giovedì 7 febbraio 2013

Uno strano rito







Oggi nuvole grevi ricoprono il cielo tutto, livido è il mare scosso dal libeccio e sol corto orizzonte permette allo sguardo la foschia. Breve il mio giro tra le cose che la recente pioggia ha reso vivide e declinerò a breve verso il sottostante santuario, ché riparo mi offra dalla minacciata pioggia, così la raccomandazione della compagna mia a non confidare sull'ombrellino di fortuna. E prego in questo mio passeggiare e qui o lì posar lo sguardo, al solito o nella lingua dei santi tuoi, o, più accorato, nella mia. Ma presto i pensieri miei sfuggono al recitativo e vogliono porti questioni alle quali da sé pur dovranno rispondersi, ma io confido che tu mi illuminerai. Ecco, sapere di te, credo, più sia ricordare. E che? Certo i momenti in cui ti ho sentita vicina, rimasta a spartir le mie pene per tanti avversi accaduti. Ma io non voglio pensare che, al confronto, il presente sia assai povero, sì,non voglio che la tristezza di tanta solitudine, mi svaluti la certezza di te. Così scaccio i pensieri più bui suggeriti dalla paura, che certo ha radici nel mio passato, ma che l'oggi promuove e amplifica. E che la fa? Son le cose che tutti angosciano in tanta incertezza, crisi economica, precarietà e assenza del lavoro per i giovani, fanatismi che suggeriscono violenza, odio razziale, e altro, ma più in me i problemi della mia età, che m'avviliscono la speranza. E quale? Che, “te deprecante”, la sofferenza non sia disgiunta dal superamento! Che cioè metafora sia, questo che m'accade, completa della morte del figlio tuo seguita dalla sua resurrezione. Ma a volte tale è l'apparente tuo disinteresse, che si sarebbe tentati a una sfida, lo scambio dei ruoli, tu non più spettatrice ma quella che gli eventi subisce in vece nostra! Ma presto questa proposta rivela l'assurdo suo, un abisso di dolore è il tuo, ché per nulla sei esentata e altrove guardar non puoi, ché dappertutto son disgrazie umane, né tener gli occhi avvallati puoi o chiusi a lungo per il tanto piangere e gridar di qui. Mai cuore come il tuo ha dovuto sopportare tanto, ché ogni dolore t'appartiene! E ci scopriamo in uno strano rito. L'accaduto a te e al figlio tuo si attualizza, come recitassimo una sacra rappresentazione, e finiamo con voi due in uno strano epilogo, in una tomba in attesa della resurrezione, che però tarda. Vi stiamo vivi e ne usciamo, paradosso, da morti.


Ma questi pensieri davvero bui finiscono al santuario. Ma la speranza mia di sostare e rinfrancarmi un po' in chiesa va delusa. E' tutto già chiuso, è mezzogiorno! E' proprio vero, “nulli certa domus”!

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