sabato 8 dicembre 2012

Stat crux...











Stat crux dum volvitur orbis.


Sì, eterna sta la verità sua, nulla teme, nulla può temere, mentre le parole tutte di saggi o stolti passeranno, e quando tutto crollerà, sui rottami fumanti del mondo essa s'ergerà invitta. Tutto sparirà, pianto e sangue, grida e pigolii, e l'orgoglio degli uomini tutti, e le opere loro, inghiottite dall'oblio. Ecco, avanza il caos, mareggiando ovunque con l'onde sue torbide in notte di stelle tutte cadute, e più non fanno carola le ore e già squilla la diana sulle tombe a risvegliarci per rivederla lampeggiante, ché sempre ha camminato con la storia nostra, precedendola. E da quella luce ora qualcuno grida la verità sua. Sì parla finalmente la croce! Vibra viva la voce sua sui tremanti risvegliati, che ne temono il giudizio, ma a rassicurarci! Io la bellezza, io la verità, io l'amore, io la vita! E penetra ovunque la voce divina e il suo universo ricrea per gli amati suoi. Ecco, queste mie parole, parafrasate dalle sublimi del visionario del dramma apocalittico, faranno forse tristezza ai pii o speranza, chissà, e certo sorriso d'ironia ai gaudenti, ma essa s'erge sulle parole tutte, le mie forse inutili quanto inadeguate, ma sulle irose anche, quelle dei veri meschini, e ora s'eleva tragica per il tradimento dei vili. E quando l'avremmo offesa pur noi, imprudenti suoi difensori per le dune di questo deserto che monta? Forse ogni volta che, sfiduciati dall'accanimento del male, abbiamo blaterato parole simili alle mie di oggi, e nulla fatto per i più miseri sfortunati. E so di non far nulla per te che mi gridi aiuto, ché paura hai d'esser qui sola in tanto disagio e pena. E io che faccio, seppure di goffo e di scomposto? Ma ecco, mi sorridi nonostante, e fiduciosa attendi che la nostalgia di te, caduto nell'inedia, astinenza dal cibo degli angeli, che più non merito, e la falta sua mi fa languire inoperoso, mi faccia rialzare per correre incontro ai lembi sereni del tuo cielo, guidato dal canto degli angeli tuoi, che or pur odo nonostante la viltà mia palese. Ecco, un seme d'eternità hai posto nello scompiglio dei miei giorni caduchi e il vento ottuso passa, gela, strappa dall'albero della vita mia, che tutto spoglio sta per essere contro a cielo plumbeo a mostrar neri scheletriti rami. Chi mi resterà, che mi rimarrà? Ecco un piccolo amore ho fin qui tenuto per mano, mi seguirà, potrà farlo? O sarà che debba sola continuare la stessa via, lasciando ella la compagnia mia, carente, inadeguata, ma d'amore pur sempre, e salir sola all'azzurro dove l'accoglierai beata. E dovrò proprio dirle, ecco il mio cielo è qui, devo fermarmi, tu va sicura avanti, lascia ti guidi la croce, sapendo che, se soffrirai, qualcuno da quella lo sta facendo con te e le lacrime tue le sue diventano. Non abbandonarti, vinci con essa! Nei tempi tutti, uomini stolti e malvagi hanno creduto di soffocarla con le difalte loro, ma sempre è riemersa fiera e bella più che mai dalle fiamme delle persecuzioni, non la vedi or ora alta sul monte spander luce e che le tenebre invano vi mareggiano contro? Affidale la tua solitudine, affidale la tua tristezza, è temporanea, io starò con la madre ad attenderti oltre questo tempo grosso e rio, e palpiteranno amore insieme i cuori nostri sul suo. Ricordi, una pia la disegnò con due pargoli sulle ginocchia, seduta serena al limitar della sera, uno era certo il figlio suo divino, l'altro una bambina, quella che ella sperava di ritornare. Ma io ti dissi, ecco siamo noi! Credilo e mi ritroverai!

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