Talvolta
quando sono con me stesso, il mio pensare si fa da soliloquio,
colloquio. Con chi? Dico di me, di questa problematica mia vita a un
interlocutore dei miei ricordi, a mia madre o ad altra persona cara,
che conosciuto mi abbia nella sua benevolenza, uno che la sua lontana
amicizia, sola sopravvissuta, m'abbia concesso e lasciato come bene
prezioso. Perfino all’amichetta, passione da bambino! Ed è mistero
che l’amore me li faccia presenti, attenti alle mie confidenze, ai
miei crucci, alle mie pene, alle mie speranze, e che esso superi
quello della loro morte o della scomparsa dal mio destino, orfano
rimasto del loro amore. Sì, il mistero dell'amore sconcerta più di
quello della morte, è più profondo, ma, meraviglia, l'amore supera
le conseguenze della morte! L'uno è capace di avvertire presente
attivamente chi l'altra, troppo precipitosa sempre nel toglierci un
bene, un affetto, gli ha consegnato solo come ricordo. E con il dio
m'accade di simile! Chi è qui se non colui che solo l'amore fa
essere, altrimenti destinato alle cose che la ragione fa morte? Ed è
l'amore che vince la ragione e la morte che le vien dietro, perché
me lo fa presente, quando il mio colloquio si fa preghiera, anche se
non gli so dare un volto, se non quello delle belle madonne del
nostro rinascimento. Così dall'amore lo so attento ai più piccoli
turbamenti della mia anima qui, in questo luogo della morte e delle
cose buie e gelide che la precedono!
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