lunedì 22 aprile 2013

L'olio tuo







Inaspettata dignità venne a questa umanità quando tu e il figlio tuo entraste nel tempo. Tutto lo riempiste dai primordi della creazione alla proterva civiltà nostra, che i popoli tutti d'allora soggiogava. E vi rimaneste a riempirne il futuro. Ma come in un canale irriguo l'acqua che vi si immette nella stagione arida, tutto trascina e piccole cose, rametti, fili d'erba e piccoli insetti vi galleggiano, altri vi fanno detriti rotolanti al fondo, così tu. Sì, una corrente d'amore fai nel tempo per portar fuori i pochi di leggero peso e quelli tanti gravati da colpe loro, ché spinger tutti nell'eterno vuoi per esaltarli al di sopra degli angeli tuoi. Ma nessun merito aveva l'umanità fin alla discesa vostra in questo basso inferno a condividere il destino nostro, ma da allora il dolore conta tutto, e dell'innocente specialmente, da quando il male voi due pure ha afferrato per farne, al pari degli altri tutti, strazio. E sai quale ne è ancora la metafora più idonea, l'illustrazione più espressiva? E' questo mondo un mare di procelle che vi creano scompiglio, lottando contrarie. E in verità mai da sé requie ha, né tenta valide opposizioni, ma si lascia agire succubo. Ma talvolta accade che i galleggianti abbiano pace da te che li culli in superficie rasserenata. Perché? Il mare che fa il mondo, seconda i venti gagliardi che spirano capricciosi e le onde contrastate vi spumeggiano tormentate e noi con loro. Quelle i nostri dolori sono, ma tu le attenui ché olio versi sulla superficie. Allora l'iroso vento del male più presa non vi fa, ma vi scivola inefficace, ché più non può incresparsi la resa compatta acqua col velo suo provvidenziale che sopra vi si spande. E' il segreto dei marinai dei velieri antichi che una fiasca di prezioso olio serbata tenevano da usare all'occasione per sedar l'ira delle usuali procelle. E tu, provvida madre, da dove fai gocciolare l'olio tuo, se non dal cuore? Oh sì, ne stilla, ne geme e fiasca tutta sei pregna d'amore, ché generosa versi del tuo a lenirci le pene! Vieni allora a versarmi dell'olio, ché io ad altri lo doni profumato ancora per riconciliarteli in una lunga catena d'amore. E da questa pur fragile, d'apparenza forte, donna iniziar vorrò senza fermarmi, se tu me ne fornisci generosa. Oh come vorrei odoroso medicamento poter versare sulle tante ferite e piaghe, se tu me ne donassi! Ecco, tutto intristito mi fa il ricordo del male e le parole mie farsi vogliono pigolio e poi zittite lacrime, e queste solo verso su chi assetato è di conforto. Ma la muta preghiera è più accorata e ti raggiunge e tu non puoi non guardare a questo cuore. Allora stipalo dell'olio tuo, gonfialo fino a farne otre tutto pieno e non temere si schianti o se vero cederà somiglierà questa morte alla dolorosa del figlio tuo, ma quanta felicità da breve atroce dolore! Merito così tanto?

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