lunedì 22 luglio 2013

Alla ricerca del dio







Pars prior


Il proprio credo non è ciò che si tiene per verità premessa alla propria vita spirituale, ma ciò che diventa verità evidente da sé, consapevolezza, che solo una crescente fede darà alla fine come certezza dei contenuti suoi. E mi chiedo, giacché tutto ciò che onestamente costituisce il complesso delle informazioni possedute sul bene assoluto, quale sia il credo, ha la stessa dignità, se la fiducia nel dio come il bene basti, renda possibile, una sua conoscenza diretta soddisfacente. Ma che significherà conoscere il dio qualora possibile? Tenterò di rispondere dalla mia finitezza. I mistici di ogni epoca e religione, intesa come ossequio al dio riconosciuto, lo credono e stanno dietro a questo sogno per tutta la vita. Io non so se essere mistici crei delle possibilità in più, ma so che duro è il tirocinio per divenirlo, così come non meno è quello che porterà a una fede autentica, quale sia, purché non neghi che il dio è amore per tutti. Chi non ama tutti è, per noi cristiani, lontano dal dio, oltre che in errore palese, perché non lo imita, non è suo specchio, non fa quello che egli fa amando tutti! E il voler molto somigliargli, è pretendere molto da se stessi, è difficile, duro. Sì, il cammino di fede è tutto di difficoltà, è un'erta, avaccia il cuore, il respiro affanna, perché? Forse perché nessuno dica mai di averlo concluso, il dio è davvero sempre oltre per tutti, non si è mai abbastanza buoni! Sì, è lunga e difficile la strada per il bene! Ora lo so. Mortificazioni inflitte dal sé, che resiste e appagarsi non vuole che dei luccichii, delle apparenze, delle vanità e non guarda alle stelle, e dal conto in cui gli altri tengono le diversità, anche quella di chi cerca il dio. Perché vero il cercatore diventa apparentemente diverso, uno che interroga, che del dio chiede alle cose e ai fatti, e lo fa dal dramma suo personale d'essere caduco e limitato, sempre tentato di desistere, nella solitudine, nella disperazione spesso, nel dolore sempre, e sta tra altri e non vi appartiene, e strano, estraneo, stravagante diviene per quegli altri tutti che spesso lo giudicano non sapendone il tormento, in superficialità, e, non capendo, stramberia ritengono il non adeguarsi e disprezzano le azioni sue tentate per il bene e i gesti e le parole sue. E poi anche rinunce, e tante, e contentarsi sempre delle briciole, quelle di chi, forse pietoso un po', forse distratto, forse con ipocrita compiacenza, nell'assai poco che avarizia concede di elargire, riserva dal vantaggio suo di fortunato, di favorito dal capriccio di questo mondo, ai più miseri tra cui quello sta, lasciandole cader dalla mensa sua opulenta come a cagnolini. Io sono, o solo vorrei essere, uno che ha camminato la via sua in simile ricerca, solitaria, e disperata talvolta, e ora sa di percorrerla non più solo, ma non meno dura, non meno difficile, e confessa la speranza sua, prima tenuta gelosa in una latebra del cuore. Ma la bella del mio cielo uscir non ne vuole, non vuole mostrarsi! Non devo aver sofferto abbastanza! E' già venuta in tanti sogni come a eterno bambino, anzi è cresciuta con me. Ora da vecchio, mi illudo di continuarla a vedere anche negli occhi di questa piccola donna, che accanto mi vive, ma è vero, pur mi visita ancora. Sì, sogni ci sono stati, ci sono, rari però, e v'è rimasta bella, giovane e sempre avara di parole, ma dai dolci sguardi e sorrisi, tutta tenerezza. Perché così mi illude, perché viene ancora nei miei sogni? Forse ha detto, ha voluto significare e non ho capito, sono rimasto stupido! Ecco è come se un po' mistico, visionario sia diventato, ma restato un ottuso innamorato, sì io non ho ancora la vera fede, quella che rende vicari d'amore consapevoli, che spinge a “condolere”. Quella che inserisce il gesto nell'opportunità attesa. Questo è misurato, non disturba, non umilia, non crea imbarazzo, è naturale, è spontaneo. Sì, non ho ancora questa virtù e la vita è quasi tutta passata! Non che non abbia sofferto, forse non troppo o forse molto, chissà, ma i sogni m'hanno tentato come una via breve, e io ho forse anticipato in essi ciò che non ho raggiunto, che m'è rimasto desiderio. Perché? Basta questa mia dimestichezza con un aspetto del sacro, che altri bonariamente definirebbe bagatella da credo primitivo e popolare, altri presunzione e blasfemia perfino, a poterla considerare visione diretta del dio? Vedo io? Non vedo nulla, ma tutto spero! Perché averne visione non è attribuirgli bella figura umana, e femminile nel caso dei miei sogni, ma capirne le ragioni, i perché. Arduo è,” arcana sunt dei”! Sì, sono tanti ad aver sognato sul dio, spesso confabulando, non di proposito credo, e perfino il nostro libro sacro sembra di tutte favole, anche discordanti nelle conclusioni. Occorre discernere e io leggo e non trovo, o non capisco dalla mia limitatezza. È più facile il sogno! E vi indulgo e non dovrei in un autentico cammino. Tutti dicono del dio, poco, tanto, e più non si distingue dall'autentico ispirato, l'aggiunto solo umano. Ma il mito, cui familiari si era nel mondo antico, era una via per comunicare l'intravisto, un espediente accettato per aver interlocutore attento e potergli dire il vero, o il creduto tale, sotto bella veste di favola, era “ars dicendi” da retori. Basterebbe oggi, ma c'è chi pretende il contrario, non prender tutto alla lettera e solo accettare credibile il filtrato di pii studiosi che vita spendono a discernere. Ma per noi cristiani c'è un credo complesso. Venuti qui sono in parvenza umana, anzi di più, vero così divenuti, persone divine! Ché lo hanno fatto, “cur deus homo”? Forse anche perché capir dovessimo che via breve non v'è, non v'è geodetica come da un punto all'altro del nostro globo, che porta alla fede e alla salvezza, accade come al poeta, vide il beato colle e non poté raggiungerlo, e gli convenne tener ben altra via... Così tutti, vedono qualcosa, sognano, credono di capire, ma tutto resta come in una caligine, sì mistero. Noi viaggiamo nel mistero! Ma che vedono? Si raggiunge il dio per l'uomo soltanto, accettandolo, perdonandolo, amandolo, e la bella del cielo, la madre del dio e nostra, vuole la si ami per amore di donna, e per amore scambiato con una sola donna, sua icona o suo specchio, vista, avvertita nell'amore. E per questo Agostino riassume l'ansia del cristiano dicendo, “timeo deum transeuntem”. Cioè mentite spoglie ha il dio, mai mostra la magnificenza sua, è in veste dimessa, mendica cibo e amore, e lo fa attraverso i pitocchi tutti, gli indigenti, i malati, gli abbandonati, i traditi, i migranti, ben l'ha detto il novello Francesco. Ma anche attraverso l'amore di una piccola, forse per i più insignificante donna! Ma di più ancora, assurdo, attraverso chi provoca, disgraziato, il danno altrui, il fortunato, il gaudente, che non sa d'essere il più misero e lontano dal dio, uno che la pietà dei miseri perfino domanda, grida afono senza nemmeno saperlo, per la situazione sua, la più disperata! Ecco qui uno, misero qualunque, vissuto nella speranza, uno vissuto di speranza. Io che ho? Ho forse te, bella stella di questo cielo di tanti notti estive? Ho un amore che ti vicaria, ché lo credo vero, ma forse solo mi illudo? Oh non sia! Sì, ti vicaria, ti significa, allora è tuo specchio, cioè fa, ripete quel che tu fai per me? È solo una piccola donna bisognosa di me quanto io di lei, è il mio tutto, è il mio niente, è la mia speranza, fa la mia angoscia, è un amore piccolo, o è forse grande? È un amore! Ho poco, ho molto, t'ho già raggiunta, sei quella cui brillano ora gli occhi in questo buio? Ma resto solo uno che ha capito poco, capisce poco, e i problemi di sempre lo assillano e sofferenza e solitudine ora teme, e amore fatto anche di concretezza mendica ancora dalla donna sua, e sempre da te, bella del suo cielo. Eppure è un fortunato, si sente, si vede amato, nella mediocrità che mai lo lascia, anche nei momenti caduchi e ingannevoli del mondo e nei suoi recessi bui, fino a tanto illudersi da poter credere l'amore eterno. E la donna sua è qui donna e in cielo, ma sono come momenti enfatici dell'amor suo, stella creduta. Ma resta un precorrere, anticipare, solo sognare. E miriadi di stelle fanno il brillio del cielo che in notti incantate lo vedono a naso all'insù estasiato quasi bambino tornato. Sì, c'è pur del bello a questo mondo e l'amore è possibile e sembra promettere che il cielo non sarà negato, occorre solo rimanere, crescere nella fede, cioè amare. Sì, sono rimasto, benché tanto difficili i tempi andati e così rimangono. Bambino, perfino era accaduto di piccolo coetaneo che si negò il mondo, pensato tutto cattivo e rinunciò a crescere, gettandosi alle falesie, eppur io vi sono stato attratto! Eppure notti v'erano anche allora, anzi di più, di stelle cadenti a far scia di mille faville! Molto più difficile è da sempre però la vita delle donne, patiscono mille insensatezze dai maschi loro, e ne piangono. E la mamma, che credo ne avesse pur'ella sofferto dopo la morte di mio fratello in un momento difficile di coppia, bambino, mi diceva che lì nel cielo fan di simile i simboli loro, brillano, sorridono eppur piangono, lacrime di luce, lucciole! Eppur io, che ancor mi beo di simili favole, non sono esente da questa stupidità di maschio e permetto pianga la donna mia! E' sciocco quest'uomo, è solo un bambino quando lo fa o eternamente insicuro, inconsapevole sonda, anche rude, la sincerità della sua, ancora incredulo d'essere tanto amato? Ma è vero, è cresciuto nei miti e pur, nei momenti belli, dice favole d'amore alla donna sua. E anche a sé ne ha detto, nonostante molte concretezze stringenti abbia da questa vita, da questo mondo di stupidità tanta e dolore. E vero belle son talune donne, buone perfino, e la fantasia simboli ne fa dei comportamenti che vorrebbe diffusi dalla sua speranza. Che sia così anche del dio? Luce lo simboleggia, quella che hanno gli astri tutti, e bontà e bellezza pur lo significano e amore, qualità tutte di molte donne di qui, che, se amate, quasi sempre rispondono dolcezza, amore. Ma è tentazione limitarsi ad apprezzarne qualità vere o presunte e per l'amore cercato si deve andar oltre, scendere anche dai sogni. È tentazione ancora divenir solitario, forse dalla malinconia facile di fronte ai fatti sconcertanti del mondo, ma si deve star con gli altri, accettarli, aiutarli, prevedere, provvedere col possibile, a portata e misura, discretamente, quasi di nascosto. Allora a chi questo fa, amando tutti, non parrà poi tanto strano vedere qui, invito, prologo d'amore divino, nella donna che da sempre gli molce il cuore e sopra di lui stelle a riempirlo d'altra bellezza! E allora potranno anche essere i sogni, sì tornare, non da essi partire col rischio di restarvi imbrigliato! Va via la vita con essi, poco o nulla del dio, poco della fede cercata. E non basterà dirgli t'ho sognato, ma si dovrà potergli dire t'ho cercato in tutto, in tutti. Sì, quanto t'ho cercato! T'ho amato!


Pars altera


Ma è d'adesso qui la morte di Carlotta, violinista assai giovane, prodigio, bellezza totale, angelo, ora sappiamo, solo prestato a questa terra! Come non piangerne? E tornano i dubbi e pare aver corso invano. Sì, il dio che fa? E quello che cerca e deluso rimane, vero di fermarsi è tentato, allora anche si chiederà, Può non essere il dio, solo perché qui il male lo cela? Gli hanno pur detto, E' proiezione del desiderio umano di bello, di buono, di giusto, postulati in un luogo fuori del tempo e dallo spazio, irraggiungibile e tale rimarrà nell'inconsistenza sua! E quello, che nemmeno questa congettura soddisfa, si chiederà più ancora, Possibile siano solo per la vaghezza di farfalle i tanti splendori a primavera, e per il lavoro operoso di bombi e api, sì, i fiori che pennelleggia un chinale, che tutto ne ride? Eppure essi diverso da noi vedono e se nella lor vista fosse possibile la nostra mutare, e questo scienziati hanno simulato, molte cose tanto diverse sarebbero da non piacerci più. E allora sono molte davvero le cose di qui, funzionali all'economia del mondo, e noi a vederle diverse e trovarle belle. Perché? Il nostro si chiede. Rilascia endorfine del piacere la mente alla vista di cose amabili perché viste belle, e non si sta dietro a donne, spesso vanesie, per il piacere di ammirarle e riceverne favori? Ma allora tutto inganno è la vita, siamo noi a proiettare il bello agognato sulle cose tutte per averne piacere! E quando muore la mente tutto il suo rilascia ingannandoci dell'ultima illusione, la bella morte. E sia! Allora tutto questo dal caso viene senza un dio, ma perché è così proprio, sì inganno? E altri dicono, Si illude il singolo da sé e intanto conserva la specie. E c'è chi, anche in questo, vede la ragione divina, tutto sta correndo verso un punto omega, si affretta all'incontro col nostro cristo veniente! L'uomo che s'affaccia alla fede non sa se è così, lo spera forse. E chi ne scrive e ne dice con presunta “ratio loquendi et scribendi”, sol ora, al termine della sua vita, sa qualcosa, ma non sa dirlo e se ha sempre tante parole, ora non sa trovarne... Ha come un barlume, e riesce a credere, nonostante il male diffuso che continuamente tocca, che qualcuno lo ami dalle stelle, come anche in concretezze tenta di fare la piccola sua stella, lucciola qui caduta. Sì, la più bella stella è rimasta in cielo a brillare per lui e tutti, ché ama tutti. È così o c'è dell'altro, non finisce forse col dire e raccontarsi sempre la stessa favola?E solo ad essa che crede? Forse v'è di più, ma s'è fatto bambino e sa di poter credere ancora ai miti ed è tentato alla stessa eterna sua favola, la bella del cielo, la sua stella, e quella che qui la vicaria. Perché? La vorrebbe vissuta da tutti? Sì è così, ma è forse la sola che sa, e ciascuno dovrà adattarsela, ed era solo un mezzo per dire dell'esperienza sua, mistica un po', e sta diventando essa stessa il fine che vorrebbe vero raggiunto da lui, da tutti! E la ripete ossessivo lungo l'erta della vita sua, forse anche per farsi coraggio, in fondo misero e stupido rimasto. Ma tutto è lecito nella ricerca annosa e affannosa, pure sognare del dio nella figura che al singolo più lo significhi, purché non si scordi il servizio vicario, l'amore dovuto a tutti, cioè per noi l'”imitatio christi”. Mai si scordi il “ diligite inimicos vestros”! La fede nostra è tutta lì! E pur questa dice, grida, contro tutti i materialismi, sempre risorgenti e tentatori, che vorrebbero tacitarla, il disperato suo bisogno di luce, e questo cantastorie vi aggiunge le fantasie sue, Ella, la stella, lascia, per gli amati suoi, cader stille di luce, sì pur piange sulle lor miserie e femmine buone diventano, e così lenisce le pene, dà la speranza, conforta per le vicarie sue, lo fa per amore, è solo amore. Sì, finisco al solito preso in un linguaggio fabuloso, scordo la “ratio”, quello di mia madre, quello dell'eterno bambino che sono tornato o da sempre rimasto, e di cui solo ho vanto, ma so di dire, un po' almeno, del vero, e lo vorrei in bella veste suadente, cattivante, ché il poco che ho, lo vorrei diffuso. È debolezza, stupidità? È amore? Oh vero fosse! E che dirò infine? Abbiamo qui piccole gioie, perché pur c'è chi vuole così. Riesce a darci qualcosa del tanto voluto. C'è la felicità, l'amore, chissà dove, chissà quando saranno nostri completi, ma ci sono, e assai forti devono essere per filtrare dalla fonte attraverso tanto buio e rimanere sotto parvenza di sogni umani, realizzati in qualche misura. Sì, pur l'amore c'è, non solo è, e tutti lo dicono il dio, quello che è in sé, inconoscibile, e quello per noi qui! E nella fantasia, nell'amore mio, il mio anche femmina è, c'è così, manifestazione sua, e san Pier Damiani è con me! Tutti abbiano questa meravigliosa consapevolezza d'essere amati da lei! Di più non posso, ma è augurio sincero dal cuore, ché sto nel buio tuttora, nella debolezza e nella stupidità da sempre, e forse solo m'illudo! E da come sono in questa finitudine e contingenza, che cosa altro vorrei saper dire? Sì di più, che non solo il dio è, ma c'è, vuole essere per tutti, essere qui e ora, farsi capire, perdona e chiede perdono dell'apparente assenza sua di oggi come di sempre, si scusa perfino del nostro non capirlo, ama, solo ama e neppure riesce a dirlo, a balbettarlo nemmeno, è come il peggiore innamorato in cui donna possa imbattersi e glielo debba dir lei che ne ricambia il sentire! E' ricco eppur non basta a sé, chiede molto e sembra ricambi poco, dà molto, dà poco e spesso non riceve nulla. E' assente eppur presente, vicino e lontano. E' negli occhi di una donna, nella dolcezza e ingenuità di un bambino. E' nella speranza, è in tutto, anche, o forse più, nella sofferenza, nel dolore che gli grida aiuto e lui sembra non sappia come, non possa talvolta nemmeno lenirlo dall'onnipotenza sua, tanto soffoca il male, lui pure! Sì, pare non essere qui talvolta, gli si grida e non risponde, si piange e pare indifferente, è solo un povero dio, è come sprovveduto di fronte al male interposto, allora, e sempre, forse perché per amore, è voluto diventare misero tra i suoi più miseri e v'è rimasto, o v'è sempre stato, impotente, vinto, di nuovo oggi su una novella croce a gridare, Eli, Eli! E io tanto mi sento come lui, “ condoleo”, che grido con lui, Perché mi hai abbandonato? Allora è lui che ha bisogno di me, di questo debole proprio e stupido e sognatore ancora, è lui che ha bisogno di te, lettore caro, ha, lui fonte d'amore, bisogno d'amore!





E questa favola non è!

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