martedì 26 agosto 2014

Una brutta malattia







Oggi stanca è l'alba, sembra poco avanzi, così pure è scialba e fiacca l'anima mia già svagata, fatta ora molle e imbelle, con molti sospiri senza oggetto per cui vibrare empatia e con tacito, inconfessabile desiderio di inoperosità, da notte agitata, quasi insonne, sonnacchiosa or ora ridestata. E l'aria a occaso s'è fatta scura, greve. Pioverà? Ma già mi piove dentro, e fredda e sporca è l'acqua dal cielo interno, quello della mia speranza e della mia fede, che spezzate mi appaiono. Presto mi farà ghiaccio intorno e lo proietterò fuori e mi si chiuderanno, sbarrate dal gelo, le vie con cui questo piccolo amore al cuore mio viene, solerte vigilando, questa piccola donna ché la salute, anche fisica, non mi si rattrappisca. E quanto tortuose sono quelle che dal cuore mi partono! Ché, della salute sua ansioso, cerco di raggiungerla, e da lì le persone vicine, e più in là quelle che relazione, anche solo labile, abbiano con la vita nostra, ora umbratile e scontrosa divenuta. Così serpiginose sono quelle vie che al cuore da lì mi tornano, ma più ancora le più vicine, quelle che dal cuore suo mi vengono, sì, queste rendo inconsapevole le più difficili, quasi che a dispetto avessi ogni, pur agognato, aiuto! E mi singulta anche il cuore fisico, che attenzione pretende, e scuro più ancora dentro fa il mio vissuto con rantoli d'angoscia, e mi nega, con la follia sua, quel che di vita tenta fiottarmi da chi bene mi vuole, luce e calore dalla generosità dell'amore! Sì, ben misera s'è ridotta la vita mia, ché non ha freno, non ha pudore, mi fa vergognosa presenza, questo desiderio di rinuncia e di morte. Sì, mi marcisce dentro nell'avvilimento la vita, e sconcia è questa vigliaccheria che di quelli verso cui l'amore è comandato, e fra tutti prima a questa piccola donna dovuto, mi fa disinteresse, e mi divora, ché la colpa sua tutta sento, nonostante il torpore che fuori manifesto. Ma abbrutita l'anima non ho d'egoismo, ché tanto vorrei di bello e bene almeno per chi m'ama, ma il poco che pur m'esce mi costa immane fatica! Quando, mi chiedo, assillato che svolta radicale ci sia, ne uscirò, quando mi sgroviglierò da questo male, che di tutto mi fa noia e immeschinito mi fa in rassegnazione passiva e mi svela, mi fa sapere che ogni speranza è vana e inutile, troppo brutto questo mondo? Io interrogo il mio lontano sapere medico e del figlio, che assai più ne sa, cerco consiglio nella terapia, ma rimango in torbidezza molle e l'ozio anche morale mi ingoia nel fango suo! Al dio ho chiusa la porta, ma spero, paradosso, che lo stesso entri come fece dopo la resurrezione ai pavidi suoi rinchiusi in segreto, porte e finestre sbarrate, venendo. Ma gli occhi luccicosi di lacrime trattenute, che facile pietà velano della donna mia, mi riaccendono, e strano lo constato, sempre meno timida, la speranza. Quale? So, come indubitabile certezza abbia all'improvviso, che presto griderò di meraviglia, ché l'attenzione di tutti attirare vorrò, ché in noi e per noi due, che solo amore fa vivere, il dio avrà fatto miracolo, sì, fiorire ancora il bene a gloria della misericordia sua! E i nostri cuori ancora ospite dolcissima avranno la madre sua! E già sento tremare la farraginosità che dentro creata mi sono, ché pregusto la tenerezza sua di madre e amica amorevole, che vi farà dimora sua stabile. E se violenza occorre a che la pace riconquisti da questa depressione che m'attanaglia, io la prego di permetterla. Sì, lo sforzo eroico della mia piccola donna, che sanato da questa brutta malattia di mente mi rivuole accanto, conquisti con violenza l'intimo mio, ché rinserrata ne ho la porta. L'abbatta! Ma so che come un severo, più di ogni altro duro, rimbrotto sarà stato, gridata a sorde orecchie l'intenzione sua, ma poi dolcezza ne avvertirò, ché è così ogni cosa che da lei mi viene, e intanto saprà scuotermi forte le ubbie e gli echi di tomba che dentro mi fanno paura, fino a tacitarli. Così la tutta bella al fine dentro avvertiremo vita serena novella donarci, tutto perdonato, anche quest'ora buia, che, non voluta, sia stata da me passivamente mantenuta, e riamati come qui di più nessuno può essere. Ecco, mi scuoto, ritrovata un po' di dignità, il giorno quasi tutto passato è, declina, sbrigati fa violenza alla malattia mia, piccolo amore!

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