Quando nel tempo antico,
il rapporto nel bisogno,
con chi, creduto che tutto possa,
e lontano stava, ben in alto,
pareva solo fondato sull’altalenante
do ut des, proprio ben semplice era,
per quanto errato. Sì, c’era mutua,
da parte del misero e dell’invocato,
ostentazione di viltà e potenza:
ti faccio se fai, e se no nulla vali!
E talvolta si favoleggiava d’un eroe,
che tra le sue braccia possenti,
una dea imprigionato aveva.
E per quanto quella mutasse per divincolarsi,
e forme diverse d’animali e cose si dava,
pur l’amore del pur riamato, vinceva
e quella, come forse, segreta, così aveva voluto,
vinta, vi s’abbandonava…
Così fosse di noi!
Non t’ho forse, eroe mio malgrado,
imprigionata nel cuore?
E non è vero quest’amore? E se mi cruccio
con te e spesso, è per riappaciarmi quasi subito,
supplicandoti e dandomi torti che non ho,
proprio come l’eterno innamorato fa con l’amata.
Ma questo rapporto che, saputo,
farebbe ben sorridere, ché non si immaginano
le pene per averti, apparendo melenso,
non è un scambio, furbesco e ricattatorio,
di favori, ché pagano non sono.
Oh magari lo fossi!
E illudermi di piegarti subito,
fuor dalla preghiera dura,
che l’anima asciuga, che ti cerca lacrimosa
per ogni dove, delusa!
Io sono il perdente in questa storia,
per nulla equilibrata come le analoghe antiche,
io il captivo d’amore!
Sì, proprio un rovesciamento
della favola bella, io ho le catene!
E oggi che ti dirò? Spererò ancora disperato?
Sì, ho nuova pena, e di quella giovane
dal male orribile, che nella disperazione
ha gettato i cari suoi…
E busso al cuore tuo
per parlartene tremante e d’amore.
Sì a te proprio, che donna della speranza
e della carità sei, io proprio colmo d’amore,
assetato del tuo, lascio questa compassione.
Facili son le lagrime per l’età mia,
ma se le celassi, se le trattenessi,
sarebbe sì virile, ma fuori luogo,
credo, l’ostentata dignità!
Io poco quella conosco, ma la so assai giovane,
appena alle promesse della vita…
Non abbandonarla alla ciarlataneria istrionica,
ai gabbamondo dagli occhi di rapina,
a chi dice e nulla sa fare…
Soccorrila tu che sai di medicina!
Sì guariscila, piegati all’insistenza mia,
fa come l’innamorata,
anzi come la schiava d’amore, che mai ebbi.
Illudimi come nessuna ha mai fatto!
Ho sete di te, voglia del calor tuo,
dell’abbraccio tuo!
Irrompi come tempesta, che scroscia,
come uragano, che ulula,
intimidisci il male!
Porta via l’aria sua torbida e stagnante.
Sì, sanala, asciuga quelle lagrime già tante!
Ridalla alla vita!
Quelle labbra devono poter dire d’amore,
quel corpo deve abbellarsi per qualcuno,
quel grembo dare la vita!
Non rinunciare a questo fiore
appena sbocciato, non lasciare che lo recidano,
lo appassisca il tempo!
Sì, appaga la mia ingenuità sempre novella
di proclamato amore, che ora al mondo grido!
il rapporto nel bisogno,
con chi, creduto che tutto possa,
e lontano stava, ben in alto,
pareva solo fondato sull’altalenante
do ut des, proprio ben semplice era,
per quanto errato. Sì, c’era mutua,
da parte del misero e dell’invocato,
ostentazione di viltà e potenza:
ti faccio se fai, e se no nulla vali!
E talvolta si favoleggiava d’un eroe,
che tra le sue braccia possenti,
una dea imprigionato aveva.
E per quanto quella mutasse per divincolarsi,
e forme diverse d’animali e cose si dava,
pur l’amore del pur riamato, vinceva
e quella, come forse, segreta, così aveva voluto,
vinta, vi s’abbandonava…
Così fosse di noi!
Non t’ho forse, eroe mio malgrado,
imprigionata nel cuore?
E non è vero quest’amore? E se mi cruccio
con te e spesso, è per riappaciarmi quasi subito,
supplicandoti e dandomi torti che non ho,
proprio come l’eterno innamorato fa con l’amata.
Ma questo rapporto che, saputo,
farebbe ben sorridere, ché non si immaginano
le pene per averti, apparendo melenso,
non è un scambio, furbesco e ricattatorio,
di favori, ché pagano non sono.
Oh magari lo fossi!
E illudermi di piegarti subito,
fuor dalla preghiera dura,
che l’anima asciuga, che ti cerca lacrimosa
per ogni dove, delusa!
Io sono il perdente in questa storia,
per nulla equilibrata come le analoghe antiche,
io il captivo d’amore!
Sì, proprio un rovesciamento
della favola bella, io ho le catene!
E oggi che ti dirò? Spererò ancora disperato?
Sì, ho nuova pena, e di quella giovane
dal male orribile, che nella disperazione
ha gettato i cari suoi…
E busso al cuore tuo
per parlartene tremante e d’amore.
Sì a te proprio, che donna della speranza
e della carità sei, io proprio colmo d’amore,
assetato del tuo, lascio questa compassione.
Facili son le lagrime per l’età mia,
ma se le celassi, se le trattenessi,
sarebbe sì virile, ma fuori luogo,
credo, l’ostentata dignità!
Io poco quella conosco, ma la so assai giovane,
appena alle promesse della vita…
Non abbandonarla alla ciarlataneria istrionica,
ai gabbamondo dagli occhi di rapina,
a chi dice e nulla sa fare…
Soccorrila tu che sai di medicina!
Sì guariscila, piegati all’insistenza mia,
fa come l’innamorata,
anzi come la schiava d’amore, che mai ebbi.
Illudimi come nessuna ha mai fatto!
Ho sete di te, voglia del calor tuo,
dell’abbraccio tuo!
Irrompi come tempesta, che scroscia,
come uragano, che ulula,
intimidisci il male!
Porta via l’aria sua torbida e stagnante.
Sì, sanala, asciuga quelle lagrime già tante!
Ridalla alla vita!
Quelle labbra devono poter dire d’amore,
quel corpo deve abbellarsi per qualcuno,
quel grembo dare la vita!
Non rinunciare a questo fiore
appena sbocciato, non lasciare che lo recidano,
lo appassisca il tempo!
Sì, appaga la mia ingenuità sempre novella
di proclamato amore, che ora al mondo grido!
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