martedì 7 luglio 2015

Lasciare questo mondo



Viviamo in un mondo ostile di miserie e di mali. Il male peggiore non sta tutto nelle cose della natura con le quali siamo in continua lotta, ma viene anche da dentro l’uomo, da dentro tutti. Sì, esistono crudeltà e malizia e fanno molto di tutto il male che c’è. C’è un luogo di liberazione da tutto questo? Provvisorio ciascuno lo ha dentro e fa la parte buona dell’anima sua, che può prevalere e allora buono diciamo quell’uomo, buono il suo cuore. Lo vediamo impegnato, sempre in un atteggiamento di benevolenza, prediligendo i deboli agli occhi del mondo, che spesso sono i soli puri di cuore, se questo è rimanere qui, tra tanta malizia come bambini ignari. Ma i malvagi egli non vuole escludere, spera che si ravvedano, fatti consci della miseria del loro atteggiamento verso gli altri, tra i quali devono proprio scoprirlo, c’è chi non li disprezza, ma tenta di comunicar loro una novità per l’anima loro anchilosata, qui possibile è anche l’amore. Così l’uomo buono va per la sua via, qui soccorre, lì indirizza al bene, che crede meta dell’umanità e delle cose tutte e lo spera e lo dice con ogni suo gesto. La vita sua così trascorre e attende di passare nel luogo che ha sempre tenuto dentro e ora proietta fuori e se lo finge oltre le cose di qui e il loro tempo, e lo spera liberazione per l’anima sua stanca in tanta lotta. Ma uscir da questo mondo spesso non è facile e c’è un corpo che trattener vuole, vecchio, logoro, deve proprio ammalarsi prima di cedere. E la malattia può essere penosa personalmente e per quelli che ne sanno le angustie, perché gli sono accanto per amore, ma non v’è altro modo di uscir dal mondo. E il dio che fa, ascolta la preghiera che da loro viene e può qualcosa dal cielo in cui s’è relegato? Muta è ogni icona per l’implorante e chi raffigura è in atteggiamento non consono con quel sentire senza ormai speranza, salvo il cristo sulla sua croce per chi sa capirlo. E gli occhi e i cuori sono gonfi e c’è chi, disperato, anticipa il suo pianto. Tutto dovrà precipitare in un dolore senza soccorso, senza conforto, che immane pare! Questo proprio per chi affetto abbia verso colui che il mondo lascia. Ma se fede si ha, si è certi che quello che accade è già accaduto al cristo morente e a chi bene gli voleva. Ora è il sopravvento delle ostilità in cui si è vissuto e lottato, un aspetto del male, allora fu lo spietato volere, quello d’una umanità sorda alla novità di bene annunciata dal cristo, il suo annientamento sulla croce infame. Così lui entrò nel suo regno attraverso il dolore e altro modo non v’era. Perché? In quel dolore ogni altro, in quella croce ogni croce, nel pianto della madre sua e degli astanti ogni pianto! Ecco, schianta questo dolore, c’è a ogni malattia estrema e a ogni morte, è stato e sarà ancora, ma nessun dolore è nuovo e più radicale di quello che fu strumento di salvazione e di grazia. Ma quel dramma si ripete, muore il cristo ancora d’ogni morte. È come vento freddo in una notte buia, ma che gela dentro i cuori anche se alita sui corpi. Così la trasformazione dell’io avviene. Lasciar deve per questo la carne, che pur ormai misera e corrotta l’anima racchiude, niente deve trattenerlo più qui e alienarlo dalla vita che il cristo ha promesso nel suo regno e la via passa per le strettoie del dolore. Così l’individuo va per eternare l’anima sua e continuare la sua nella vita senza fine che fa la comunione dei santi. Sia di conforto al pianto di chi l’ama e qui resta! Così il dolore scrive l’epilogo d’una vita ben spesa in cuori recettivi. Ma di gioia è anche la vita e scriverà su quanto già scritto le parole sue assai diverse e il ricordo dell’uomo si farà rassegnato e scialbo. È giusto così.

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