domenica 1 settembre 2013

Pensieri scambiati sotto le stelle







Compagni stiamo in notte di stelle a far vaghi discorsi, per lo più di ricordi a due, belli e meno, ma fascinosi sempre. E poi i sogni, le aspettative, le speranze che questa fede sostiene, scambiamo. E ti dico e tu ascolti, congetturi, obbietti, confuti perfino, ma poi t'arrendi al desiderio di perenne amore, che ci accomuna. E forse di più dirti saprei, ma poi rinuncio al nuovo, io non voglio convincerti del vero, ma del poco che sperar ti faccia di viverlo con me. E ora ti dico.


Tu sai che ci sono uccelli che son usi di notte vagare in perenne ricerca delle prede loro, e quando la luce del giorno gli occhi lor grandi e acuti offenderebbe, stanno al buio in un anfratto o in un cavo di ben annoso albero, e la testa tengono sotto un'ala per svegliarsi al tramonto. Ma non li diresti nemici della luce, ma che le particolari abitudini li fanno stare a lor agio se poca e soffusa, ma non del tutto assente è. Così qui, tante le ombre e il buio, che c'è a far minaccia, e anche se solo notte metaforica fanno, essa non è meno inquietante e misteriosa, tanto che solo alcuni vi si trovano bene e vi fanno, come nella reale certi uccelli. Nature umbratili dico, amano ben altro luccicore del solare, si gingillano, si beano delle preziosità crepuscolari del loro mondo di poca luce e si illudono durino, e affatto le sospettano illusorie, come effimere bolle saponose iridescenti, che si librano a far incanto, ma solo per breve ascensione. Altri, assai meno fortunati, non vi si adattano, anzi vi vivono paure e ansie, ché taluni son da quelli vessati, altri trascurati o negletti, e non osano nemmeno esprimere desideri. E poi quando più luce pur fosse, le loro miserie permettendo notino i primi, i sicuri nelle ombre, essi se ne distrarrebbero, non volendo vedere e stando come tengano il capo sotto un'ala, tutto il venuto da quella eccessiva luce infastidendoli. Sono così vero esclusi, fatti ultimi, come disadattati rifiutati, i diversi e sperano una vita novella, qui negata, e guardano ai tanti brillii in notti come questa, che paiono eterni e vogliano accogliere lor sospiri amari, diversi dai melliflui di chi, come noi, s'ama. Lo fanno in breve tregua dai loro assilli, o per effimero oblio degli affanni loro e, sotto tanto incanto, pene e speranze loro affidano alle stelle. Ma che sono le stelle, che è il sole che illude, pur troppo breve il giorno, che la luce possa prevalere? Son forse simboli qui di cose fuori del tempo, perché tanto duraturi rispetto alla brevità nostra, da far sperare l'eternità possibile? E questa congettura perché si fa? Non basterebbe alla vita agognata, pur realizzarla in un tempo lunghissimo? Forse, ma sperando altro dal vissuto di qui, la novella agognata si vuol collocare, temendo perderla se raggiunta, fuori dalla rapina di questo tempo, che avanzando di tutto s'appropria. Perché se ne ha esperienza come di un rio che scorra, ma che porti via pure le speranze e faccia galleggiare, sostenga questa realtà, l'ingiustizia sua, questo male prevalente, tutti aborriti. Che o chi ha voluto questo mondo? Mi chiedi. E io, Noi siamo tra quelli che accettano la causa prima e hanno fede, e la dicono il dio. Non lo pensiamo che amore. Forse perché è ciò di cui qui più difettiamo, sentiamo più carente. Allora ecco il prodotto del suo atto d'amore, ma da lui non origina il male, che par invece connaturato, ma lo ha, dice il santo, pur permesso! Perché, proprio non poteva far diverso? Egli al mondo ha fatto luogo, ad esso ha fatto tempo, ché egli non ha luogo fisico, non vive nel tempo. Così però facendo di sé assenza, perché altro da sé lo ha voluto, e quest'altro è diventato questa realtà nel proprio spazio, nel proprio tempo, senza il dio. Ma questa assenza significò possibilità di un molto diverso dal sé creatore, il non buono, il non bene, il non bello, e il male, il non amore, è venuto! E le parole, i gesti di quelli di qui, che sono stati e sono, sono secondo esso e saranno così, o sono nonostante, nei per lo più maldestri tentativi di opporsi. Ma pur egli l'ha limitato nel tempo. La durata è il tempo già trascorso, è il tanto residuo, ma non è quella delle stelle e ti dirò perché. Anche, se, subendolo, ci par assai lungo, troppo! E nel danno? Saper tu vuoi. E dico, Intanto da sempre c'è chi guarda alle stelle e v'ha trasferito la possibilità del bene e del bello, qui rari, negati per molti, o precari se realizzati in qualche misura. Sì, oltre questo spazio, questo tempo, nell'eternità, o illimitato presente del dio, che quelle suggeriscono. Ma v'è tanto di più, la presenza qui, nelle bassure dell'acqua paludosa, di persone divine! E saperlo fa scendere da quelle stelle la dolcezza della speranza, è gioiosa, ma discreta, contenuta, ché il male onnipresente non la guasti, notandola. Si libra allora dai cuori la preghiera, si innalza a quell'uno in freschi mattini, tutti di luce o in notti amabili come questa di mille e mille splendori... E io ora dico a voce alta, ché tu la senta presente come a me accade, alla madre, Stella bella a significarti il cielo non ha tra i mille brillii suoi, ma l'ha il cuore che di tanto amplifica il veduto nei sogni suoi. Io ti so vera via e sicuro porto, che cesserà tanto peregrinare per mare sì periglioso. Sei col figlio tuo diletto la verità e la vita, siete dell'uno originario la presenza, il suo esserci, partecipando del suo essere, e altro non so. Congetturo! Quell'uno con voi si riappropria del mondo e della durata concessa. Riempite l'assenza del dio, scacciate il male con l'appropriarvi della sofferenza delle creature tutte. Così la distinzione tra creatore e creature rimarrà, ma in afflato d'amore! Sì, lenta ma sicura libertà dal dolore, la più radicale delle conseguenze della primitiva assenza del dio. E quello che a voi è accaduto di dolore, è già stato, è ora, e accadrà ancora, e così il tempo fate vostro, ve ne appropriate. Esso diventa daccapo del dio. È per voi dolorosa esperienza il passato, vermiglia di sangue innocente, ché i succubi tutti lo sono, e il presente ne opprime tanti, e fosco è il futuro per molti che qui vivono. Fate vostro questo sentire. E l'amore vostro inizia ad affrancare sempre nuove vittime, le protegge, ne ha custodia. Ma tante sfuggono a tanta amorosa guardiania di noi qui peregrini, come sballottati gusci su acqua agitata senza requie. Perché? Malata avete resa la causa e non ne guarirà, e si dibatte il male e più e più ne colpisce. Ecco ai bambini perfino è deturpata la bellezza, quanto sproporzionato dolore per quei piccoli corpi e quelle menti ignare! Troppo! Ma il male è condannato e più che morire non potrà! Lunga e tanto, l'agonia! Oh quanto a caro prezzo abbiamo pagato il dono dell'amore! Che fare? Che dire? Cos'altro congetturare? Tutto è vano, il sapere non spezza questo destino e solo la fede in voi lo tenta. Sì, la vela che pareva la scienza gonfiare, s'é afflosciata, caduto il vento suo, quanto durerà questa sfiducia che vigoroso riprenda? Arreso si è proprio ora che insoluti rimangono tanti problemi? Ma intanto per il mare, iroso rimasto, va la navicella nostra, al momento come passiva, come senza governo. Oh quanto scura, tormentosa, insondabile ne è l'acqua, combattuta! Naufragio si teme, cioè dover morire senza speranza, senza neppure un barlume, di provvido faro o di stella amica!





E ora io dico, continuando il mio dire con mio linguaggio al solito fabuloso, ma ora cauto, piano piano, serio, come dicendo una preziosità conclusiva, a te che angelo, sebbene dubbioso, ti vede il cuore, e che, come rapita un po', ora m'ascolti, Noi dobbiamo evadere, mutar via, cambiar rotta. Potremo tanto, se veri figli di questa madre e fratelli di questo suo figlio sapremo essere. Ed esserlo nella pienezza del cuore! È un impegno per la vita che resta, rinnovarsi, rinascere. Sì, per questa madre, nuovi, diversi, camminiamo da ora nell'incertezza dei primi passi di piccoli bambini, al loro babillage torniamo, certi di sicura guida, di sicura protezione, di sicuro amore... E forse allora le parole nostre saranno sempre come di preghiera, discrete, in tono basso, accorate, supplici talvolta, e saliranno alle sue stelle, che il poeta dice mosse da amore, l'amore che move il sole e l'altre stelle!

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