mercoledì 9 settembre 2015

La sofferenza e la sua speranza


Come chi di scienza ricerca il perché delle cose e contentarsi non può del conosciuto, ché col sapere aumenta il mistero che vela ciò che dà fondamento al mondo, così chi il dio cerca. Ne sappiamo qualcosa, alcuni di noi hanno vista più lunga e privilegiata dei fatti che ne concernono, eppure alla domanda, Chi è?, l’onesto balbetta e dirlo chiaro non sa e non può! Qui dirò del perché. Solo il saccente delle cose del cielo crede di averlo trovato e capito e di poterne dire a tutti. Ecco, sa qualcosa, eppure crede esaustivo e definitivo il saper suo. Chiaro che il suo è presunto sapere. E perché? Quello che è umanamente possibile conoscere in questo campo va vissuto, cioè si sa ma per frammenti, e solo se quei tasselli dell'oscuro mosaico si sono vissuti nella coerenza, soffrendone perfino la testimonianza, li si fa propri, collocandoli al giusto posto, ma rimarrà un sapere parziale per quanto numerosi e ben posti possano essere. Ecco, se io mi dico, Oh quanto è buono il dio! È solo perché sono arrivato a questa affermazione, solo per me valida, attraverso le mille sue contraddizioni e apparenti smentite vissute sulla mia pelle, sì è proprio un’affermazione sofferta, ma dal cuore anche o soprattutto. Sì, io ho sofferto per poterlo dire con convinzione, ma solo a me stesso, e non riferisco mie le conclusioni di altri, le dico a me dopo il lungo buio della mia anima travagliata, eppure quanto affermo è valido per me solo. E qui ne scrivo contraddicendomi? In verità molto tacendo, con discrezione, con pudore perfino, ché nessuno si offenda, perché io, non ostento sicurezza e non suggerisco una via, quella da percorrere potrà essere analoga, ma sarà personale e, dico per esperienza, sarà travagliata! Ma quelli che raggiungeranno un simile traguardo, devono ritenerlo come segreto del cuore, quindi non lo sciorinino, non ne dicano, non ne parlino! Perché? Un'affermazione, come, Penso che il cristo è in ognuno che sia nel bisogno, si potrebbe forse comunicare come un postulato della fede, lasciandola così scadere a premessa del proprio agire, ma la certezza va tenuta nel proprio cuore, dal momento che è un'evidenza solo per se stessi e perciò incomunicabile, ché se esce dal sé deve esprimersi a parole e tutte significano poco o nulla per chi le ascolta e non le vive. Perché si deve prudenza nel comunicare sulla fede? Rispetto si deve, non tanto all'incredulità dei più, che spesso è frutto di autentico dolore e perciò lo merita, ma alla sofferenza di ogni altro impegnato nella sua ricerca personale del dio. Questi forse a conclusione di un suo lungo travaglio terrà ben stretta a sé un qualcosa molto simile a quello che le parole anche mie vorrebbero significare sul grande sconosciuto, che ben chiaro sarà per solo se stesso, e come le mie parole per me, le sue per lui soltanto saranno e terrà la verità che esprimono, come geloso segreto del suo cuore. Ma dirà soltanto, richiesto sulla fede, Sì, io credo! Perché? La frase che afferma la bontà del dio, e altre analoghe affermazioni, di per sé è un non senso, smentita se si è abbastanza vissuto e provate le tante occasioni del male e il suo gelo. Dov'era il dio buono, da che era distratto da non accorgersi di me e di quanto mi capitava? Può dire chiunque! E io ho cominciato a chiedermelo ancora bambino! Sì, la mia conclusione è stata sofferta e a lungo, ma serve a me solo. Per l’altro, chiunque sia, anche per la donna che con me spartisce tutto, anche il malessere dell'anima nelle incertezze della vita, perfino l'espressione “io credo”, sintesi di quel che personalmente ho raggiunto, potrebbe suonare solo come invito a non lasciarsi scoraggiare da questo mondo di tante brutture, a non giungere a negazioni definitive, mai smettendo la ricerca del vero. E il vero è che tutto questo che fa la vita deve avere un senso, compresi il male e il suo buio che il mondo elargisce a piene mani. E soprattutto occorre non fare come il saccente delle cose del dio, che ne dice e ne ostenta con sicurezza e nulla ne sa, se non il riferito, anche del poco e male appreso, perché non vagliato, non passato attraverso le sofferenze della propria anima, spesso destinate a durare la vita tutta e l'oltre. È il dolore che vi scrive in modo indelebile e porta ad una affermazione o negazione sul dio e suoi scopi. Ed è sempre una via tortuosa, quella della vita, che qui tocca percorrere, ogni altro sentiero che par meno rischioso, le nuove vie cui possono invitare gli scritti belli d’una anima santa, possono aprire al problema, aiutare, far supporto, ma non ne sono la soluzione, che va personalmente cercata e trovata. Se i segreti della scienza si svelano a chi con tenacia li studia, soffrendo per il suo sapere privazioni e rinunce, questo è vero più ancora per le cose del dio. Nulla s’acquisisce se non vagliato dalla propria anima e questa percorre deve questa vita in questo inferno. Un posto in cui soffrono e muoiono nel dolore perfino i bambini, orribile, e occorrerà chiedersi non una, non cento, ma mille volte, Perché? Senza che da nessuno venga risposta, non dal sofferente rassegnato alla fine sua, non da chi ha superato tante altre prove e si augura che la presente non sia più dura delle passate, non dal saccente, non da un testo sacro, ma solo dalla propria anima che alle sue sofferenze s’appella e vi aggiunge questi dubbi atroci. Nessuno sa dire sul perché del dolore e del dolore dell'innocente! Ma ciò che uno ne ha concluso nel passaggio attraverso il tutto che ha fatto la sua vita e forse solo al suo termine, è per lui solo, resta incomunicabile. Chi conclude per la bontà dell'artefice di un mondo tanto corrotto e ingiusto, si augura una sola cosa che gli sia data la possibilità di vederlo oltre queste vili apparenze, che tanto lo nascondono, perché egli permette che questo facciano a noi e a lui! Il male il dio non esenta! A noi impedendocene la vista chiara e a lui negandogli la percezione del nostro dolore. Perché? È un mondo di molte ombre e fioca luce e il dio vi vede per i nostri occhi, che le tante sconfitte e il dolore che ne segue velano rendendoli di corta vista e confusa, ché dopo tante, troppe lacrime gli occhi vorrebbero solo chiudersi! Allora parliamogli, gridiamo a lui, nella preghiera, fino a diventare senza più voce! Ecco cosa vorrei ancora affermare, noi speriamo in un oltre diverso, ma questa speranza ha le radici sue nella conoscenza di questo mondo sempre sofferta, ma mai abbastanza sperimenteremo questa sofferenza della nostra anima, su cosa può il male, se un po’ non facciamo nostro, rivivendolo, l’accaduto al cristo. È venuto a svelare, a farci toccare la presenza del dio buono, ma un buio più profondo ne è seguito, che velato l’ha col dio suo più ancora. Ma non è morto per sempre, è uscito dalla morte sua! E forse è davvero qui ancora con la madre sua dolce, e afono ormai, grida per noi, dalla sua croce sempre ripiantata dai malvagi, dai saccenti, da quelli del libro, qui, là dappertutto ovunque v’è dolore estremo, sconfitta d’un uomo, sconfitta del dio! E che v’è di più sofferto del dolore e della morte di un bambino? Allora la speranza di vedere il dio palese nel suo luogo di piena luce, forse veramente la sofferenza domanda, perché diventi certezza, fede. E purtroppo la fede è sì certezza della speranza, ma per sé è soltanto, resta una verità del singolo, assioma del suo pensiero, del suo cuore! E io sicuro non ho sofferto ancora abbastanza per la piena, salda fede, e ho perfino paura di perdere il mio poco! Non voglio altro, la vera fede, ma non le sue parole, confuse, incerte e in fondo inutili, come quelle del mio affanno, invito a porsi il problema col rischio di una risposta di sole parole! Invece il senso della vita, solo intuito dalla sofferenza, resta mistero inesprimibile!

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