martedì 1 maggio 2012

Amore di primavera

C’è oggi di nuovo qualcosa? Non è l’aria di quest’epoca, che d’erbe profuma e di fiori novelli e qui anche di spuma di mare? Perché m’apre più contento il cuore questa freschezza di mattino? Sono a farlo questi germi di vita nuova, venuti fuori al fine dalla qui rossa terra, che pregna ne era in lunga attesa, desiderosa di mostrar tante e variegate essenze? Non so. Tutto fa tenerezza qui a chi estatico ammiri questo sciorinare primavera. Sono i gialli della ginestra spinosa, che tutta s’è ricoperta, mentre l’altra tace ancora lo splendore suo, sono i bianchi fiori di cisto, mentre l’altra sua varietà è tutta in boccio e presto i suoi grandi fiori fucsia dai petali spiegazzati mostrerà per l’indugio di me, viandante tra tanto incanto, sono gli asfodeli divini? Sì, son tanti i fiori oggi qui e con loro ripalpita giovinezza, tra farfalle, api, bombi e tanti uccelli nel folto,e nell’aere sereno vocianti gabbiani e oggi anche rondini, sì, daccapo tante rondini! Eppure le solite cose sopite mi seguono e se più lontano rifugio avessi, ecco lì starebbero. E stanno perfino, mute, nella preghiera accorata, che qui mi sento spontanea per te, da cuore a cuore! Sono cose lontane, tristi, scure, manchevolezze, errori? E’ nostalgia che si consuma nella malinconia? Tutte cose mai risolte, mai ricomposte, mai giustificate, ma compresse per non soffrirne, nella latebra dell’inconscio e da lì uscite, nei sogni o nelle veglie d’angoscia, per soffrirne di più, ripensate amplificate, nella revisione impietosa, e che perciò lì comprimo daccapo, non sapendo come liberarmene! E so che questa esistenza nell’aiuola terrena, su cui tanto t’affanni operosa, vuol farsi precaria per tutti. Affamati molti di concretezze, di verità anche, bramosi di giustizia, ma più ancora della dignità che solo dal lavoro viene. E questo non c’è! Molti vi sembrano tristi e miseri, bisognosi si son fatti di tutto e ancora più distratti dall’amor tuo, cura rivolta hanno alle concretezze, che vita, anche grama, assicurino. E qui con i miei problemi di sempre mi ritrovo, accasciato tra gente senza sorriso, senza amore, senza calore... Ed è pur primavera! Perché, mi dico, un mattino tanto nuovo e promettente or ora s’annunciava e mi ci ritrovo più intristito? E sì che vedo fiori tanti a distender corolla e rider al sole, ma ora penso anche che tra breve molti chineranno il bel capino, o chiuderanno i petali loro o anche che leggera brezza li strapperà via. Vi vedo metafora della nostra vita, delusa , inutile, amara, che s’è lasciata galleggiare sul mare del nulla, che or riprendersela già vuole, appena rifiorita! Ma ecco, come se tu me la suggerissi tra le parole sante della mia preghiera, che temevo recitata stereotipa senza più calore, vedo nel nulla che mi circonda e che ostile minaccia di riprendermi, come una contraddizione, benefica all’anima mia, assetata di risposte da te. Esso, il nulla minaccioso, è niente appunto, eppure è qualcosa, quella che permette di aver coscienza di stare, di pensare, di essere, di scoprirti destino, risposta alla mia ansia. E’ un assurdo, dal nulla una positività! Di simile fa questo male immane, lì annida e si nasconde pronto a saziare di nuove vittime le brame sue, qui distrugge, schianta, assiste muto, impavido al nostro dolore, poi se ne va con la sua greve soma di pianto, le lacrime tante nostre e tue per tanto strazio! Ma anch’esso ha una sua positività, permette la coscienza del bene, così, paradosso, è una forma di bene! Il nulla oscuro, il male pungente sono qualcosa di buono, di bene! Penso ora anche all’amore smarrito o non capito o anche al disprezzato o anche a quello cui, ottusi, ci si può permettere di non dar risposta, ebbri dei luccichii di qui o assorbiti dalle cure, inutili spesso, sempre pressanti di questo vivere. Ecco è talvolta come un sassolino in uno stagno. Piccole onde concentriche alla sua caduta, poi daccapo il piatto della tranquilla indifferenza, o peggio se vi sia il gelo dell’odio nel disprezzo, l’acqua non s’è fatta solo cheta, ma duro, liscio ghiaccio, la negazione dell’amore, la più estrema! E’ quella che tu e il figlio tuo qui avete sperimentato, e sperimentate oggi in ogni amante non riamato, che compagno vi si fa nella stessa sventura e tristezza. E io mi chiedo se non sia lo specifico del dio, l’amore incompreso, quello che vuole continuare a proporsi anche nell’indifferenza e nel rifiuto. Ecco, quest’amore bussa alla porta di un cuore, parla, implora talvolta, ma quella porta rimane serrata, esso torna alla sua solitudine, ma pur continua, vive nonostante! E, paradosso, quest’indifferenza ha una sua positività, permette all’amore di riconoscersi, qual’è, la natura che ha, lo specifico suo. Non lo sa, ma è pur’essa una risposta, ed è, inaudito, risposta d’amore! Ecco io vi vedo fatti carne, camminare assieme, ben chiaro lo dice il Corano, in un misero pellegrinaggio d’esilio tra noi, tra la nostra indifferenza. Ecco il figlio tuo catturato, gettato in una segreta, al buio più greve, e poi l’odio vi fa di più, a tormentar lui sulla croce, a spezzar a te il cuore. E’ il rifiuto più radicale dell’amore! Voi siete del dolore, gli appartenete da allora, anzi da sempre, dall’alba del mondo. Lo siete in perpetuo, ché state in ciascuno che soffre. Ma di più in chi è incompreso d’amore. Ecco, io mi chiedo quale sia stato il più grande dolore del figlio tuo, più ancora di quello patito dal suo giovane cuore, spezzato sulla croce. Non ho che una risposta. Qualcuno ha ben osservato che se lo si pensa nell’imminente cattura, tra i suoi che nemmeno sanno pregare con lui, eccolo nella desolazione estrema, conscio dell’incomprensione assoluta dei suoi. Il suo dolore più grande, l’amore incompreso, offerto, ma in fondo rifiutato. Ma, paradosso, è allora che ha coscienza della vastità del suo amore, sì d’aver amato, molto amato, come solo il dio può fare! Poi la croce, e l’epifania postuma! E son passati anni, secoli e noi, umanità desolata, tra tanto squallore siamo soli, negletti, abbandonati. Ripassate tra noi persone divine, dolce binomio del Corano, fate che risentiamo ora la vostra parola amorosa d’allora. Oh da quanto questa melodia che da sempre canta il creato e che più struggente si fa in questo tempo di primavera, ascoltiamo perdersi nel nulla! Sì, tornate, risorrideteci la mitezza del vostro cuore! E tu madre mia dolcissima, amore d’eterna primavera, ripassa umile pellegrina d’amore. Parlami soave soave, ché il tuo amore imparadisa! Tutto per te trascolora, si fa verde punteggiato or di giallo, or di bianco, or d’azzurro! Son i colori di qui, la natura, dolce pittrice, li ha mo mo dipinti per te! Passa da qui, questo cuore porta l’anelito di mille cuori! Questa mia speranza s’allarga al mondo tutto, di tutti vorrei saperti offrire l’anelito, l’amore ravveduto, quello forse appena prima ancora rifiutato. Ribussa ai cuori, non rinunciare a nessuno! Ecco ancor ti rivedo nel mio sogno antico... Rechi, bianco vestita, il piccolo tuo con te. Questo, come allora, le piccole sue braccia mi tende, vuol dalle tue amorevoli passare alle mie bramose! Oh antico sogno or ora rivissuto, perché via non m’hai portato, perché ancora qui mi lasci? Forse perché piccola donna c’è. M’illude di sé, m’illude, madre, di te. E’ trepido lo sguardo suo, le sue pupille fissano le mie. Che vi leggono? Il nulla, il tutto? Io le abbandono il cuore. Ne farà strame? No, ama come te, che perfino mi ameresti se l’amore tuo non fosse nel mio accolto! E’ tenace questo cuore, esso è nato per il mio, questo strano, vecchio cuore, che ora palpita il suo amore solo. Sa che è già il tuo!

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