Talvolta immani calamità
naturali ricordano la nostra condizione, insicura e fragile,
soccorsa, meraviglia!, dalla solidarietà di chi ne è risparmiato,
che improvvisa coscienza ha della sua migliore fortuna, altrimenti
volto all'indifferenza per la diffusa fame d'attenzione degli altri tutti. Ma l'uomo ne
resta diverso? Seppelliti i propri morti, curate le ferite di chi è
rimasto, spento il pianto, si ritorna quelli di prima come il dolore
non sia stato! Vogliono questo le ragioni della vita! Ed io, esentato
ancora, che faccio, come mi spendo, se non per la vita? Torno, non
potendo di più, alle considerazioni che mi detta la speranza che una
tutta bella ci sia per tutti noi, definitivamente trascorse queste
ambasce. E nell'oggi del dolore di tanti, di troppi, che dico? Se
esperissi le vie tutte per le quali la bontà dei santi si è
manifestata nei secoli nell'interesse per i meno fortunati, e le
parole dei loro pensieri per te conoscessi, bella del cielo, nulla
sarebbe se data mi fosse la possibilità di udire e custodire, geloso
possesso del cuore, una sola tua parola, ché stella del mattino vuoi
essere in questa mia notte, oggi più buia! E pronunciarla vorrei per
chi? Per tutti i sofferenti, quelli che smorzato hanno il pianto loro
nei miei ricordi, quelli che ora hanno da lamentarsi e lasciarsi
udire, quelli che affacciando si stanno all'inevitabile dolore,
ignari per lo più, come i coinvolti nell'immane disastro di
stanotte, che la terra vicina tutta ha scosso. E se le lacrime mie
hanno fallito in passato, allora anche per questa mia donna, che le
altre tutte ha in sé, dovrebbe essere pronunciata quella parola. Sì,
per lei anche, per la pena del suo vivermi accanto, combattuta dal
non poter rispondere sollecita alle mie troppe richieste e dalla
paura che mi siano ormai vitali e che senza mi perderebbe all'affetto
suo! E tu certo detta l'hai pietosa, ché il ben uso suo ne facessi
per chi tu pure ami, i sofferenti tutti e questa tua donna in
particolare, che da me fa dipendere gioia e tristezza sue. Ma non
l'ho intesa bene, ché il vento, che talvolta anche in cuore deluso
soffia, l'ha rapita prima che, compresa, ne facessi tesoro per
usarla per il beneficio di chi piange in questa vita. E portata l'ha
lontana a perdersi dove tutti i sogni svaniscono, lasciandomi gelido il cuore. Ed essendone privo,
per sottrarmi alla tristezza di questo mattino, guardo al passato,
pensandolo meno triste, e mi chiedo, Perché tutto è dovuto accadere
irrimediabile e io a cercarne una spiegazione verosimile m'affannavo,
senza dire cinico al cuore, Quod passum perditum ducas? Non fa tutto
parte dell'avvicendarsi del voluto dalla fortuna o altro fato? Sì
tutto, le disgrazie e il pianto d'oggi anche! Ma al balcone della
giovinezza mia più la bella affacciarsi non vuole e io dalla via
deserta invano gli occhi stropiccio ché quell'immagine
ritorni...Perché l'ho, seppure sbiadita, nel cuore! E chi vorrà
prenderla, potrà, ma tu sollecita non sei, tu che ridarle vita
potresti almeno con un ricordo vivido! Lasci che tutto anneghi nello
sterile rimpianto del potuto e non fatto, del possibile e non detto?
E io busso alle porte del tuo cuore ché tu nel tuo eterno presente
delle rinnovabili possibilità mi porti, dopo questa vita tanto
sofferta! Ecco, scuoto il cuore di questa donna, per il tuo assenso,
quella che ti presta il suo volto e mi illudo che un po' o molto del
tuo cuore il suo abbia e m'assecondi...Che ne lascerà uscire? Se è
l'amore tuo che lo riempie, allora il sentito per me quasi le farà
violenza, finché avrà certezza che un po' del suo calore nel mio,
oggi più desolato e gelido sia travasato! Che sarei senza questa che mi
ti fa prossima? Un cuore forse in eterno rimpianto del poco di bello
in un passato perduto, sì uno che più viver non vuole nel presente
che sempre gli si affaccia mediocre e si risolve deludente, o come
questo mattino angoscioso per le terribili notizie dell'accaduto
questa notte, e ancora uno che attendersi dal futuro più non osa! Mi
basta il già sofferto! E invece è lei proprio non rassegnata, che
tenace vuol vincere questa mia tendenza ad abbandonarmi alla
tristezza rassegnata alla monotonia o al tragico, e paziente ancora
mi rinnova l'invito al suo amore concreto, non smarrito nella
caligine del passato, un amore che prelude o già è il tuo, che il
dolore sa lenire! Ma come quest'amore terreno è a un tempo gioia e
dolore così lo è quello tra noi. Gioia se te, donna del cielo, il
cuore indovina star dietro le apparenze di qui, le solite o le
eccezionali, tristi più ancora, dolore se lo smarrimento della
apparente tua assenza perdura. Non è forse d'oggi questo tuo
nascondimento, velata dalle disgrazie contro le quali tu nulla hai
potuto? Ma è necessario che la vita tutta mi occupi nonostante la
discontinuità della percezione dell'afflato tuo, carente più oggi
che mai. Ecco, a me viene proprio un'apparente discontinuità
d'affetto di questa mia donna, quindi da te. Percepisco le più
piccole variazioni dell'umor suo che la vita nostra affettiva
condiziona, né io ne sono meno responsabile con chiudermi talvolta,
pensando ella non comprenda o ignori le istanze che premono per
conferme fattesi ossessive in questo cuore provato, oggi più scosso
ancora. Ma forse tutto accade perché l'amore non si stemperi nella
monotonia del quotidiano del già visto e detto! E se io penserò
alla vita ancora come preghiera, cioè richiesta e attesa fiduciosa,
io terrò ben stretta questa tua icona, sì proprio come fai di me
per essa, che sembra eccessiva talvolta, prudente troppo da parer
avara di concessioni al cuore mio assetato, talaltra, finché tu
vorrai che così sia di te e me. Poi l'attenderò con te perché la
gioia sua nel ritrovarci riempia e motivi la nostra nel rivederla.
Noi non possiamo esser senza lei, io non ti percepirei più, se ella
è il tuo volto e cerca d'essere il tuo cuore! E allora pregherò
perché torni tra noi esentata da altre pene, perdonata così come tu
la vuoi! Ma oggi anche prego il figlio tuo che questa ricorrente buia
notte col cielo tuo fattosi senza stelle non ti nasconda più ancora,
esentandoti dalle pretese del mio amore, e che io, che chiedo perdono
perfino d'esistere, non sia tentato dal voler perdonare il tuo
apparente abbandono, sì lo scordarti di me e degli altri nella
sofferenza qui, valle di lacrime! Ma se lo faccio, m'accade nello
sconforto, lunga da parer vana l'attesa di te, nonostante il tanto,
il troppo chiesto a questa tua donna e la sua paziente rinnovata
accondiscendenza, che è già risposta, ma lenta, attardata talvolta,
alle mie urgenze d'amore! Ma occorre rassegnarsi, quaggiù si vive
così! Un nascondimento, un dimenticare l'assillo d'amore da
perdonare a chi si ama e forse più spesso da farsi perdonare!
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