lunedì 10 agosto 2015

La preghiera





Forse una piccola premessa è doverosa. Io per me sono uno alla continua ricerca del dio, che cercherò qui o là , in me o negli altri, finché forza avrò. Qui mi occupo, in uno scritto lungo che spero non annoi, del male. Mi chiedo da dove viene e qual è l’ufficio suo, il suo perché. Concluderò che gli ultimi che crea, i poveri veri, quelli senza più nulla, così numerosi oggi tra noi, e vi vedo anche i migranti, è possibile aiutare se la pietas, conservata pure nella personale indigenza, è sostenuta dalla preghiera. È tutto per questo mese, buone vacanze!










Parte prima


È specialmente dei parolai di qui che sempre hanno opinioni, ma superficiali, su tutto e ne dicono, spesso neanche richiesti, dire che l'uomo vero mai rifiuta il suo ruolo, quale sia, o di vittima di soverchianti forze negative, o di combattente, impegnato a lottarle senza tregua e talora fino al sacrificio. E qui proprio, in questa scena che è il mondo, che si svolge il dramma di ogni uomo, vero, grande moralmente, o piccolo, e di tutto ciò che gli vive accanto, coinvolto, ché onnipresente è il male. Perché e chi altri lo può affermare? Chi tende ad esaltare l’uomo e quindi se stesso, separando il giudicato vero dal mediocre, da cui se stesso desidera distinguere. Si tratta soprattutto o di chi mai vittima vera è stato, pur rimasto perdente, e solo vaga idea del dolore estremo subìto ha, o di chi è solo presunto impegnato combattente e perciò uno che ancora capito bene non ha il nemico. Perché che è? È duplice nell’origine sua, c'è il male insito nel mondo stesso, ambientale, che è nella fisicità sua, e c'è l'aggiunto, perché la cattiveria, l'egoismo, la malizia ingannevole, spinti, estremi di certi tra noi, vuol venir fuori e aumentarne la durezza. Quanto al perché proprio ci sia il male rimane a me mistero. Sant’Agostino afferma che il dio non ne è l’autore, ma lo permette. Ma allora da dove viene, se c’è più ancora nell’operato suo, perché egli, il dio stesso, lo subisce? Forse è già insito nello spazio e nel tempo, creati? Ecco, ci sono cose vicine o lontane, altre passate, attuali o che stanno per venire all’attenzione, distinzioni che mi obbligano a un giudizio, perché tutte non possono essere ritenute dalla mente pur ampia, le lontane come le vicine allo stesso modo da esaminare nei loro dettagli, il che privilegerebbe la vicinanza, o ricordate e rivissute, o considerate nell’importanza loro nell’oggi, o anticipate se future. Alcune saranno da considerare e ritenere meritorie di attenzione, altre da accantonare o da scartare. Ecco è già qui in nuce il male, nella distinzione che precede scelta? E io che credo? La possibilità del male era stata certo prevista da chi ha voluto l’altro da sé, il mondo, l’universo di tutte le cose che gli sono distinte, e che il cristo ne facesse necessità di riscatto, redenzione dell’umanità tutta e delle cose di cui essa vive, nel suo destino coinvolte. Ma, accantonato il dilemma di dover considerare anche altre spiegazioni, intanto osservo che tutti abbiamo dentro la stessa tentazione che il nostro, quello che da noi viene, prevalga o almeno susciti attenzione, e io non sono esente da questa vanità, questo invitarmi deve alla prudenza, le mie sul male restano solo congetture e se vi insisto troppo vittima io stesso ne resto, il male m’avrà preso attraverso la vanità appunto. Ma dico anche che se si è mediocri in tutto, come mi sento anch’io in momenti come questo, vi sono tra noi quelli che, per quanto ne sia assai limitata la potenzialità loro di nuocere altrui, aggiungono il loro piccolo contributo alla malvagità così tanto diffusa. Perché lo fanno o è loro permesso? Si estinguerebbe forse questa parte notevole di male se non ci fossero apporti continui? È mostro che di continuo va alimentato? O si ci deve sentire cattivi per avere nostalgia della bontà? La più parte di noi però si ritrae timorosa alle prime avvisaglie di nuove, immaginate più crude e dure tribolazioni, e il singolo si augura o che lo si risparmi o se non lo può essere, sia breve il coinvolgimento e superabile da se stessi, tanta poca è la fiducia che chi gli è vicino lotti per lui, rischiando il suo. L'altra, dei meno pavidi, si prepara inquieta e attende fremente l’opportunità di lotta. Dovrà difendere il suo o, se più impegnata e convinta d'un ruolo irrinunciabile, la collettività. Come sarà la battaglia? Lunga ed estenuante dall'esito incerto o breve, cedendo presto una delle parti, la soverchiata, o deciderà l’esito la resistenza della soccombente, che avendo pur appena speranza di vittoria, al momento perdente, reagisce orgogliosa. Naturalmente con questo linguaggio una qualche personalizzazione del male è implicita, come non bastasse sia qualcosa, ma debba essere qualcuno, con puntigliosa volontà di sopravvivenza nel tempo anche. È perciò pensabile come persona, cioè individualità, come lo è il dio, che lo ha permesso e come lui spirituale, cioè senza fisicità pur questa essendone il solo mezzo espressivo? Chiaro non è il perché vi debba essere, cosa o persona che sia, ma certo il dio lo ha creato perché svolgesse il suo ruolo essenziale. Quale io non so! Affinché forse sempre ci sia chi neghi ed altri dubitino, spinti appunto dal male, che lui, il dio, sia il fine ultimo delle cose? Ma è un fatto che la negazione continua ne mantenga invece in altri la speranza, anzi la fede, certezza, dice san Paolo, delle cose che fanno la speranza. Come se il male abbia duplice valenza, contrastante e favorente la fede, o come se il dio voglia essere negato, ma anche sperato e sospirato, e questo avvenir possa solo nell’appena mantenuta vita, tanto contrastata, avvilita e precaria quella di tutti, oggi! Ecco questi sono da sempre i termini del dramma, c’è un supporto per i brulicanti protagonisti, per sua natura insidioso, il mondo, c’è chi più scabro lo rende perché vi si inciampi in poca luce. È dell’uomo la cattiveria! E ben lunga è la teoria delle vittime sue, ma è un privilegio del credente sapervi vedere in ognuna il cristo sofferente!






Parte seconda





C'è quindi oltre a chi subisce e a chi promuove il male, anche chi ne è tanto stremato che vaga, frustrato, senza speranza alcuna e meta. Tanti sono oggi qui i poveri, gli ultimi che vivono sempre più numerosi negli stenti, in questa lunga contingenza sfavorevole del paese, che c’è nonostante l’ostentato ottimismo di certi politici e le chiacchiere loro. Ma penso anche in particolare a chi costretto sia a fuggire dagli orrori di una guerra, dalla fame estrema, dalle vessazioni di una dittatura e fortunosamente sia ora qui da noi tra i disperati nostri. Sono tutti ultimi, quelli che senza più forze, senza aver trovato stabile ricovero, in fine giacciono, inane ogni sforzo, rassegnati. Finirà, si ripetono, questo giorno di minacce o già di dolore e forse un'alba più benigna sorgerà. Nulla credono, ché niente sperano loro venga dall'alto, sarà domani il puro caso, la pura legge dei fatti imprevedibili a essere favorevole o no. Ecco qui uno di questi, che fa, che dice? È annichilito, il male lo ha trasformato in un antieroe ripiegato, rannicchiato, tutto raccolto in sé, tremebondo nella presunta sua assoluta debolezza subentrata al subìto, in una attesa spasmodica in cui sarà la dea bendata a decidere, ché a lui non resterà che accettare ogni fatto, ogni esito, ogni destino, ché nulla potrà venirgli dalla protesta al mondo e al cielo pur accorata e gridata e a cui ha finito per rinunciare, persa con la voce, la speranza d’attenzione. È chiaro che questo piegato dal male va inserito nella speranza del credente e poco importa se lui attribuirà alla sua dea capricciosa un esito diverso, positivo, ascoltata invece la preghiera dalla bella del cielo. Dove e tra chi vive i suoi stenti? Qui proprio dove è nato e ha vissuto parte della vita sua, discreta e poi decaduta, oppure v’è arrivato sfidando l’infido mare che separa la sua costa dalla nostra e da noi proprio, che nella vita conserviamo, talvolta solo apparente, migliore fortuna, venuto a rinfoltire la schiera dei nostri poveri il cui disagio estremo viene a condividere. Occorrerà però più ancora, convincerlo che il suo atteggiamento fatalistico non danneggia lui solo. Ne restano coinvolti tutti quelli che gli sono accanto, o, se nessuno gli è rimasto, che occorre comportarsi come se chi sperava in lui continui a guardarlo, come attenda ancora qualcosa, anche solo il riscatto della memoria, con la miglior fortuna sua. È difficile che queste considerazioni non facciano alcuna breccia nella diffidenza sua. Perché questa si conserva? È vero, ormai o sta come da estraneo nel suo paese, è un nativo sfortunato, o proprio è nuovo disgraziato, raggiunto fortunosamente l’ospitante, e aprirsi dovrebbe alla speranza, ché quello che con i nostri miserabili condivide è qualcosa o già tanto se vero nulla aveva, altrove vivendo. Ma spesso respira un’aria di sospetto, quando non di palese ostilità, anche da chi è come lui povero, che pensa l’intruso gli rubi qualcosa o molto. Ma tra noi anche i buoni ci sono, che la pietas conservano anche nella loro personale miseria, cioè la capacità di sentir propri i problemi che l’altro angustiano e volervi rimediare. Che farà chi tra questi nel volontariato o in altre opportunità offerte al suo impegno, contatta il nostro misero, quello di qui o il pervenuto dalla sua povertà a quella un po’ diversa che lo ospita? Forse insisterà perché capisca che al pessimismo del vissuto, che va incontro alla morte spirituale prima che fisica, occorrerà opporre l'ottimismo del volere il nuovo, l’altrimenti, sì così che si voglia fortemente la vita, anche solo mediocre, ma che qualcosa di degno conserva per tutti. Anche per lui e qui, sebbene scarse le opportunità, quelle che molti che ci governano tendono a riservare ai nativi, talvolta vittime in peggiori condizioni degli arrivati da lontano! Anzi occorrerebbe fargli osservare, e ora restringo allo straniero le mie considerazioni, appellandosi alla intelligenza sua, che se è difficile penetragli dentro e convincerlo, smontandogli idee ben radicate, significa che è stato capace di erigere una barriera efficace di diffidenza all'altrui inopportuna e importuna insistenza, e che una analoga potrebbe fargli scudo efficace verso il male, forse cominciando dal volerlo vero contrastare e così sentirsi, suo malgrado, vivo, attivo ancora. Dove? Qui proprio in questo paese con tanti problemi già per i suoi, ma che pure lo ha accolto e in cui un suo contributo al benessere di tutti, non è preteso, ma atteso. Piano, piano l'irriducibile cederà, lusingato perfino lo si è, e tutti conservano pur nelle situazioni estreme un po' di vanità. Comincerà col chiedersi da dove venga all'altro tanta serenità e fiducia, visto che pure lui sta nella precarietà, e che sciocco non pare, e perché a lui si interessi, visto che è straniero di altre consuetudini e convinzioni, che ha dovuto accantonare solo per sopravvivere, ma che può riprendere per farsene difesa, e che soprattutto niente ha per il contraccambio! E piano, piano ne capirà il segreto. È la preghiera!

1 commento:

  1. Che articolo complesso, grazie per le tue riflessioni.
    Buona festa dell'Assunta
    sinforosa

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