sabato 3 gennaio 2015

Altro non so




Come ragazzo, da troppa timidezza trattenuto, rotte le titubanze, avvicinavo la bella del momento e le parlavo, eppure ne restava povero l’espresso rispetto al desiderato, lungo congetturato negli esiti suoi, così è nel bilancio della vita mia. Ché poco e incerto nelle mete guadagnate è il realizzato, nonostante i propositi, belli e ricchi, nati da magnificate presunte possibilità nell’entusiasmo giovanile, ma poi disattese, come poco, o piuttosto molto, sono state le pur presenti. Io a discolpa potrei dire di non aver avuto fortuna, ma non sarebbe etico, contradittorio perfino se religioso voglio dirmi, ché incolpare la sorte è da superstizioso o di chi comunque desidera stemperare il fallimento suo con le ragioni oscure, che regolerebbero il mondo, assente il dio. Allora meglio dire di essere stato disattento alle opportunità pur offerte. Ma ancora meno mi sentirei realizzato come uomo dabbene se, ricevuta la chiamata a seguire del signore i passi, smarrite avessi le orme sue con un comportamento deficitario e mediocre, come quello che ha il pavido pastore, che a sé pensa prima che alle pecore sue, affidategli in cura. Questo perché quello che è umanamente scusabile nella vita comune, quando manchevole, diventa negatività seguendo la strada del bene. In questa, fattasi tortuosa per la mediocrità nel comportamento, esposte sono al pericolo di perdita della fede quelle anime che da essa si son trovate a dipendere. Insomma per certi compiti non si può essere appena bastevoli, sufficienti, ma persone d’eccellenza. E chi lo è? I primi discepoli del cristo ricevettero la missione di chi tra gli uomini s’espone per scacciar demoni dalla mente e insidie dal corpo. Ancora vi è chiamato chi ha sì cura di sé, ma sempre la pospone per l’altro, pur consapevole che vinto possa rimanere, ché più forti possono essere le combattute presenze da restarne il soccorritore stesso, vittima. Penseremmo oggi simile a quei primi, l’eroico medico nostro, di cui è appena notizia l’aver superato l’infezione dal terribile virus ebola che tanto angustia l’Africa. Insomma sarebbe assai penosa al contrario la scoperta di personale codardia in chi chiamato sia stato all’eroismo. Io a tanto non sono stato chiamato. Credo non perché egli sapesse lo scarso che gli avrei ricambiato, ma il rimorso e il dolore che me ne sarebbero venuti, abbia voluto risparmiarmi! Ma ho comunque persone affidatemi. La piccola donna e i figli che l’amore suo m’ha dato e le persone tutte che da me, medico, cercano tuttora consiglio e quelli che da me, insegnante, cercato hanno guida al sapere. Non è stato, non è piccolo compito. L’ho assolto appieno, lo sento ancora nella responsabilità che merita? È il momento di chiedermelo. Certo le bizze di questo mio cuore mi hanno limitato la generosità fin da quando potevo sentirmi giovane e preparato a tali compiti, ma, mi chiedo, non sono state anche lo schermo dietro cui nascondere la mia insufficienza e lo scarso coraggio, da cui esente non sono? Sono vero mediocre e deludente, o lo sarei stato comunque, anche qualora mi fossi per scelta destinato al più semplice compito, non d’essere davvero, ma sentirmi solo per vanità uomo? Se io riguardo alle situazioni irrisolte tralasciate, alle pene non alleviate, alle speranze deluse, anche in chi chiedeva poco, non posso scusarmi, non assolvermi, ma posso sentirli ancora come fatti appena accaduti da averne tormentoso rimorso! Ed è questo l’aspetto del mio cuore metaforico che credo mi riscatti, che faccia la mia ricchezza, anche nella povertà estrema del rinunciatario pavido, per ignoranza, trascuratezza, distrazione, mai per malignità. E che dire della mia vita affettiva? C’è di simile! Ma quando accadde? Occhi delusi, occhi spenti dopo aver pianto, vedo, che da allora certo hanno riso ancora, spero. Ma temo che in fiducia tradita nell’età dell’ingenuità, talvolta poi solo effimera gioia possa esserci, troppo cauta e sospettosa l’accoglienza sua! E di una donna il dio conta tutte le lacrime! Come mi riscatterò? Devo chiedermelo, anche se sicuro non sono su chi fosse più ingenuo, la rinunciataria o l’emarginato innamorato, colpevole, o forse solo stupido. Credo possa farlo solo amando con le forze tutte questa tenera donna, che, immeritevole, dal cielo mi deve essere venuta. Farlo, certo non solo dicendo e ripetendo amore a lei, che da me lo attende concreto, ma come vero merita e più ancora, rimastami accanto, non come l’antica, fuggita, nonostante non una, ma mille opportunità deluse! Ma, mi chiedo, non è lei che mi dà da sempre più di quanto io le offra e mi spinge a superarmi nell’affetto dovuto? Non sta in ogni gioia, per quanto piccola e breve, non sta in ogni lacrima, anche se questi occhi più darne palesi non vogliono? Che sarei senza? Povero, mediocre uomo, come mediocre amante! Eppure allora ancora sarei uno del riso suo avido e delle parole sue, immeritate sempre, ché pur nei rimbrotti ella mette amore! Allora perché tanto ne ho da lei? Quando vero nemico del dio mi facessi, saprei che, pur così degradato, m’amerebbe, ché da questa donna lo sono! E altro non so! Lamentoso il vento, fredda la notte e io la cerco ché un po’ mi riscaldi!

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