domenica 10 giugno 2012

L'embrione

Mi proverò oggi a far metafora per noi due, dolce madre, di come accada che io t’ho in me, e tu mi porti dentro di te. Lo tenterò immaginando il racconto, sempre nuovo e affascinante, che natura recita con versi senza detti umani, quando essa scrive poesia a novella madre in attesa, ché nel seno suo ella ha piccolo grumo d’amore, che essa sta mutando nel dolce bambinetto sognato cui ella per prima riderà amore quando, vista la luce, esso le risponderà lì lì solo coi vagiti suoi. E simili versi scrive ad ogni madre in simile attesa, quale la specie sua, che perfettamente li intenderà, quel suo linguaggio suadente dentro dispiegandosi. Ché nessun altro può capire il suo messaggio personale la cui stesura dura quanto il tempo d’attesa, se non chi lo avverte trasmesso dentro di sé, con le mille sensazioni che la nuova vita le suscita. L’esperto forse può intuirne, ma la lingua non sa bene che dirne, ma io tenterò e la presunzione mia l’amore tuo scuserà. E oggi ho ricordi vividi di fatti lontani e mi rivedo a medicina ascoltare un’insegnante di rara sensibilità. Traduceva per noi quegli stessi versi, parlando estasiata dell’embrione in formazione. Tutta bella pareva e tenera e splendida e le si velavano voce e occhi. Non ho più vissuto niente di più commovente favola recitata!
Ecco nell’utero gonfio d’amore tutti gli organi in formazione e già dal primo mese il cuore, nelle cui cavità migrano cellule specializzate pulsanti a coordinare le contrazioni delle pareti sue e darne già battiti di riconoscenza alla madre. Sì, già rispondendo amore a quella che ne ha per lui fin dalla conferma della nuova vita in lei, forse agognata fin dai giochi di bambina. Eppoi gli occhi che pur non vedono e l’udito che alcun suono avverte e i polmoni cui manca il respiro, ed è afona quella bocca, e l’intestino non prende alimento e di simile gli altri organi preparati in lavorio continuo alla vita di fuori, nulla funzione hanno nell’attesa della completezza. E la madre vede per il piccolo suo e se quello non sogna forse che vaghe sensazioni, lei lo fa per lui, gioia e bellezza per i sogni veri che verranno. E ancora sente per lui e respira e s’alimenta, ché linfa benefica il suo sangue porti all’amor suo. E parla a lui e gli fa dire già nel babillage con cui le significherà amore, le risposte sue. Io non so ben dire cos’altro accada in quella simbiosi, ché donna non sono, ma penso che le colleghe mie che assistevano a quelle poetiche lezioni alla scuola di medicina, abbiano potuto rivivere e ripercorrere, nell’attesa loro, le principali tappe della nuova vita che in loro si formava, riascoltando nella mente la melliflua voce di quella cantastorie. Ma io so quello che m’accade tenendoti nel cuore e portandoti qui e là nelle mie lunghe passeggiate. Ti parlo, non mi sento mai solo! E una finestra t’offrono i miei occhi su questo mondo tutto bello in tarda primavera. Ecco, vedi e senti quello che io vedo e sento e ti tocca, inebriandoti come a me fa, la fragranza di cento fiori e ti commuove il canto di uccelli in amore e ancora ecco il volo di danza delle farfalle e il brusio dei bombi e ad azzurrarsi per il cielo le rondini, e se immagino della donna mia il sorriso tu lo vedi con me. Ma se t’ho qual sei nella realtà tua, io, che qui sono completa persona, per quel mondo, per quella tua realtà, che spero sarà mia, sono solo in formazione. Tu mi tieni dentro di te crisalide e ne uscirò farfalla! E nulla so di lì, ché niente ne dicono, forse che intender non potremmo, i santi cui ne anticipi forse la bellezza. E per la vita futura non ho occhi, né orecchie, né respirare vi potrei o nutrirmi del cibo e del canto mirifico degli angeli tuoi. Tu lo fai per me, ché sono l’embrione tuo e mi sogni lì pronto a recepirne la luce e vederti e udirti e a risponderti amore per amore. Avrò degli angeli la forma e del figlio tuo il corpo!
Io non so meglio dire e troppo forse ho spinto l’immaginazione mia, ma la compagna mia, che ha sentito dentro crescerle la vita e sognato la gioia da condividere e il riso da ricambiare con sorriso e pianto da consolare dei figli nostri, vedendoli, anticipandoli nel cuore suo, meglio illustrerebbe questa metafora d’attesa. Ed è per questo che so che ogni donna è tua icona, raffigura, esprime in sé la stessa tua dolce attesa di figlio amato. Sì, non c’è icona più fascinosa della donna concreta e di tutte le madonne dipinte o comunque effigiate, intagliate, scolpite da abili mani, più bella, più degna, più veritiera non v’è! E noi che ti amiamo, ci illudiamo di portarti le nostre donne! Sono loro che lo fanno, loro portandoci in seno, come già i piccoli loro, ché specchio tuo sono, fanno quello che fai e se tu dentro m’hai, la donna mia m’ha nell’utero suo! E mistero più dolce non v’è!

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