il pianto, si ritorna quelli di prima come il dolore non sia stato! Vogliono questo le ragioni della vita! Ed io, esentato ancora, che faccio, come mi spendo, se non per la vita? Torno, non potendo di più, alle considerazioni che mi detta la speranza che una tutta bella ci sia per tutti noi, definitivamente trascorse queste ambasce. E nell'oggi del dolore di tanti, di troppi, che dico? Se esperissi le vie tutte per le quali la bontà dei santi si è manifestata nei secoli nell'interesse per i meno fortunati, e le parole dei loro pensieri per te conoscessi, bella del cielo, nulla sarebbe se data mi fosse la possibilità di udire e custodire, geloso possesso del cuore, una sola tua parola, ché stella del mattino vuoi essere in questa mia notte, oggi più buia! E pronunciarla vorrei per chi? Per tutti i sofferenti, quelli che smorzato hanno il pianto loro nei miei ricordi, quelli che ora hanno da lamentarsi e lasciarsi udire, quelli che affacciando si stanno all'inevitabile dolore, ignari per lo più, come i coinvolti nell'immane disastro di stanotte, che la terra vicina tutta ha scosso. E se le lacrime mie hanno fallito in passato, allora anche per questa mia donna, che le altre tutte ha in sé, dovrebbe essere pronunciata quella parola. Sì, per lei anche, per la pena del suo vivermi accanto, combattuta dal non poter rispondere sollecita alle mie troppe richieste e dalla paura che mi siano ormai vitali e che senza mi perderebbe all'affetto suo! E tu certo detta l'hai pietosa, ché il ben uso suo ne facessi per chi tu pure ami, i sofferenti tutti e questa tua donna in particolare, che da me fa dipendere gioia e tristezza sue. Ma non l'ho intesa bene, ché il vento, che talvolta anche in cuore deluso soffia,  l'ha rapita prima che, compresa, ne facessi tesoro per usarla per il beneficio di chi piange in questa vita. E portata l'ha lontana a perdersi dove tutti i sogni svaniscono, lasciandomi gelido il cuore. Ed essendone privo, per sottrarmi alla tristezza di questo mattino, guardo al passato, pensandolo meno triste, e mi chiedo, Perché tutto è dovuto accadere irrimediabile e io a cercarne una spiegazione verosimile m'affannavo, senza dire cinico al cuore, Quod passum perditum ducas? Non fa tutto parte dell'avvicendarsi del voluto dalla fortuna o altro fato? Sì tutto, le disgrazie e il pianto d'oggi anche! Ma al balcone della giovinezza mia più la bella affacciarsi non vuole e io dalla via deserta invano gli occhi stropiccio ché quell'immagine ritorni...Perché l'ho, seppure sbiadita, nel cuore! E chi vorrà prenderla, potrà, ma tu sollecita non sei, tu che ridarle vita potresti almeno con un ricordo vivido! Lasci che tutto anneghi nello sterile rimpianto del potuto e non fatto, del possibile e non detto? E io busso alle porte del tuo cuore ché tu nel tuo eterno presente delle rinnovabili possibilità mi porti, dopo questa vita tanto sofferta! Ecco, scuoto il cuore di questa donna, per il tuo assenso, quella che ti presta il suo volto e mi illudo che un po' o molto del tuo cuore il suo abbia e m'assecondi...Che ne lascerà uscire? Se è l'amore tuo che lo riempie, allora il sentito per me quasi le farà violenza, finché avrà certezza che un po' del suo calore nel mio, oggi più desolato e gelido sia travasato! Che sarei senza questa che mi ti fa prossima? Un cuore forse in eterno rimpianto del poco di bello in un passato perduto, sì uno che più viver non vuole nel presente che sempre gli si affaccia mediocre e si risolve deludente, o come questo mattino angoscioso per le terribili notizie dell'accaduto questa notte, e ancora uno che attendersi dal futuro più non osa! Mi basta il già sofferto! E invece è lei proprio non rassegnata, che tenace vuol vincere questa mia tendenza ad abbandonarmi alla tristezza rassegnata alla monotonia o al tragico, e paziente ancora mi rinnova l'invito al suo amore concreto, non smarrito nella caligine del passato, un amore che prelude o già è il tuo, che il dolore sa lenire! Ma come quest'amore terreno è a un tempo gioia e dolore così lo è quello tra noi. Gioia se te, donna del cielo, il cuore indovina star dietro le apparenze di qui, le solite o le eccezionali, tristi più ancora, dolore se lo smarrimento della apparente tua assenza perdura. Non è forse d'oggi questo tuo nascondimento, velata dalle disgrazie contro le quali tu nulla hai potuto? Ma è necessario che la vita tutta mi occupi nonostante la discontinuità della percezione dell'afflato tuo, carente più oggi che mai. Ecco, a me viene proprio un'apparente discontinuità d'affetto di questa mia donna, quindi da te. Percepisco le più piccole variazioni dell'umor suo che la vita nostra affettiva condiziona, né io ne sono meno responsabile con chiudermi talvolta, pensando ella non comprenda o ignori le istanze che premono per conferme fattesi ossessive in questo cuore provato, oggi più scosso ancora. Ma forse tutto accade perché l'amore non si stemperi nella monotonia del quotidiano del già visto e detto! E se io penserò alla vita ancora come preghiera, cioè richiesta e attesa fiduciosa, io terrò ben stretta questa tua icona, sì proprio come fai di me per essa, che sembra eccessiva talvolta, prudente troppo da parer avara di concessioni al cuore mio assetato, talaltra, finché tu vorrai che così sia di te e me. Poi l'attenderò con te perché la gioia sua nel ritrovarci riempia e motivi la nostra nel rivederla. Noi non possiamo esser senza lei, io non ti percepirei più, se ella è il tuo volto e cerca d'essere il tuo cuore! E allora pregherò perché torni tra noi esentata da altre pene, perdonata così come tu la vuoi! Ma oggi anche prego il figlio tuo che questa ricorrente buia notte col cielo tuo fattosi senza stelle non ti nasconda più ancora, esentandoti dalle pretese del mio amore, e che io, che chiedo perdono perfino d'esistere, non sia tentato dal voler perdonare il tuo apparente abbandono, sì lo scordarti di me e degli altri nella sofferenza qui, valle di lacrime! Ma se lo faccio, m'accade nello sconforto, lunga da parer vana l'attesa di te, nonostante il tanto, il troppo chiesto a questa tua donna e la sua paziente rinnovata accondiscendenza, che è già risposta, ma lenta, attardata talvolta, alle mie urgenze d'amore! Ma occorre rassegnarsi, quaggiù si vive così! Un nascondimento, un dimenticare l'assillo d'amore da perdonare a chi si ama e forse più spesso da farsi perdonare!




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