martedì 17 febbraio 2015

Paura del nemico










Quando da me amore verrà vero donato e non atteso come se dovuto mi sia, e quando vero capace sarò di includere nel mio progetto di bene il nemico, ecco allora sarà il mio paradiso. Pareva lontano e mi sarà corso incontro! Parlo di un compito arduo, ma comandato da colui a cui vero è riuscito, per cui m’assista il cielo, deboli le sole mie forze! Ma intanto chi mi può essere nemico? Io non parlo di me stesso, tiepido talvolta nelle iniziative di bene, o di chi m’è di occasionale inciampo nel mio cammino al bene. E lo fa per pochezza d’animo, per faciloneria e noncuranza delle conseguenze di un suo atto o perfino d’una sua parola. Ecco cado, ma rialzare mi posso e guardare oltre o altrove. Ma piuttosto di chi s’ostina che modifichi, restringendole fino anche ad annullarle del tutto, le mie aspettative di luce, di pace, di gioia. Anzi di chi per malefica volontà tanto tenti di nuocermi che io ridotto mi veda a stare appena. E più che dalle sue reali possibilità di realizzarmi il buio intorno e il silenzio che ne verrebbe, dalle quali è umano aspettarsi mi difenda, con la fuga almeno, colpire più ancora mi senta fino all'angoscia dall'ostinazione sua perfida, che toccare mi faccia fin dove nel male l’uomo possa, senza provocata giustificata ragione, o senza mancanza o offesa patita da punire. Sì, fin dove spingersi possa l’uomo nel male gratuito, da pura antipatia o più ancora da cattiveria, dettato! Ma quand'anche vero così patissi, molto il perduto, il dovuto perdere, ecco possibile sarebbe il superamento dell’amarezza del vissuto, includendo ancora nello sperato il non potuto raggiungere. E quello del male desistendo, o efficace la distanza da lui, interposta da me, ecco la possibilità del perdono, che sfuggir non mi dovrebbe, e che nelle aspettative rinnovate includere mi faccia perfino il suo bene, cioè non escludere dall'orizzonte delle mie cose andate a buon fine la constatazione delle cose buone ottenute dalla sua vita. Cioè non cadrò nell'errore, già suo, dell’invidia, ma sarò felice di quanto di bene gli capiti, che favorirò nella misura del possibile, cioè io favorirò, se dato mi sarà conoscerla, la sua speranza. Sarà questo superamento del risentimento, a cui tentato potrei essere, l’amore verso l’antico nemico? Forse non bastevole ancora, ma un tentativo autentico d’attuarlo, sì. Ma pensiamo a un caso estremo, un ostinato mai dimentico degli infruttuosi tentativi di danno passati, li rinnovi, persistendo nella volontà sua dell’annientamento mio, e io fuggir più non possa o trovar schermo, allora a me trasferirà efficace il male della rabbia sua. Potrò decidere di soccomberne, mi compenserà il cielo! Ma che farò se coinvolto nella personale rovina vedrò chi amo? Cadrò sicuro nel baratro della perdita del dio! Ma guai a chi mi costringa a reagire e che peccare mi faccia, lo attenderebbe certo un più buio abisso dal quale solo la bontà del dio richiamarlo potrà nella durezza del perdono suo. Io qui restando, perdonare non avrò potuto e rispondere col bene alle provocazioni del male, ché non la vita mia rubata mi sarà stata, ma le ragioni sue, quelle che l’amore solo dà per continuare a restarvi! Questa la paura mia del nemico vero. Ma che sarà se molti cedono alla paura e tutti loro vedono nemici quelli di un’altra collettività, di un’altra religione, che sembri minacciarli, la guerra? E l’inferno di qui più ancora spalancherà la bocca sua e, famelico, ingoierà quanti più, buoni e reprobi, giusti e ingiusti, innocenti vittime o no e persecutori o carnefici loro, fedeli dell’unico dio e presunti infedeli! Ed è d’oggi questo pericolo! Ecco, la bella signora molte cose brutte trattiene nella rete della nostra preghiera, eppure talune le sfuggono e qui cadono, non trattenute dalle maglie di quella, non fitta abbastanza! Mai troppo è pregare!

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