venerdì 27 aprile 2012

Primavera nel cuore

Tempo è questo delle passeggiate, ché il tepore ha al fine prevalso. Allora via l’ombrellino riducibile a far da scorta per le improvvise bizze del tempo. Ecco, sebbene di recente abbia scoperto posti nuovi, percorsi forse più ameni, preferisco i luoghi consueti. Or proprio si son vestiti del nuovo di primavera, e or qualcosa sempre un po’ mi distrae più che in altre epoche, se or qui or lì lo sguardo lascio corra, ma più rassicuranti sono, lunga la mia frequentazione, e se vengo per la preghiera, qui posso, e per pensare anche, e lo stesso per studiare, ché sempre m’attrae saper il nuovo, e poi ansia non v’è, venir essa potrebbe solo in posti senza memoria. Qui volti nuovi incontrar posso solo in giorni di festa. Chiedono del percorso e del tempo per la loro meta e sono gentili e sorridenti. E’ il contagio del luogo che umanizza, serenità permette, sciogliendo i groppi, e rimanda al poi i problemi del quotidiano, almeno questo a me accade... E quando qui c’è gente nuova, si perde in solitudine, si guadagna sicuro in gaudio, così è per me lo stare un po’ tra gli altri e dire cortese alle domande, ché l’aria proprio aver devo di chi sa ben del luogo...Nei giorni comuni è tutto tranquillo, sto quasi sempre solo e note tante e diverse mi vengono dai cantori del bosco, e dei bombi il ronzio burbero odo, e dal folto talora uno squittio o cos’altro e dir non saprei da chi o da cosa. Sono le cento voci di qui. Tutto mi fa incanto e della primavera la veste nuova fa come malia e mi ritrovo tutto assorto a osservar piccole cose, ché già bruchi vi sono a cercar posto idoneo per far crisalide, e formiche vanno e vengono ai nidi loro, cercatrici di novelli semi, e lumachine che profittano della rugiada per le ultime escursioni tra i fili d’erba... E starei così ore, ché la vita ridestata, qual si lascia veder da occhi avidi, è bellezza e mistero. E mi chiede la compagna mia, perché si conserva la vita delle specie, dove va? Oh quanto vorrei saperle rispondere! Ecco qui proverò a farlo, ricordando l’accaduto di una di queste mattinate. Sarà metafora botanica e ne affiderò al cuor suo la comprensione, ché credo un destino comune per tutto quel che c’è sotto questo sole a far primavera, tutto va, s’affretta al dio!
Ben ha detto un saggio, c’è un punto omega e tutto corre a esso! Allora dirò proprio di un oggi in tempo di primavera. Ecco, proprio come vero sua malia la fata, che del luogo è custode, m’abbia fatto, sdoppiato mi ritrovo a osservarmi. Son qui sullo stradello bianco che sale e un po’ cerco ombra, ché il corpo pesante s’è fatto da avacciarmi il cuore e vuol qui sostare un po’, e mi dico, da qui hai buona vista per goder dei fiori della radura, e quelli di calarti nella latebra del cuore ti suggeriranno a breve, a pensar delle tue donne la grazia, ed io, tornato alla realtà, scriverò i tuoi ricordi, o mio sognatore, e ne dirò alla compagna dolce... Così, sarà per la suggestione del luogo o cos’altro, mi rivedo bambino a un carnevale festoso. E’ qui che vedo per la prima volta la maschera veneziana tutta nera per una gran cappa, bel viso posticcio bianco, parrucca con codino e cappello d’epoca dalla foggia strana. Completo, negli incubi miei, subito quella figura attribuendole occhi verdi fosforescenti di luce fatua, e diventa per me, bambino, l’immagine della morte. Quella che troppo presto m’ha visitato, rapendo il mio bel fratellino ricciuto, di cui ho dovuto scavalcare l’età. E poi da allora l’ho vista, oh quante volte! Atra tutta, bianco il viso da falsa bella donna e occhi verdi a prendersi gli affetti miei. E quante, simili alle mie, storie di lutto in questo nostro stare al mondo! Ma mi dicono che forza c’è da opporre a tanto strazio, è la fiducia in te, madre dei dolori, e nel figlio tuo, che quella nera femmina anche a te ha strappato dal cuore. Io penso questa fiducia tuo dono, e trattenersela nel cuore aiuta certo e, chissà, forse vero a voi conduce. Ma il male, tremenda eredità della miseria nostra è sempre qui! Alle lacrime nostre, le tue aggiungi, ché ecco, qualcuno ha novella croce ripiantato e vi si tormenta uno, è nero, è bianco, è il figlio tuo, e daccapo “doloris gladius pertransit cor tuum”! E ci dicono, i vostri dolori completano quelli del signore e della madre sua! E conforta che il più grande dei tuoi santi affermato l’abbia per sé e per tutti, ma mi chiedo, come più stupido fatto dal ricordo della sofferenza, quand’è che la misura sarà colma del dolore che trabocca dai cuori di noi uomini? Siamo ben stanchi di piangere in questo viaggio a te, tanto v’è dolore, ed è un bel dire che tutto è in travaglio di superamento, tutto è come lievito in fermento e che la morte è un’ansia che l’alba novella ucciderà con la luce sua! Quando, come, chi vedrà quest’alba? Seppure tutto è forse diverso nello spirito, tutto resta uguale nelle conseguenze, e se è trapasso di ombre di mondo decrepito, se è tramonto che sta per fiorire in novella aurora, com’è che questo crepuscolo mai ha fine e le tue stelle non v’appaiono come nostra meta, a dar conforto? Sì, tutto è forse diverso, ma tutto resta uguale per il misero, e io lo sono, sprovveduto da sempre, e dell’erba qual sono, fanno qui strame, e poi c’è per tutti da sempre diffusa l’ingiustizia e fame e guerra, e ricchi prepotenti a prevaricare, e che più? E io e quelli come me, soffrono che così proprio debba essere! E nel dolore tanto diffuso per tutti occhieggia la morte, verdi gli occhi, bianca, bella e orrenda la maschera sua e nera la cappa da lavoro, instancabile! E lacrime tante si versano e il sole divino non le fa perle, come fa con la rugiada questo sole di primavera, con quella che l’ombra dei cespugli ha fin’ora conservato e che tutta si dissolverà, gocciole effimere, alla carezza sul prato dei raggi suoi. E qui proprio la preghiera mia, al limitare del mio tempo, alle soglie del bosco, colloquio con te vorrebbe essere, sì qui lontano da frastuono delle ore che là dabbasso mi corrono veloci. Qui è diverso, rallenta il tempo, tutto invita all’assopimento, al sogno. E’ questa la tua risposta per me? Che la veda in sogno? Non so, ma permetto che immagini mi scorrano nella mente come quelle d’autoipnosi nell’addormentamento, ché proprio saper voglio che dirmi vuoi. Così, trasportato sono oltre le bassure, non solo le fisiche, ma quelle anche del rumoreggiare degli egoismi che nella frenesia loro di vivere opprimono gli altri miseri, per correre al nulla, come pur fanno le onde, che rabbiose ancora, s’accavallano per frangere dabbasso alle falesie...Sì, rapito da questo incanto là dove sosto, più capisco Francesco, che chiamava sorella la morte e pia nell’ufficio suo, quella che qui pure verrà anche per i fiori, precari sempre, giovani o appena nati o quelli che il capolino loro reclinano maturi, ma forse solo per trapiantarli nei tuoi giardini, lì tra le stelle. Ed è bella e dolce questa speranza e io or ti vedo qui al fine venuta a carezzare tutte le cose di primavera, per talune portarne con te. E tutto, allo sguardo tuo, attorno trascolora in verde, si fa verde d’erba novella mo mo nata, che infiorarsi tutta vuole. E or son fiore anch’io tra questi fiori novelli e viene la brezza dal mare e tutti ondeggia, e accorrono i bombi operosi e a suggere alle antere, bianche farfalle, che or qui or lì indugiano. Su me pure giovane bello rinato in questa nuova forma, ché s’è fatto corolla il mio viso e i miei capelli sono del giallo delle perle di prato e in stelo gli arti congiunti si sono. Sono rinato forse umile margherita, o qual’altro fiore di campo, perla al fine del tuo bel prato! E ora non so più se è quello di qui trasformato o quello d’arrivo, là tra le stelle! Presto verrai leggiadra a controllare questi nuovi arrivi e a ridere per noi, e noi ti risponderemo con afflati di profumo da inebriarti e trattenerti, e forse tra noi il tuo bel corpo etereo stenderai e beati quelli che ne sosteranno la leggiadria! Sì, or ora venuta sei vicino a me, “vestimentum tuum candidum quasi nix et facies tua sicut sol”, e sono il piccolo tuo fiore, aliti sulla mia corolla, ché per il gelo della notte un po’ rattrappiti ne ho i petali, e le labbra tue a dolce sorriso s’atteggiano... E ora lo so, è vero, qui dove sogno così di te, tutto vuole, come io ho or ora pensato di me, mutarsi, e la materia tutta s’agita e vuole tu la sublimi alle tue stelle, ché tutto si vesta di luce. Tutto ciò che fa primavera cerca la luce! E io, novello fiore nato dalla mia fantasia, mi ritrovo nei campi tuoi asfodeli e, tu giardiniera di questo campo sei... Tutto intorno mi guardo e ti chiedo, bella signora, in questo campo non avrai scordato di trapiantare il fiorellino femmina della mia vita? C’è, c’è, ammicca il tuo sorriso malioso, è tra quello che qui fa primavera! Ma la campana del santuario già avverte dell’ora dai tanti rintocchi, e mi ridesta, sì qui i sogni finiscono a mezzogiorno, via è volato il tempo e io devo pur andare, m’aspetta il bel fiorellino che piantato m’hai nel cuore. Ora lo so per certo andrà dove io andrò e proprio tutto ci accompagnerà! Sì, è questo che le dirò! Leggera è la metafora, ride qui il tuo sorriso, è primavera, non l’ha ella nel cuore?

1 commento:

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    Una riflessione di una tenerezza infinita, intrisa e di Amore mistico per la Bella Signora e di amore per l'unica donna che rapito ha il cor e la mente con la sua dolcezza... Complimenti!

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